Finalmente è finita. Ora è tempo di esegesi biancorossa

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Finalmente è finita. Non se ne poteva più davvero. Manco i tempi di Lipatin e di Markic sono stati così disastrosi ed inguardabili. L’ambiente e gli addetti ai lavori non vedevano l’ora che calasse il sipario su questo anonimo, tormentato e, talvolta, anche irritante campionato che il Bari ha iniziato male e finito peggio. Forse nemmeno Girolamo Savonarola, celebre santone ferrarese sulla cui statua in piazza a Ferrara, i tifosi spallini hanno apposto una sciarpa bianco-azzurra, se lo avesse predetto, ci avrebbe creduto, confermando il suo essere eretico pagato a caro prezzo col rogo a Firenze.

Dunque, la stagione biancorossa si è chiusa con la quindicesima sconfitta stagionale, troppe, oggettivamente, così come troppo pochi i 16 gol messi a segno dai tre attaccanti (sei di Maniero e di Galano e quattro di Floro Flores anche se questi ultimi con tanto di alibi) per sperare in qualcosa in più del dodicesimo posto – stavolta in casa estense – in quel gioiello di città che è Ferrara, così come aveva iniziato, vale a dire perdendo la gara di apertura del torneo contro un ruspante Cittadella, altra cittadina magnifica del Veneto, quasi la sconfitta casalinga volesse presagire quello che di lì, in poi, sarebbe accaduto.

E, volendo rimanere in tema cronachistica, forse mai come ieri a Ferrara, il Bari, non avrebbe meritato di perdere considerato il buon approccio col quale è sceso in campo, tanto da far sua la partita per un buon 70%, arrivando più volte alla conclusione pericolosa e segnando persino un gol vero, non un miraggio, con uno dei pochi che ha gettato l’anima in quella squadra, vale a dire Galano; insomma, le premesse per portare via un punticino c’erano tutte. Ma poi, il secondo gol di Zigoni allo scadere – doppietta la sua – nonostante la bravura di Gori, non solo ha spezzato le velleità baresi di uscire imbattuti dal mitico Mazza (che necessiterà di un restyling se vorrà disputare le gare di A in casa), ma ha disegnato in modo impeccabile attraverso una parabola discendente l’andamento del suo torneo fatto di paurosi sbandamenti in difesa, confermandone il ruolo di squadra da seconda fascia, che ha badato a salvarsi senza patemi d’animo anche se, occorre dire, che se solo il torneo fosse durato qualche giornata in più, col “non” gioco espresso dal Bari, non ci saremmo meravigliati più di tanto per un suo risucchio nelle paludi della bassa classifica con tutte le conseguenze del caso. Dunque, non tutti i mali vengono per nuocere, oseremmo dire.

Va da se’ che se solo, il Bari, avesse profuso anche un solo quinto dell’impegno intravisto a Ferrara nelle gare perse miserabilmente ed indegnamente, forse, a quest’ora, staremmo a parlare di un Bari che ha centrato l’obiettivo dei playoff anche a causa della pochezza delle pretendenti. Onore, comunque, alla mitica Spal che, pur senza far impazzire, ha strameritato la promozione in serie A, una quadra quadrata e tenace.

Adesso, prima che le pagine dei quotidiani diventino chiacchiericcio del toto-mercato-panchina per gli amanti smanettatori webbaioli del gossip sotto l’ombrellone, sport a cui siamo allergici e che lasciamo volentieri ad altri, è tempo di analisi.

Diciamo subito che la squadra che è scesa in campo nel corso di questi mesi (mettiamoci pure quella del periodo Stellone che, pur essendo stato un pochino meglio, nel gioco, di quello di Colantuono, non ha mai fatto impazzire i tifosi), non può rappresentare Bari dal punto di vista dell’impegno. Perché, fatte salve le prime partite col tecnico di Anzio, forse spinti dall’entusiasmo del cambio di allenatore, forse non lo sappiamo nemmeno noi, di perdere si sarebbe potuto pure perdere, ma non in quella indecorosa maniera: occorreva perdere con dignità ed in piedi e non come han fatto vedere, perché se solo si fosse perso con dignità, siamo certi che i tifosi non avrebbero manifestato insurrezioni mediatiche, applaudendone finanche l’impegno.

Ieri a Ferrara c’era da aspettarsi poco o nulla dal Bari che da due mesi a questa parte, ha smesso praticamente di giocare tanto da prendere le sembianze di un paziente dall’encefalogramma piatto, una squadra che ha stentato in tutto, nel difendere, nel costruire un minimo di gioco, nell’attaccare, nel tirare in porta, insomma una squadra senza anima che ha fatto indispettire la tifoseria nonostante l’estrema civiltà profusa da quest’ultima nei suoi confronti quando c’è stato da contestare, anche nei momenti difficili. Il Bari non ha segnato più, non ha più cercato il gol, addirittura è parso non patire più nemmeno la sofferenza di una sconfitta, che forse è la cosa più irritante. E ancora davanti agli occhi abbiamo le lacrime di ieri dei giocatori del Trapani, retrocessi in Lega Pro. Vien vergogna solo a pensarlo.

