Due Quartetti in uno

Eventi, Musica & Spettacolo

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di Pierfranco Moliterni

BARI – Sarà stato un caso del tutto imponderabile, ma è avvenuto, e tanto basta! Infatti, nel giro di appena due giorni, da 2 al 4 aprile 2017, tra il teatro Petruzzelli e il teatro Showville a Bari si sono avvicendate due formazioni quartettistiche italiane di tutto rispetto e con una scommessa palese nell’affascinare (o meno) il pubblico delle rispettive stagioni della  “Fondazione Petruzzelli” e della “Camerata Musicale Barese”. Si  presentava, rispettivamente, un programma eseguito dal Quartetto di Cremona e dal Quartetto del San Carlo di Napoli (solista al pianoforte Barry Douglas). Musica difficile di per sé, anche se eseguita al meglio per una formazione cameristica tra le più ardue che si possano immaginare, in quanto il quartetto d’archi (due violini-viola-violoncello) è stato da sempre una sorta di laboratorio privilegiato di tutti i grandi musicisti di sempre, e da sempre. Ad esempio, qui i bravi solisti presentavano composizioni di Mozart, Schubert, Shostakovic, Brahms, Mahler con un ventaglio storico amplissimo ma che nulla toglieva al fascino di tale ensemble che è, in nuce, una piccola orchestra visti gli ambiti acustici di cui si compone: acuto, medio, basso= violini, viola, violoncello.

Tutti bravi, a tratti bravissimi dunque i giovani in carriera internazionale del quartetto cremonese (Gualco, Andreoli, Gramaglia, Scaglione) non meno dei colleghi napoletani (Laca, Buonomo, Bossone, Signorini) meritevoli d’ogni attenzione critica raffinata, visti i brani che presentavano su quei due palcoscenici. La scommessa parrebbe vinta? Ci auguriamo di sì, perché le rispettive direzioni artistiche (Biscardi, Antonioni) hanno puntato sulla implicita difficoltà d’ascolto del quartetto che ha bisogno di una maturità, di una costante attenzione, di una concentrazione d’intenti che spesso il pubblico d’oggi non ha più, ma che invece abbiamo colto positivamente nelle due felici circostanze.

E a tale proposito forse ci può venire in aiuto un film americano di Zibermann,  bellissimo, di pochi anni fa (2012) con Seymour Hoffmann e Chistofer Walken, che sarebbe bene andare a rivedere proprio in ‘chiave quartettistica’ in quanto già il suo titolo la dice lunga sulla natura artistica e esistenziale di quella formazione. Il film è The late quartet e narra di un famoso quartetto d’archi americano che, suonando insieme da venni anni, giunge ad una svolta mentre è impegnato a preparare l’esecuzione dell’op. 131 di Beethoven; inaspettatamente l’ensemble, in cui ci sono comunque tensioni artistiche e personali, si vede costretto a fare i conti con l’imminente prospettiva della perdita del più anziano dei suoi membri, il violoncellista Peter, colpito dal morbo di Parkinson. La pretesa del secondo violino, Robert, di voler diventare primo violino (posto fino ad allora ricoperto da Daniel) fa riemergere questioni irrisolte con la moglie Juliette, violista del quartetto.

A complicare le cose si aggiungono la relazione amorosa di Daniel con la giovane Alexandra, figlia di Robert e Juliette e violinista anch’essa, ed il tradimento di Robert con una ballerina. Questi eventi minano fortemente l’armonia del quartetto, che a questo punto sembra fatalmente destinato a sciogliersi. Tuttavia, la tenacia e la fermezza professionale di Peter nella guida del quartetto e la sua umanità, porteranno alla catarsi finale in cui i nodi saranno sciolti. Il film si chiude con l’ultimo concerto di Peter che a metà dell’esecuzione dell’op. 131 di Beethoven si ferma per un commosso commiato dal suo pubblico, e cede il proprio posto ad una giovane e nuova violoncellista per completare il concerto. Il quartetto d’archi continua dunque ad avere un futuro. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

RE- MI bem.-  do-  si nat._ 

= Beetoven quartetto op. 131

 

Nel luglio i960, il governo sovietico chiese a Sostakovic di recarsi nella Germania dell’Est, per seguire il gruppo di cineasti impegnati nella realizzazione del film Cinque giorni – cinque notti, 1960, per il quale il compositore avrebbe scritto le musiche. Le riprese si svolsero a Dresda, dove Sostakovic ebbe modo di constatare con i suoi occhi le conseguenze del nazismo e della Seconda Guerra Mondiale: una città devastata, rasa al suolo dai bombardamenti inglesi ed americani appoggiati dall’Unione Sovietica. L’esperienza lo turbò profondamente, e spontaneo fu per lui tentare di esprimere il proprio stato emotivo tramite una composizione musicale. Riportando drammaticamente in vita quel grido di lutto personale e dolore già udito in altre composizioni, inesorabilmente il Quartetto prese forma, suggellato da una significativa dedica: “Alle vittime del fascismo e della guerra“.

Nonostante questa disposizione alla celebrazione universale delle distruzioni belliche, il Quartetto è ricolmo di autocitazioni con temi musicali provenienti da lavori precedenti (come la Prima Sinfonia, il primo Concerto per violoncello e orchestra, o l’opera Lady Macbeth) quasi che lo stesso Sostakovic si considerasse una di quelle vittime di tirannie che il Quartetto intendeva celebrare.

Il Quartetto op. 11O venne eseguito durante i funerali di Sostakovic, nel 1975, su indicazione dello stesso compositore, acquisendo così definitivamente un deciso spirito commemorativo, rafforzato anche da queste lapidarie parole: “Provo eterno dolore per coloro che furono uccisi da Hitler, ma non sono meno turbato nei confronti di chi morì su comando di Stalin. Soffro per tutti coloro che furono torturati, fucilati, o lasciati morire di fame. Molte delle mie Sinfonie sono pietre tombali. Troppi della nostra gente sono morti e sono stati sepolti in posti ignoti a chiunque, persino ai loro parenti. Dove mettere le lapidi? Solo la musica può farlo per loro. Vorrei scrivere una composizione per ciascuno dei caduti, ma non sono in grado di farlo, e questo è il solo motivo per cui io dedico la mia musica a tutti loro”.

 

 

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