B&B in condominio. Consentito se il regolamento non lo vieta espressamente

Noi e il Condominio

Di

di avv. Giuseppe Nuzzo

 

Va annullata la delibera che vieta al condomino di adibire a bed & breakfast il suo appartamento in condominio, se il regolamento contrattuale non lo vieta in maniera chiara e univoca.

Si può sintetizzare così il principio espresso dal Tribunale di Roma con la sentenza n. 727 del 18 gennaio 2017, che ha accolto il ricorso del proprietario contro la delibera dell’assembleare di condominio che gli vietava di esercitare l’attività ricettiva.

È vero che il regolamento di condomino, di natura condominiale, può imporre limiti alla proprietà esclusiva, elencando le attività vietate oppure con riferimento ai pregiudizi che si intendono evitare. Tuttavia, tali limitazioni vanno espresse in maniera chiara. Occorre indicate in maniera specifica le attività vietate. Se i divieti previsti in regolamento sono troppo generici, vanno interpretati in maniera restrittiva e, comunque, a favore del singolo proprietario.

Nel caso di specie, il regolamento contrattuale prevedeva sì delle limitazioni, ma senza specifico riferimento alle attività ricettive. Anche il richiamo alla tutela della quiete e di “igiene, sicurezza, decenza e moralità”, secondo il Tribunale, appare troppo generico e non sufficiente per bloccare il b&b in condominio.

Rifacendosi al consolidato orientamento della Cassazione, il giudice della capitale sottolinea che l’imposizione di limiti di destinazione alla facoltà di godimento dei condomini sulle proprietà esclusive può avvenire solo mediante l’elencazione specifica delle attività vietate, oppure con riferimento chiaro ai pregiudizi che si intendono evitare.

Ebbene, nel caso in esame il regolamento di condominio conteneva una specifica inibizione solo con riferimento ad attività “ad uso di gabinetti di cura od ambulatori”, destinazione del tutto diversa da quella di b&b. Anche il richiamo al tipo di pregiudizi da evitare non è sufficiente a vietare l’attività ricettiva. Per avere tale valenza, limiti e divieti devono essere tali da escludere “ogni possibilità di equivoco in una materia che attiene alla compressione di facoltà inerenti alle proprietà esclusive dei singoli condomini” ed essere quindi connotati dalla massima chiarezza con riferimento “alle attività ed ai correlati pregiudizi che la previsione regolamentare intende impedire”. Ciò in quanto “una clausola chiara nell’imporre un divieto di ampia latitudine, ma non altrettanto alle ragioni che lo giustificano, non soddisfa i requisiti di validità, poiché non consente di apprezzare se la compromissione delle facoltà inerenti allo statuto proprietario corrisponda ad un interesse meritevole di tutela.

In ogni caso, la clausola del regolamento condominiale che limiti la destinazione delle unità immobiliari è opponibile ai terzi acquirenti solo se risulti nella nota di trascrizione, e non semplicemente citata nel contratto di compravendita (Cass. n. 21024/2016).

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