Caporalato, fuggiti da Rosarno ora producono yogurt African style a Roma

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I ragazzi della cooperativa Barikam°

Da Rosarno alle campagne che circondano il lago di Martignano, a due passi dalla capitale. Dalla schiavitù nei campi sotto i caporali alla libertà e, addirittura, al riscatto sociale. E’ la storia di Suleman, Cheikh, Ismael e altri quattro braccianti africani che ce l’hanno fatta. Si sono messi insieme per produrre un ottimo yogurt, African style e per coltivare ortaggi. E’ nata così la cooperativa Barikamà, che significa ‘Resistente’ in lingua Bambara, un’impresa autogestita da loro, che ha trovato ospitalità in un’azienda agrituristica sulle sponde del lago di Martignano, dove la produzione di yogurt avviene in un caseificio con tutti i permessi e le norme sanitarie in regola.

“Dopo la rivolta di Rosarno siamo arrivati a Roma e dopo aver passato qualche tempo alla stazione Termini siamo stati ospitati in un centro sociale sulla via Prenestina ed è lì che ci siamo conosciuti” racconta all’Adnkronos Ismael, originario del Benin. “L’idea di produrre yogurt alla maniera nostra, africana, è nata lì”.

“Sono libero e indipendente nel mio lavoro, non sono più schiavo di qualcuno nelle campagne italiane – prosegue Ismael che nel Benin ha lasciato la famiglia e una figlia di 7 anni – dovunque sono andato a raccogliere la frutta a Rosarno, a Foggia, a Torino, sono sempre stato sfruttato. Mi pagavano 25 euro al giorno per dieci ore di lavoro. Uno sfruttamento assoluto. E ora, anche se non guadagno moltissimo, non importa, sono soddisfatto”.

Il latte per fare lo yogurt bio arriva da Amatrice, una scelta di qualità. “Abbiamo scelto di acquistare il latte di montagna perché è più buono – sostiene ancora Ismael- certo non è semplice, soprattutto dopo il dramma del terremoto perché spesso dobbiamo andare noi fino ad Amatrice a caricare il latte. Ma ne vale la pena”. La produzione di yogurt è aumentata moltissimo dagli iniziali 10 litri a settimana si è passati a 150.

Cheik invece, arriva dal Senegal, il suo sogno era fare il calciatore, ma dopo aver provato a entrare nella squadra del Benfica di Lisbona è approdato a Rosarno senza documenti e senza una casa. “Ho lavorato sotto i caporali neri, gli africani, che – racconta Cheik – oltre a pagare pochissimo chiedono anche 5 euro a bracciante per il trasporto nei campi e perfino una bottiglia d’acqua la fanno pagare, 1,50 euro”.

L’operazione è partita grazie alla sensibilità di due imprenditori agricoli, i fratelli Aurelio e Andrea Ferrazza aderenti a Confagricoltura, che li ospitano appunto al casale di Martignano, dove oltre al caseificio è stato piantato, su 3 ettari di terreno, un grande orto biologico. I lavori più grossi, della lavorazione della terra con trattori e macchine agricole vengono svolti dall’azienda dei Ferrazza mentre tutto il resto, dalla semina al raccolto, dalla cooperativa Barikamà, in base a un accordo di collaborazione. La vendita diretta dei prodotti viaggia anche su due ruote. Con una spesa minima di 10 euro, i ragazzi della cooperativa Barikamà fanno consegne a domicilio in bicicletta in tutta Roma e dintorni.

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