Parla la poliziotta che ha sgominato il branco di stupratori di Rimini

Attualità & Cronaca

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Sono rimasta impressionata dalla loro ferocia. Sono molto giovani e carichi di odio”

                                                POLIZIOTTA BUTUNGU ARRESTO

 “Le lesioni che hanno inferto alle due donne dimostrano che si sono accaniti in maniera bestiale su di loro ma durante l’interrogatorio si sono mostrati mansueti”

La testimonianza: “il 15enne era il piu’ pericoloso. Una volta disse agli amici: quella la faccio bere e la violento. Uno psicopatico. Parlava solo di uccidere e stuprare”

Fiorenza Sarzanini per il Corriere della Sera

La sua mano tira la maglietta di Guerlin Butungu, il congolese ritenuto il capo degli stupratori, e lo trascina in Questura poco dopo l’ arresto. La foto che ha fatto il giro di tv e siti internet fissa il momento liberatorio dopo una settimana di massima tensione. Perché Francesca Capaldo, capo della sezione dello Sco (il Servizio centrale operativo) che si occupa della violenza di genere, è la poliziotta che da lunedì 28 agosto si è trasferita a Rimini e ha lavorato giorno e notte per catturare il «branco».

Avete mai pensato di non farcela?

«Mai, nemmeno per un minuto. È stato un lavoro di squadra formidabile e in una settimana siamo riusciti a braccarli tutti».

Lei ha lavorato in tandem con la collega della Mobile Roberta Rizzo. Quanto ha contato la vostra presenza per far sentire le vittime al sicuro?

«Certamente questo ha aiutato, soprattutto nella volontà di collaborazione della transessuale peruviana che ci ha fornito elementi precisi e ci ha messo sulla pista giusta. Ha capito che poteva fidarsi e ha parlato con noi senza imbarazzi. Grazie alle sue parole siamo riuscite a ricostruire ogni dettaglio, è stato come vedere con i suoi occhi che cosa era accaduto quella notte. Ed è stato davvero impressionante».

L’ identikit sembra quasi una fotografia?

«La collega della polizia Scientifica ha colto perfettamente ogni dettaglio delle testimonianze e il risultato è davvero impressionante. Non a caso ho parlato di lavoro di squadra e certamente non mi riferisco soltanto alle donne».

C’ è qualcosa che l’ ha particolarmente colpita in questa vicenda?

«Mi occupo da tempo di questo tipo di reati, seguo numerose indagini su episodi di violenza. Ma sono rimasta impressionata dalla ferocia di questi ragazzi. Sono molto giovani, eppure hanno tirato fuori una carica d’ odio enorme».

Che cosa li ha scatenati?

«Forse il fatto di muoversi in branco. Quando li abbiamo interrogati si sono mostrati mansueti. E invece il racconto delle due donne, le lesioni che hanno inferto loro, dimostrano che sono riusciti a tirare fuori una forza brutale. Erano accaniti in maniera bestiale, non mi era mai capitato di vedere una cosa del genere tra estranei. Può accadere nelle violenze in famiglia, quando c’ è un rancore pregresso. Così è assurdo, non dimenticherò facilmente il terrore che ho letto sul volto della ragazza polacca».

I cittadini vi hanno aiutato?

«Abbiamo ricevuto moltissimi messaggi di solidarietà da tutta Italia, le donne di Rimini ci hanno spronato ad andare avanti. Anche oggi, quando siamo arrivati in Questura, ci hanno gridato parole di incitamento».

                                                                                  GUERLIN BUTUNGU

Butungu nega lo stupro

«Noi stiamo lavorando affinché queste due vittime possano avere giustizia.

Andiamo avanti fino a che tutti i tasselli del quadro non andranno a posto. E posso dire che molti sono già a posto».

QUANDO IL 15ENNE DISSE: QUELLA LA FACCIO BERE E LA VIOLENTO

Brunella Giovara per la Repubblica

Il 23 agosto, alla festa di compleanno di Margherita, «K. disse una cosa che ci lasciò tutti di m… Aveva puntato una mia amica, Laura, che gli piaceva molto. Disse “adesso la faccio bere e poi la violento”».

E voi? «Ci sono state reazioni diverse.

Qualcuno è scoppiato a ridere, un altro gli ha detto “ma sei scemo”, molti sono rimasti male. Io e le mie amiche del cuore, ad esempio. Laura si è spaventata moltissimo, ed è rimasta con noi tre tutta la sera, appiccicata a noi».

                                                                                   BUTUNGU

Come le tre civette sul comò, Margherita e le amiche Hiba e Irene, tutte italiane, di famiglie emigrate dal Marocco, e tutte di anni 15, raccontano appollaiate sugli sgabelli di un bar com’ erano i quattro arrestati. Sono tutte molto carine, anche molto spaventate, ma sagge e prudenti, soprattutto ripensando a quello che è successo sulla spiaggia, a Rimini, e che forse poteva succedere anche a loro, forse. «Invece no, guarda che K. ci ha sempre trattato come sorelle, o cugine. Le nostre famiglie sono arrivate qui più o meno insieme, e le famiglie marocchine si aiutano molto». E K., il più giovane degli arrestati, «ci faceva paura, certo, per come si comportava. Uno psicopatico. Parlava solo di uccidere e violentare. Era anche noioso, in questo.