Ecco che allora le domande nascono spontanee: è possibile che le cause siano imputabili ad una mera questione tecnica? Non crediamo sia così. Il fallimento tecnico, perché di fallimento occorre parlare, è sotto gli occhi di tutti, da Stellone a Colantuono inglobando anche Sogliano. E nel frattempo, Stellone incluso, nessuno che ha solo accennato ad un mea culpa così come, umilmente, si dovrebbe fare dopo annate anonime come queste, tutti intenti a tirare acqua al proprio mulino, anzi talvolta manifestando persino contentezza per la campagna rafforzamento di gennaio maramaldeggiando quanti ne son rimasti diffidenti a causa delle condizioni fisiche in cui si son presentati i nuovi arrivati, situazioni per le quali da sempre, almeno noi, tout-court, denunciamo l’inopportunità di rinforzarsi con giocatori del genere, diffidando da sempre dal mercato effimero di Gennaio. Ma poi? Cos’altro è successo? Non sarà che l’arrivo di tanti giocatori a Gennaio abbia fatto saltare quel po’ di equilibrio nello spogliatoio tanto faticosamente costruito da luglio a dicembre con Stellone?

Stellone che, sotto traccia, accusa Sogliano, Colantuono che afferma di non aver nulla da rimproverarsi, il Presidente Giancaspro, che ha sborsato tanti soldi – non dimentichiamolo -, ha continuato a difendere i suoi uomini per lo stacanovismo mostrato nel lavoro e a diffondere il concetto, secondo cui, non l’aveva imposto mica il medico di andare in A: attendiamo, dunque, fiduciosi le dichiarazioni di Sogliano che, secondo il nostro sommesso parere, ha anche lui le sue buone responsabilità per aver cercato, ed ottenuto, giocatori satolli, sazi dal loro curriculum più o meno glorioso, venuti a Bari per svernare e che in campo a fatica si son pure mossi. Senza dimenticare l’idolatria per il buon Floro Flores il quale, sentendosi, appunto, un “dio” per tanti tifosi baresi, si è sentito esonerato da ogni responsabilità. Ma questo dell’idolatria è un vecchio vizio barese verso qualche giocatore che propone un “numero” o che si presenta con uno-due gol all’esordio, o che ha un pedigree notevole. I ricordi di Kamata, poi sparito dal calcio, di Okaka, di Tallo e di Ebagua sono ancora freschi: idoli sin da subito per la tifoseria, rendimenti pari allo zero spaccato per il resto, tranne che per Kamata che, nonostante la sua esile fragilità, ha lasciato un buon ricordo. Qui l’unico idolo indiscusso tra i giocatori stranieri, rimane Joao Paolo. E basta.

Qui a Bari occorre imparare a crescere sotto tutti i punti di vista perché, maturità acclarata a parte e tanto di cappello per quello che han fatto, non basta recarsi in trasferta e regalare emozioni uniche: occorre anche evitare di difendere qualcuno piuttosto di un altro o mostrare saccenza, serve più equilibrio in tutto. Tutti, nel Bari, hanno la loro percentuale di responsabilità: dal Presidente, sebbene siano tanti i ragionevoli alibi (primo anno in assoluto partito con ritardo, scarso appeal col calcio e fiducia nei suoi uomini, evidentemente, non ripagata a dovere) a Sogliano che ha reclutato giocatori senescenti, acciaccati ed arrugginiti, passando per i giocatori stessi che è sembrato non mettere quasi mai la proverbiale gamba, giocando al risparmio, dallo staff tecnico a Colantuono che, forse inconsapevolmente, senza materia prima a disposizione, è stato indotto all’errore impiegando tizio piuttosto che caio, senza dimenticare qualche errore, vero e proprio, oggettivo. Colantuono, tuttavia, non avrebbe dovuto uscirsene coi terreni in erba sintetica, con gli infortunati, e riducendo il tutto ad una mera stagione balorda, snobbando le conferenze stampa pur nella sua scelta legittima, no. La squadra non ha rispecchiato la sua bravura e la sua nota personalità.

Anche nel rispetto dei tifosi che li han seguiti dappertutto, ognuno di loro deve assumersi la propria responsabilità non tanto per la mancata promozione (quella, in effetti, era solo una ragionevole idea considerato il blasone che ha, da sempre, il Bari in Serie B dove, volenti o nolenti, per l’opinione pubblica, parte sempre come favorita), promozione a cui, inevitabilmente, tutti i tifosi han cominciato a credere dopo quel tipo di campagna sontuosa (solo sulla carta) di rafforzamento di Gennaio rivelatasi fumo negli occhi confermata dal reclutamento di un tecnico di esperienza a Novembre, quanto per le indegne prestazioni che si son perpetuate da fine Marzo ad oggi. Ma qui, a quanto pare, gattopardianamente, nessuno intende alzare il dito per dire “sono stato io” o, “ammetto la mia quota di responsabilità”. Nessuno. Va a vedere che il Bari ha sfornato un eccellente torneo e noi non ce ne siamo accorti.

