Pagava Jodit. E pagava Mohamed. Alla fine pagavano tutti

Lazio

Di

Ilaria Sacchettoni per il ‘Corriere della Sera’

 Perché nella città delle emergenze abitative si paga anche per occupare un alloggio.

Dieci euro a persona ogni giorno. Che alla fine, moltiplicato per circa 700 persone, quanti erano (a pieno regime) gli occupanti di via Curtatone, fa settemila euro al giorno.

A chi andavano quei soldi?

Tra i documenti agli atti degli investigatori c’ è anche un plico leggero ma importante che ieri la Sea srl, assistita dall’ avvocato Carlo Arnulfo, ha sottoposto ai carabinieri. Una massa di ricevute firmate dai profughi alloggiati nel palazzo. Fogli su cui spiccano cifre e sigle. Dieci euro. Trenta euro. Venti. Cinquanta.

Soldi versati ad altri immigrati, a quanto pare, intermediari di cui non sono chiari ruolo e contatti.

Una somma discreta per garantire che cosa? Che a Jodit e alle centinaia di disperati precariamente alloggiati in quegli spazi non se ne aggiungessero altre? Erano legati a qualche frangia dei movimenti di occupazione? Non si può escludere.

Possibile che qualcuno sfruttasse l’ ennesima emergenza cittadina. Non sarebbe una novità.

Grande è la confusione riguardo alle fughe di informazioni che precedono le occupazioni in città. Mentre alcune inchieste – e fra tutte quella sull’ ex centro sociale «Angelo Mai» (poi rinato) – hanno dissipato una serie di dubbi sullo sfruttamento della categoria «immigrati» da parte di movimenti e politici.

Era il 2014. E lo stesso reparto della Digos che oggi indaga sullo sgombero di piazza Indipendenza, rintracciò in casa di alcuni leader dei movimenti di occupazione banconote per migliaia di euro, ricevute e, soprattutto, l’ elenco di nomi e delle somme versate dalle famiglie in occupazione.

L’ inchiesta andò oltre fotografando un quadro di «desolante e diffusa illegalità, con profili di responsabilità di carattere non esclusivamente penale e civile ma anche amministrativo, sociale e politico» per usare le parole del gip Riccardo Amoroso. Uno scenario in cui erano anche diffusi «contatti e rapporti con esponenti politici per individuare alloggi da occupare».

GLI APPARTAMENTI NEL PALAZZO OCCUPATO IL BUSINESS DELLA CASA: 2000 EURO AL MESE AGLI ORGANIZZATORI

Camilla Mozzetti e Adelaide Pierucci per ‘Il Messaggero

Dieci euro per coricarsi una notte nel palazzo occupato. Anche se su giacigli improvvisati o su brande accatastate in stanzette e corridoi. Sulla pelle dei disperati c’era chi provava a fare fortuna. Poteva fruttare migliaia di euro al mese il palazzo occupato da migranti e rifugiati sgomberato giovedì, in via Curtatone in piazza Indipendenza, dopo una mattinata da guerriglia urbana, chiusa con centinaia di sfollati e cinque arresti, con gli occupanti, per lo più rifugiati, che lanciavano bombole, sedie, bottiglie e sassi agli agenti in tenuta antisommossa.

I RITROVAMENTI

GLI APPARTAMENTI NEL PALAZZO OCCUPATO

Durante le fasi di sgombero sono state trovate delle ricevute con tariffe anche giornaliere. «Tre giorni al quinto piano, stanza 22. Trenta euro». A conti fatti per ogni famiglia, il gruppo di stranieri che per primo ha occupato l’edificio nel lontano 2013 richiedeva ad ogni nucleo familiare in cerca di sistemazione, anche temporanea, dieci euro al giorno.

Ogni mese, con questo sistema, il gruppo non ancora identificato, riusciva a guadagnare una cifra variabile ma comunque compresa tra i 1.500 e i 2.000 euro.

La documentazione è stata ritrovata durante lo sgombero. Al momento il materiale è nella mani dei carabinieri. Che da ieri si sono messi a caccia dei primi riscontri. Una ricevuta è intestata a un certo Gebru e risale all’aprile del 2016. La firma di chi ha incassato è illeggibile. I giorni di occupazione tassata è di tre.