Ma non ci ha mai toccate, e noi comunque facevamo attenzione. Stavamo sempre insieme, noi tre». La compagnia «è fatta di una trentina di ragazzi, abbiamo il nostro gruppo WhatsApp. Ci sono marocchini, albanesi, e cinque italiani. Che si fa? Si prende il tram e si va a Pesaro, a divertirci, perché qui non c’ è niente». Il tram in realtà è l’ autobus, che porta i ragazzi a scuola o al «piazzale Matteotti, dove ci sono le panchine, noi siamo sempre lì». O alla stazione, dove poche ore dopo gli stupri, «c’ era molta polizia.

BUTUNGU

C’ eravamo anche noi Loro quattro erano lì, siamo andate a salutarli. Abbiamo visto i controlli, chiedevano i documenti, un poliziotto ha anche squadrato per bene K, davanti e dietro, poi se ne è andato».

Era sabato pomeriggio, la caccia alla banda dei quattro era cominciata all’ alba, quel pomeriggio M., il fratello diciassettenne di K., era nervoso. Continuava a chiedere “ma chi cercano? Magari c’ è un politico? O un cantante? O stanno cercando qualcuno?”. K invece era tranquillo, rideva e scherzava».

C’ era anche Guerlin, il congolese, «ma noi l’ abbiamo sempre chiamato Biondo, per scherzo, no? Lui così nero».

E cosa si dicevano? Qui il ricordo di Irene e Margherita è preciso: «Abbiamo sentito solo noi due, quelle frasi: M. a un certo punto ha detto “sai cosa abbiamo fatto, no?”, come a dire che siamo stati noi, perciò c’ è tutta questa polizia, ma abbiamo capito dopo il significato. E il Biondo ha risposto “Stai zitto, fra’”, cioè fratello».

Ma un’ altra cosa ha inquietato le tre ragazzine. «Da venerdì notte, da quel venerdi, sono spariti da WhatsApp.

Biondo non era nella chat, ma gli altri tre, muti, non si sono più collegati. Abbiamo pensato che era strano. Poi sono proprio spariti, nessuno della compagnia li ha più visti. Ci siamo dette: “E se fossero loro?“».

BUTUNGU

Ma l’ altro ieri è spuntata fuori la foto, il frame della telecamera. Anche se sembrano tutti uguali, i ragazzi con le felpe e il cappellino all’ incontrario, i jeans, le magliette tutte uguali, «e invece no! Noi li abbiamo riconosciuti. Guarda qua: A sinistra c’ è M., quello in mezzo è L., a destra c’ è K.».

Hiba si è messa a urlare, Irene, «mi è venuto a piangere, erano i nostri amici, erano stati loro». Margherita: «Io ho sempre pensato che fossero stati loro, c’ erano delle coincidenze, uno non si cancella dalla chat degli amici così, di colpo». Nessuna di loro ha pensato di fare qualcosa, «erano solo dei sospetti, come fai a dire che secondo te sono stati loro, chi ti crede?». E poi, «K. eravamo sicure che prima o poi ammazzasse o violentasse qualcuno. Lo diceva sempre. È violento, vuole sempre fare a botte con tutti, se vede uno che non gli piace si alza e va a menarlo. Il controllore dell’ autobus ad esempio. E gira con un coltellino, l’ ha usato per ferire un altro ragazzo, che poi l’ ha denunciato». E «gli piacciono le ragazze, forse è un malato, diceva sempre di essere invalido, a me sembrava che stesse benissimo, a parte la psicopatia ». E «ha avuto molte fidanzate, tra cui una certa M., che sta abbracciata a lui sul profilo Facebook, e «quando passava una ragazza le guardava il culo e diceva a noi “quella me la farei”».

Sul perché non mollassero questo K. al suo destino, come è poi stato, le tre rispondono «che ci faceva paura. Stavamo zitte. Lui ci chiamava sorelline». Hiba: «A me ha rubato il cellulare. Io lo invitavo alle feste a casa mia e lui mi ripaga così. Mia madre ha deciso che era meglio non denunciarlo, viene da una famiglia un po’ pericolosa, nessuno dei nostri genitori li frequenta più». E il Biondo? «Parlava poco. Diceva di essere scappato dalla guerra, ma non ne voleva parlare. Spacciava alla stazione, fumo e ganja, aveva sempre soldi. Loro erano sempre vestiti firmati. Nike, Adidas, Vans, Converse, roba che costa. Le scarpe K. le rubava in palestra, poi l’ hanno espulso da scuola, faceva l’ artistico.

L’ unico che non rubava era L., il nigeriano. A lui la famiglia comprava tutto, stanno molto bene, gli hanno regalato l’ iPhone». Cosa dicevano, di quelle cose firmate? I due fratelli erano poveri «Dicevano che arrivavano dalla Caritas. Ma noi lo sappiamo, che alla Caritas non ti danno quei vestiti».

E M.? «Era appena uscito dalla comunità. Spacciava, gliel’ hanno trovata nello zainetto». Margherita dice che «aveva promesso di rigare dritto. “Non voglio tornare in quel posto”, diceva, perciò mi stupisco che abbia fatto quelle cose, tornerà dentro, no?». Eh sì, tornerà dentro.

Fonte: qui

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