La Russia ha ucciso il leader dell’ISIS, Abu Bakr al-Baghdadi? Alcuni dubbi

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Venerdì 16 giugno, il ministro della difesa russo ha dichiarato che durante l’attacco effettuato dalle forze aeree russe il 28 maggio in Siria, fosse stato ucciso Abu Bakr al-Baghdadi – il leader dell’ISIS (un’organizzazione terroristica vietata in Russia) – il terrorista più ricercato del mondo.
Se confermata, la morte di Baghdadi sarebbe un importante colpo simbolico, infatti l’organizzazione verrebbe privata del suo leader supremo che ha autodichiarato la nascita del califfato e che invitato tutto il mondo musulmano ad aderirvici.
Nel frattempo però, in passato, la morte di Baghdadi è stata segnalata molte volte, sebbene sempre poi smentita. Quindi nascono dei buoni motivi per dubitare della dichiarazione russa.

  1. Ci credono poco anche i russi stessi.
Il ministero della difesa russo ha annunciato che sta investigando sulla morte di Baghdadi. Commentando l’annuncio della morte, durante una conferenza stampa di venerdì 16 giugno, il ministro degli esteri Sergei Lavrov, ha sostenuto: “Mentre io ho certezza assoluta di queste informazioni – posso affermare che Albu Bagh al-Baghdadi è stato ucciso”.
L’agenzia di stampa TASS, ha nutrito qualche dubbio sulla dichiarazione di Lavrov. “Tutti gli esempi di interventi di questo tipo o di uccisioni di leader di gruppi terroristici sono sempre stati accompagnati da una grande fanfara, inoltre, come insegna l’esperienza, queste strutture hanno sempre rapidamente ripristinato la loro capacità di combattimento nominando in un batti baleno un nuovo capo e hanno continuato l’attività, come successo con Al-Qaeda e le sue molte reincarnazioni, tra cui il Dzhabhat EN-Nusra”, ha riportato Tass.
  2. Le precedenti affermazioni sulla morte di Baghdadi sono sempre state confutate.
Nel 2014, è stata segnalata in diverse circostanze la morte del leader dell’ISIS, ma ogni volta l’informazione si è dimostrata infondata. Nel novembre del 2016, l’ISIS per negare le informazioni della morte, ha pubblicato una registrazione audio nella quale si udiva la voce di Baghdadi. A oggi, l’ISIS non ha ancora annunciato la morte del suo leader. Dobbiamo anche ricordare che sin da subito, quando venivano uccisi importanti leader dell’ISIS, il gruppo s’apprestava a dichiararli martiri.
Il 10 giugno, il canale televisivo statale siriano, quando le forze governative assieme ai russi hanno sferrato il raid aereo, ha trasmesso che Baghdadi si trovava a Raqqa, la reale capitale dello “Stato Islamico”. Secondo i funzionari americani, Baghdadi è ora ben nascosto. Secondo gli esperti sta attuando tutte le precauzioni per non essere individuato, a partire dall’aver messo in disuso i telefoni cellulari fino alla eliminazione delle guardie del corpo per non dare nell’occhio.
  3. In passato, la Russia ha già rilasciato dichiarazioni mai confermate dell’uccisione di leader dell’ISIS.
In passato la Russia ha sostenuto d’aver conquistato successi nella lotta contro l’ISIS, ma invece si è sempre dimostrato che Mosca, sullo sfondo della coalizione militare guidata dagli Stati Uniti, ha spesso cercato di aumentare il proprio ruolo nella lotta al terrorismo.
Nell’agosto 2016, l’ISIS ha annunciato la morte nella provincia siriana di Aleppo del suo principale propagandista e stratega, Abu Muhammad al-Adnani. Il Pentagono alcuni giorni prima aveva reso noto d’aver lanciato un attacco aereo contro Adnani nella città di al-Bab, al di fuori di Aleppo.
Dopo due giorni dall’attacco aereo, il governo russo aveva affermato che Adnani fosse stato ucciso durante un raid effettuato dai militari russi. I funzionari statunitensi hanno respinto la dichiarazione. Un funzionario del Dipartimento della Difesa ha battezzato l’affermazione russa come “uno scherzo”. Commentando la controversia, il rappresentante speciale del presidente degli Stati Uniti, Brett McGuirk, ha chiarito nel novembre 2016: “i russi hanno cercato di far credere d’averlo ucciso perché rappresenta un avvenimento importante; ma posso assicurare che non sono stati i russi, bensì la nostra coalizione”.
  4. La disinformazione è la base della politica estera russa.
Per molti anni la Russia ha usato l’inganno e la disinformazione per influenzare la percezione e riceverne vantaggi strategici. Gli analisti specializzati di politica estera russa sostengono che “l’uso delle false informazioni sia sistematico e consapevole, e che questa tattica venga utilizzata a tutti i livelli, dalle dichiarazioni ufficiali del governo, ai rapporti dei media statali e nei post dei social media”. Le tecniche di disinformazione, apparentemente, sono state utilizzate nelle operazioni russe sia in Georgia che in Ucraina, così come nei dibattiti sui presunti tentativi russi d’influenzare l’esito delle elezioni presidenziali statunitensi. Nella relazione di RAND Corporation questo flusso di disinformazione è denominato “un tubo di fuoco di bugie”.

E, l’intervento russo nel conflitto siriano non fa eccezione. Quando nel 2016, Mosca ha iniziato la sua campagna di bombardamenti in Siria, i funzionari russi hanno sempre avvertito che le loro operazioni avrebbero interessato l’ISIS, ma la natura delle azioni ha indicato qualcosa di diverso: la Russia ha effettuato i suoi attacchi aerei principalmente in quelle aree che erano in mano ai gruppi ribelli che combattevano contro il presidente Bashar al-Assad e l’ISIS. Il risultato di quei raid aerei sono la morte di numerosi civili.Un altro esempio di mendaci dichiarazioni russe, si può rilevare dall’annuncio del presidente russo Vladimir Putin, quando nel marzo 2016, ha attestato che la Russia avrebbe ritirato la maggior parte delle sue forze dalla Siria per avere “raggiunto l’obiettivo della sua campagna”.
La Russia, dopo un mese, ha ripreso le sue incursioni aeree in Siria – questa volta contro i ribelli di Aleppo – con il risultato che a dicembre i dissidenti sono stati costretti a cedere. Questa è una delle pietre miliari del conflitto di cinque anni.

La ripresa dell’offensiva russa ha dimostrato – come se ce ne fosse ulteriore bisogno – che le precedenti dichiarazioni di Putin, per il ritiro dei suoi militari, erano solo un altro tentativo di strappare l’iniziativa ai rivali, cioè agli USA, la Turchia e agli altri paesi che sostengono i lati opposti del conflitto siriano.

 

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