PIAZZA INDIPENDENZA

Due, tre e quattro aprile. Il pagamento all’uscita. Non una novità in città.

Dove all’opera ci sono gruppi di finti benefattori che mascherano associazioni a delinquere organizzate allo scopo di compiere occupazioni abusive di immobili e quindi estorsioni ai bisognosi collocati.

Come quella capeggiata da una leader storica del Comitato di lotta per la casa Maria Giuseppa Vitale, 58 anni, nota come Pina. In questo caso accusata di «aver pianificato ed attuato l’occupazione» di uno stabile in via Terme di Caracalla trasformato nel centro sociale Angelo Mai, dell’ex scuola Amerigo Vespucci e dell’ex clinica San Giorgio.

Un’accusa pesante a cui vanno aggiunte le contestazioni di furto di risorse energetiche, di estorsione, violenza privata, ingiuria, e minacce. Secondo la procura infatti i rappresentanti del Comitato avevano messo in piedi un’associazione che, con la scusa di trovare un alloggio per i bisognosi, «li costringeva a occupare gli edifici, per poi estorcergli denaro e prestazioni lavorative gratuite, sotto minacce, ingiurie e violenze».

I DANNI

Nel palazzo di via Curtatone, nove piani un tempo sede della Federconsorzi, intanto, si contano i danni. Nell’immobile di proprietà del Fondo Omega Immobiliare, gestito dalla SeA, Servizi Avanzati srl, i lavori di restauro potrebbero durare mesi. Le finestre al primo piano vanno messe in sicurezza. Gli infissi pericolanti rimossi. L’impianto elettrico con una serie di allacci volanti realizzati dagli occupanti va ripristinato. I lavori d’urgenza, in attesa del dissequestro, sono stati sollecitati ieri in procura dal legale della SeA, l’avvocato Carlo Arnulfo, che nella richiesta di autorizzazione ha parlato di «lavori indifferibili».

Provvedimento ora al vaglio del procuratore aggiunto Francesco Caporale. Il decreto di sequestro preventivo era stato emesso nel dicembre 2015 dal gip Monica Ciancio, su richiesta del pm Eugenio Albamonte. Ma lo sgombero era sempre slittato.

SCONTRI PIAZZA INDIPENDENZA

Il palazzo, soggetto a vincolo della soprintendenza dei beni architettonici, era stato «invaso», come aveva scritto il gip nel provvedimento, «il 12 ottobre 2013 da Luca Fagiano», altro leader del Coordinamento Cittadino di Lotta per la Casa, «insieme ad altre duecento persone», che a stretto giro sono raddoppiate, fino a triplicarsi. Il sequestro preventivo avrebbe dovuto evitare «il progressivo deterioramento dell’immobile». Interrotto di fatto solo l’altra mattina. Il Campidoglio ora prova a correre ai ripari. Il primo atto riguarda i migranti sloggiati dal palazzo occupato.

L’ACCORDO

È stata firmata una dichiarazione di intenti con la stessa SE.A che metterà a disposizione sei villette a Gavignano Sabina, in provincia di Rieti, per i rifugiati politici, anche con bambini al seguito. «Per ottemperare alla necessità di accoglienza di sei mesi», ha sottoscritto l’atto l’assessore alle politiche abitative Rosalia Alba Castiglione. La domanda potrebbe suonare retorica, ma per quale motivo una società che prova a recuperare un edificio occupato riesce dopo anni a riaverlo offre poi gratuitamente al Comune di Roma altri alloggi?

SCONTRI A PIAZZA INDIPENDENZA

 «Il Comune spiega l’avvocato Arnulfo, rappresentante la Sea, ci ha chiesto un contributo di solidarietà. Le villette sono a disposizione per sei mesi e sono emerse dopo che in passato era stata rifiutata dagli occupanti una sistemazione in un’altra struttura che la Sea gestisce senza esserne proprietaria a Tivoli».

