Il rappresentante russo Roman Kolodkin, presso la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia, il 7 marzo, ha sostenuto che le armi che stanno usando i “combattenti delle due Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk” in Ucraina orientale, “sono solamente armi prodotte in Russia che venivano usate durante il periodo sovietico, e abbandonate nelle miniere del Donbas”; poi, dopo il “1991 l’esercito ucraino le ha raccolte e ripristinate”. Ora, dopo la “fuga dell’esercito ucraino, sono state ancora abbandonate e raccolte dai separatisti”.

L’affermazione ha suscitato incredibili emozioni, memo divertenti su Internet e un paio di articoli di InformNapalm, nei quali, con prove, sono state contestate le dichiarazioni rilasciate dal rappresentante russo; ma in generale le affermazioni sono passate inosservate, come molte altre menzogne ​​che arrivano da Mosca. I media occidentali hanno bisogno di formulazioni semplici, generalmente accettano i formati già protocollati: “le accuse di Kiev” e “le negazioni di Mosca”, indipendentemente dalla quantità e qualità delle informazioni.

InformNapalm, Bellingcat e altri giornalisti investigativi hanno fornito convincenti prove di carri armati, missili e altre armi sofisticate che sono in uso ai militanti del Donbas, e sono quasi tutte post epoca sovietica e non sono mai state in uso all’esercito ucraino.
Nel febbraio 2017, il segretario stampa del presidente russo Vladimir Putin, è stato svergognato da un giornalista ucraino, quando durante una trasmissione su TV Rossiya-1 ha dichiarato che i militanti del Donbas “hanno 700 carri armati, tre volte in più di quelli in uso dalle forze armate ucraine, e due volte e mezzo in più di quelli che esistevano in Ucraina nel 2014”. Dmitry Peskov ha risposto con un sorriso forzato: “dovresti chiedere anche a Kiev da dove provengono i carri armati”. Non ha rilasciato nessun’altra informazione, ma ha aggiunto: “naturalmente non sono russi”.

E, siccome l’area del Donbas ucraino occupata dalla Russia, confina solo con la Russia e l’Ucraina, la sua dichiarazione è stata tanto assurda quanto quella del suo collega “che i 700 mezzi erano nascosti nelle miniere del Donbas”.
Negare automaticamente ha una sua logica cinica. I media, che sono sempre a caccia di nuove storie, talvolta dimenticano che loro stessi, in vari gradi e momenti, direttamente o indirettamente, hanno documentato o sono stati testimoni di colonne di camion militari russi che si erano introdotti in Ucraina. Nell’agosto 2014 c’erano numerosi giornalisti occidentali nel Donbas e a Rostov, la regione russa che confina con l’Ucraina.

All’epoca, quando la Russia stava preparando il suo primo cosiddetto “convoglio umanitario”, che consisteva in un invio in una zona di guerra di “materiale” senza controlli e permessi adeguati, c’era una particolare tensione. Quel primo convoglio poteva essere stato un gioco per distogliere l’attenzione da altri movimenti militari.
I media polacchi, per diverse giornate hanno dato ampio risalto ai 280 camion “dell’aiuto umanitario”, mezzi – ovviamente camuffati e dipinti – che erano diretti al confine sotto il controllo “delle truppe dei separatisti”.

Ci sono filmati notturni e diurni, rilasciati da Wojciech Bojanowski, un corrispondente di TVN 24 – una Tv di stato russa – dell’area di Rostov, che dimostrano chiaramente che c’erano vettori armati russi, artiglierie e sistemi di armi antiaereo incolonnati su una strada russa che porta al confine con l’Ucraina. Bojanowski riconosce che non ci sono foto dell’effettivo attraversamento del confine, ma c’è un flusso costante di veicoli dalla Russia all’Ucraina, dove si possono vedere, ad esempio, un trasportatore BTR-80a, che l’esercito ucraino non possiede. Il giorno successivo, il 19 agosto, Bojanowski ha segnalato ulteriori movimenti verso il confine, “con molti camion che stavano trasportando carri armati”. Il 22 agosto, la NATO ha riferito che i militari russi “hanno spostato le unità di artiglieria all’interno del territorio ucraino” e le avevano utilizzate per colpire le forze armate ucraine.

Ad oggi, da quello che si è riusciti a ricostruire, si sa che sono stati completati oltre 64 convogli come “umanitari” – uno anche il 27 aprile – ai quali non sono mai stati fatti veri e propri controlli.
La quantità di prove è schiacciante. Il dottor Igor Sutyagin, in un documento informativo del Royal United Services Institute [RUSI] sulle forze russe in Ucraina, scrive che “la prima fase di incursioni su larga scala delle truppe russe regolari ha avuto inizio l’11 agosto 2014 e ha coinvolto una notevole serie di forze. Lui ha segnalato come cifra di picco di personale diretto militare russo fino a “10 mila unità è il coinvolgimento diretto russo a metà dicembre 2014”.

Tutto questo è avvenuto sul territorio di un altro paese senza alcuna dichiarazione di guerra.
Il primo “convoglio umanitario” è stato efficace per distrarre l’attenzione internazionale da altre incursioni illegali, anche se da Mosca è stato “venduto” come un aiuto. È anche probabile che i carichi successivi siano stati più minacciosi. Un video pubblicato nel gennaio 2015, ha mostrato le forze ibride russe mentre stavano scaricando, quello che loro stessi lo hanno definito, i “regali per il nuovo anno per il presidente ucraino e altri leader”. I commenti dei militanti e le lunghe casse, hanno reso chiaro che gli uomini stavano scaricando armi. Nessuno dei convogli – se non alcuni camion, e solo quelli indicati dai separatisti – sono stati controllati dalle autorità ucraine o dalla missione di monitoraggio speciale dell’OSCE. I numeri di matricola dei mezzi corazzati che entrano e di quelli che escono, come anche quelli dei veicoli militari, non corrispondono mai, sembra probabile che questo sia un modo per rifornire in modo permanente di munizioni e armi i militanti e le forze russe.

Oggi, comunque, non è più il caso di prenderci in giro, tutto questo si conosce, e da molto tempo, e, tutti coloro che volevano verificare sono stati in grado di soddisfarsi, mentre coloro che non vogliono cogliere i fatti come sono, spiegano al mondo civile il loro tradimento con il desiderio di “trovare l’elemento costruttivo” nei rapporti con la Russia.
Che cosa dire della perseveranza di idioti che non sono in grado di prevedere le conseguenze di certe loro azioni e dichiarazioni? Queste persone credono di essere più intelligenti di molti di noi.

Noi siamo gli idioti, io e te, perché non vogliamo affrontare la verità e ammettere i nostri errori, e crediamo in buona fede ad ogni esca che Mosca ci pone sulla strada, crediamo a qualsiasi pagliaccio locale e alle dichiarazioni alternative. Perché c’è la necessità di mentire? E, mentre la gente muore grazie alle loro finzioni, nasce una domanda: le professionali menzogne di queste infime e false creature le aiuteranno a ricredersi delle loro malefatte?

Gabrielis Bedris