Dopo il tanto atteso incontro, avvenuto tra i due presidenti russo e americano ai margini del summit di Amburgo del G20, il principale risultato tangibile è stato un cessate il fuoco nell’angolo sud-occidentale della Siria; ma questo al pubblico di casa di Putin, in particolare quando le vittime russe nel conflitto continuano a crescere, provoca poco compiacimento.
Putin è stato generoso con i suoi piuttosto dubbiosi complimenti indirizzati a Trump, descrivendolo come un uomo che lo ha sorpreso per la prontezza ad ascoltare e a rispondere francamente. I principali media russi risolutamente ignorano tutte le nuove svolte delle indagini statunitensi sull’interferenza di Mosca nelle elezioni presidenziali dello scorso anno; invece, i giornali russi s’attengono alla posizione ufficiale di tante difficoltà dovute a molti divieti e sbarramenti, come Putin ha riconfermato ad Amburgo.

Ma la storia principale in realtà, è legata alla battaglia per avere accesso alle case (dacie) diplomatiche a Washington, DC e New York, dichiarate off-limits per la Russia dall’amministrazione di Barack Obama nel dicembre scorso.
L’immediato crollo dell’iniziativa per creare un gruppo congiunto per la sicurezza in rete, è stato principalmente adagiato nel contesto delle complicate relazioni di Trump con il Congresso degli Stati Uniti, ed è stato spiegato come una vittima dei furiosi attacchi al presidente da parte degli afflitti democratici. Infatti, nella sfera della guerra in rapida evoluzione dello spazio virtuale, in cui gli attacchi potrebbero infliggere danni pesanti e rimanere impuniti, si sente la necessità di “regole di impegno”.
Ancora una volta, un altro recente hack contro il Dipartimento di Stato americano, ha sottolineato che il rischio resta elevato e con poche possibilità di reazione. Il problema, però, è che è perfettamente possibile ai servizi speciali russi coprire il loro coinvolgimento, sia coinvolgendo, e poi scartando “alcuni hacker patriottici”, quindi a Mosca, c’è poco incentivo per limitare i propri esperimenti per attivare operazioni offensive in rete. Solo poche imprese in Russia hanno la capacità di sviluppare armi potenti, quanto il recente virus Petya; ma il Cremlino s’oppone veementemente ad applicare sanzioni a tali indiziati, come Kaspersky Lab.

Nel dominio ciberneutico è difficile distinguere tra operazioni di servizi speciali russi e attivismo di hacker, in quanto vuol dire trovare una differenza tra il reclutamento di “beni” dell’intelligence e gli “oligarchi” russi che creano connessioni d’affari all’estero. La riunione scoperta di recente, avvenuta l’anno scorso tra i membri chiave della campagna Trump e l’avvocato legato al Cremlino, Natalia Veselnitskaya, in cui c’erano un lobbista russo-americano e un ex ufficiale del controspionaggio sovietico, Rinat Akhmetshin, illustra bene questa confusione: i tentativi di lobby contro la legge di Magnitsky sono così scomodi che un fiasco era già pre-determinato.
I servizi speciali russi hanno accesso a vari pool di “soldi sporchi” e non si sentono impegnati nell’approvvigionamento di tali fondi, anche per il loro profitto personale, come ha dimostrato ancora una volta l’arresto dei due segugi federali di sicurezza (FSB) a Mosca. Ogni proposta razionale per creare in alcune aree di relazioni nuove e affidabili “regole di impegno, compreso anche il controllo delle armi, è inevitabilmente compromessa e sconfitta dalla pervasiva cultura della corruzione, che permea la politica estera russa e che impiega, come strumento di scelta, la propaganda “black”.

La lotta alla corruzione è il fulcro della campagna politica del blogger politico dell’opposizione, Alexei Navalny, che insiste che non è uno slogan vuoto, ma una causa pratica e vincente. La campagna politica segue attentamente lo sviluppo delle indagini russe negli Stati Uniti, ed ha importanti cose da dire sulle connessioni corrotte, in particolare per quanto riguarda il ruolo del procuratore generale, Yuri Chaika. In piedi e sempre pronto alla lotta contro l’implacabile pressione della polizia, Navalny vuole espandere reti di seguaci, in particolare tra i giovani. L’ipocrisia del governo a colpirlo aggiunge solo credibilità alla sua causa. A differenza di molti critici liberali del regime di Putin, Navalny s’è posto come obiettivo la costruzione di un potere politico, mentre il governo corrotto non riesce a trovare un modo per fermarlo, a meno che non utilizzi misure estreme, come con Boris Nemtsov, i cui assassini hanno appena ricevuto pene relativamente leggere.

Putin sembra turbato da questa sfida politica: egli è riluttante a concedere a Navalny di partecipare alla campagna presidenziale, ma capisce che senza la partecipazione dell’avversario dell’opposizione, il concorso elettorale potrebbe mancare di legittimità. Il leader russo deve ancora annunciare la sua partecipazione ad un altro termine presidenziale, e, una settimana dopo Amburgo, ha preferito viaggiare in alcuni monasteri distanti. I dubbi, che le elezioni che sono tra otto mesi saranno fortemente manipolate a favore di Putin, sono molto alti, anche se c’è ancora in piedi la questione se intende correre, oppure no.
Putin, tuttavia, trova un po’ di conforto nei sondaggi, che mostrano che il 66 per cento dei russi lo vogliono ancora al potere. Però, sa anche quanto velocemente lo stato d’animo possa muoversi e sospetta che le élite possano tradirlo, soprattutto perché il suo fedele subordinato, il primo ministro Dmitry Medvedev, dopo che Navalny lo ha attaccato con una indagine, ha perso tutto il supporto della burocrazia dominante. Ritardare l’annuncio alla corsa presidenziale potrebbe essere un modo utile per mantenere la suspense, ma quando guadagnerà slancio il messaggio diretto di Navalny sulla necessità di cambiare il vertice, sarà necessario che Putin prenda posizione.
Putin, forse sta pensando che il problema della corruzione sia di scarso interesse per il pubblico russo, ma l’aumento delle restrizioni sociali provoca inevitabilmente oltraggio contro la predazione burocratica.

Il presidente russo potrebbe anche pensare che aver esportato la corruzione gli ha portato alcuni utili legami con l’amministrazione Trump, ma le approfondite indagini americane stanno trasformando ogni piccolo patrimonio di questo tipo in enormi responsabilità. Putin, dopo il promettente tête-à-tête di Amburgo, spera di poter mantenere un dialogo di alto livello, ma non riesce appieno a comprendere il rischio politico che sta correndo la sua controparte della Casa Bianca con l’amicizia con il capo del Cremlino.
La nuova miscela di corruzione, operazioni di intelligence, attacchi di ciber e offese di propaganda, ora marchio della politica estera della Russia, richiede un nuovo tipo di dissuasione occidentale e, nella lotta contro questa minaccia, non può esserci alcun cessate il fuoco.

Gabrielis Bedris