Per carità, nessuno punta l’indice verso qualcuno in particolare anche perché i loro curriculum parlano chiaro, ma Sogliano – ad esempio -, che merita una seconda possibilità (come nella vita per tutti), della cui permanenza siamo ben lieti, non deve insistere con la solita cassa piena di arrugginita esperienza ma col fisico a pezzi. Occorre, piuttosto, una cassetta di gioventù, ruspante e affamata, possibilmente brava coi piedi. Perché poi, con un allenatore che ama “il gioco” (che a Bari, a quanto pare, è sparito da tre anni), tutto vien da se’.

E’ mancata una idea, un progetto di gioco, e già passare da Stellone a Colantuono l’ha detta tutta. Giancaspro, comunque, ha intravisto in Sogliano l’uomo a cui affidarsi nella speranza che stavolta si operi meglio sul mercato. Del resto lui è un imprenditore e sa tastare il lavoro dei suoi collaboratori.

Occorre fare il contrario di quest’anno, occorre un allenatore che ci faccia vedere il gioco, qualcosa di diverso, un allenatore che abbia un’idea da proporre, basta con l’improvvisazione e la prevedibilità.

Non basta metterci la faccia nei momenti neri, occorre maggior comunicazione, presenza in città un po’ sulla falsa riga dell’epoca di Torrente quando fu deciso di allenarsi sul Lungomare e correndo nella città vecchia, e non solo conferenze sterili ed inutili.

Noi apprezziamo molto la tranquillitas animi di Giancaspro che è invidiabile perché lui tira fuori i soldi senza piangersi addosso come facevano i Matarrese che affidavano la “voce” al buon Don Vincenzo, forse il tifoso numero uno del Bari. Giancaspro ha dato, come noto, delle rassicurazioni in tal senso anche se ha messo, come prima cosa, la salvezza del club, piuttosto che quella di categoria, a causa dei giri di vite economici che si stanno per abbattere sulla B e, si sa, senza soldi erogati dalla Lega, in un campionato da sempre “a perdere” come è quello della B, si fa fatica a sopravvivere anche perché – parliamoci chiaro – Giancaspro non è un russo, né un americano, non ha la stoffa del mecenate: occorre ridimensionare le velleità e i sogni sperando vada in porto il “progetto”, serio, a breve-media scadenza, qualunque esso sia.

Servono giocatori che hanno voglia e gamba, come quelli della Spal o del Benevento che hanno giocatori forti e ragazzi affamati, cosa difficile a causa dei tanti contratti biennali che detiene il club biancorosso, effetto di uno dei tanti errori commessi. Molti, tra over 35 ed altri risultati scarsi, dovranno restare, purtroppo, e sinceramente pensare a creare nuovi entusiasmi coi “vecchi” si fa fatica ad accettarlo. Anche perché, diciamocelo, non si può dare la croce al Brienza di turno per quarantadue gare: uno come Brienza va centellinato e gestito al risparmio, altro errore effettuato. Ma soprattutto servono dirigenti capaci, di comprovata esperienza e non di primo pelo, che possano apportare quella qualità e quella esperienza fondamentale anche nelle cosiddette stanze dei bottoni, perché con un Bari “impresa familiare e fiduciaria”, con pochi soldi, “pochi maledetti e subito”, non si va da nessuna parte: Matarrese docet.

Tanti i nomi per la panchina, da Oddo a Bucchi, da Longo a Iachini, da De Zerbi a Torrente: tutti, sicuramente, darebbero un “gioco” al Bari che per un paio di mesi ha deciso di rinunciare a giocare.

E attenzione: sarebbe ancor più grave lasciarsi prendere dalla frenesia di cambiare tutto, occorre una progettualità tecnica oltre che societaria perché gestire quaranta giocatori non è un segnale positivo per qualunque squadra. E da questo punto di vista, questo appena terminato, è stato un anno utile per capire come districarsi nell’immediato futuro che è già iniziato al 91’ di Spal Bari.

Servirà recarsi in ritiro, a Bedollo il 12 luglio (fino al 29) per il secondo anno consecutivo, con 20-25 giocatori già arruolati e non da giocatori presi dalla Primavera solo per fare quorum, no. Occorre partire già col piede giusto reclutando quella squadra disegnata e modellata da Sogliano insieme al nuovo allenatore. Quel che mancherà eventualmente lo si prenderà a fine mercato, ma che siano nel numero di uno-due al massimo. Non di più. L’ossatura della squadra deve essere già disponibile dal 15 luglio. Altrimenti punto e da capo. E i tifosi non meritano di essere presi in giro più di quanto son stati presi quest’anno.

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