L’Italia del terzo mondo: siamo la nuova Libia

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E ora l’Italia è la nuova Libia

Coi carri armati al Brennero e i porti francesi chiusi per le navi che trasportano migranti, la metamorfosi si è conclusa: ora il “Paese gabbia”, quello che si tiene i migranti in cambio di due soldi, siamo diventati noi. A meno di una svolta a destra che, a questo punto, appare quasi fisiologica

Da che parte stai della frontiera, è questione di dettagli. Ad esempio, se la frontiera tra nord e sud del mondo è il mar Mediterraneo, o più nello specifico, è il canale di Sicilia, l’Italia è il primo punto d’arrivo, per i migranti che scappano da guerre civili e carestie. Se invece la frontiera diventano le Alpi, se invece che mandare le navi militari a presidiare il porto di Tripoli è l’Austria a mettere i carrarmati sul Brennero, noi diventiamo il porto di partenza: come la Libia, o la Turchia, o il Messico.

Il messaggio è brutale: se voi non sapete controllare la vostra frontiera, noi controlliamo la nostra. Così come del resto è brutale il rifiuto di Francia (e Spagna) a non accogliere le navi che raccolgono i naufraghi del canale di Sicilia: se non sapete gestire il vostro afflato umanitario fatti vostri, noi non regaliamo all’estrema destra la sedia su cui siamo seduti.

Gli stessi migranti contribuiscono a chiarire la vicenda: nel 2015 sono sbarcati in Italia 153.842 migranti e di questi, solo poco più della metà – 83.970, per la precisione – ha presentato domanda d’asilo, nonostante il regolamento di Dublino obblighi loro a farlo nel primo Paese d’approdo. La restante metà ha preferito eludere la legge e provare a chiedere asilo più a nord, o più a ovest. Il senso è chiaro: non siamo Paese di approdo, siamo Paese di passaggio: «La frontiera si è alzata – scrive Terre Libere -: per alcuni aspetti, la nostra situazione è diventata simile a quelli di paesi come la Libia. Un territorio che, per ragioni geografiche e politiche, concentra i migranti in transito, ma che non è l’ultima meta delle migrazioni».

 La frontiera si è spostata verso nord, insomma. E le implicazioni, per noi, sono piuttosto preoccupanti. Prima fra tutte, la nostra rapida metamorfosi in “Paese gabbia”, come la Libia e la Turchia, per l’appunto. Paesi cioè che chiedono denaro in cambio del presidio della frontiera. Se ci pensate, nei nostri pellegrinaggi a Bruxelles già lo stiamo facendo, più o meno consapevolmente.

La frontiera si è spostata verso nord, insomma. E le implicazioni, per noi, sono piuttosto preoccupanti. Prima fra tutte, sempre secondo Terre Libere, è la nostra rapida metamorfosi in quelli che loro chiamano “Paesi gabbia”, come la Libia e la Turchia, per l’appunto. Paesi cioè che chiedono denaro in cambio del presidio della frontiera. Se ci pensate, nei nostri pellegrinaggi a Bruxelles già lo stiamo facendo, più o meno consapevolmente.

La seconda implicazione è che questo processo di metamorfosi subisce fisiologicamente dei meccanismi di resistenza. Fisiologici e anche perfettamente razionali, aggiungiamo. L’unico modo per evitare di diventare “Paese gabbia” è chiudere a nostra volta le frontiere. Smettere di accogliere, di soccorrere i migranti nelle acque del canale di Sicilia, rifiutare l’azzardo morale degli scafisti che li fanno partire su bagnarole senza viveri perché dall’altra parte ci siamo noi, i buoni.

È moralmente riprovevole? Sì. Ci espone al supplizio quotidiano di piccoli Aylan esangui sulle spiagge libiche che torturano le nostre coscienze occidentali e cattoliche? Certo. Ma se questo è l’antipasto, la svolta ungherese arriverà prima del dessert, accompagnata da una sontuosa affermazione delle destre – meglio: di chiunque adotti queste politiche di destra, si chiami Salvini o Minniti – alle prossime elezioni.

Si chiama realpolitik, ahinoi, ed è quella a cui ci stanno costringendo gli europeisti Emmanuel Macron e Alexander Van del Bellen, di cui salutammo la vittoria alle rispettive elezioni presidenziali con sospiri di sollievo e scrosci di applausi europeisti. A posteriori, avevamo poco da festeggiare. Forse pure loro, però. Ammesso che tengano più all’Europa che alla loro poltrona. La frontiera è questione di dettagli, del resto.

Basta un attimo.

 

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