GLI ERITREI CACCIATI SONO PIÙ RICCHI DI TANTI ITALIANI

Franco Bechis per ‘Libero Quotidiano

Nemmeno dopo tutto quel che è accaduto il Fondo Omega di Idea Fimit ha potuto riprendere possesso del palazzo di sua proprietà occupato da più di 500 eritrei dal 2013. Le chiavi non sono ancora state restituite al legittimo proprietario perché lo sgombero non è ancora terminato: fino al tardo pomeriggio di ieri erano ancora asserragliate dentro alcune donne incinte, e la polizia non ha voluto ovviamente forzare la mano.

scontri a piazza indipendenza 3SCONTRI A PIAZZA INDIPENDENZA

Donne e bambini sono stati più volte utilizzati sia dagli occupanti che dalle associazioni per il diritto alla casa e da alcune onlus che non raramente li hanno manovrati, ed è probabile che siano esposti in prima fila oggi nel corteo di protesta ad altissimo rischio organizzato alle 16,30 a Roma, con partenza in piazza dell’ Esquilino in una città blindata per l’ occasione con paura di nuovi scontri.

Movimenti antagonisti e ong che sono spuntati come funghi durante lo sgombero per cavalcare anche politicamente la vicenda degli scontri con la polizia hanno arringato fin dai primi giorni gli occupanti perché rifiutassero le soluzioni abitative loro proposte sia dall’ assessorato ai servizi sociali di Roma che dalla società Sea che quell’ immobile dovrebbe prendere in affitto dal Fondo Omega appena liberato.

Per altro quella soluzione provvisoria (alcune villette a Forano, in provincia di Rieti) è stata sbarrata dal sindaco Pd del paese, Marco Cortella, che ieri non ha voluto sentire ragioni. «Sono contrario», ha detto Cortella, «perché siamo il comune nella provincia di Rieti con il numero più alto di richiedenti asilo. Ne abbiamo già 40 su 3168 cittadini, oltre la percentuale del 3 per mille per ogni Comune prevista dal Ministero dell’ Interno. Invece di gratificarci, ci mortificano».

Al momento gli sfollati dall’ immobile di via Curtatone si sono dispersi per la città, alcuni convogliati da alcune associazioni (Baobab in testa) in ricoveri di emergenza, altri andati in una sorta di rifugio provvisorio vicino alla stazione Tiburtina, altri ancora presi comunque in gestione dalle strutture comunali. E tutti pronti a tornare appena verrà allentata la tensione e la vigilanza in quel palazzo dove ormai si erano insediati da anni.

C’ è un rarissimo video – girato nel novembre scorso da Rete Zero, una tv privata di Rieti- che in pochi minuti fa capire come si svolgeva la vita all’ interno del palazzo occupato, e che tipo di sistemazione avevano trovato gli eritrei. Ormai non era un accampamento come ci si potrebbe immaginare, ma un ufficio trasformato in un vero e proprio palazzo residenziale. Nell’ androne interno chi vi abitava lasciava in modo ordinato biciclette, passeggini e carrozzine.

migranti piazza indipendenza1MIGRANTI PIAZZA INDIPENDENZA

Poi lungo le scale si arrivava ai corridoi degli uffici che erano stati unificati e trasformati in veri e propri alloggi, con tutto l’ arredamento che era necessario. L’ unica cosa artigianale – mancando gli allacciamenti al gas – erano le cucine, con i forni alimentati da quelle bombole al Gpl che avevano tanto preoccupato i vigili del fuoco nell’ unica parziale ispezione fatta.

In casa non mancava nulla: parte giorno e parte notte, letti e divani, tavoli, poltrone, tende per difendere la propria privacy, quadri e immagini religiose (crocifissi e madonnine, perché erano quasi tutti cristiani gli abitanti). Poi frigoriferi, lavatrici, elettrodomestici vari (forni a micro onde, macchine per il caffè) e in non poche abitazioni anche televisori al plasma di grande dimensioni e decoder per ricevere la tv satellitare collegati alle parabole installate dagli stessi migranti sul tetto dell’ edificio.

Entrando in quel palazzo occupato si ha dunque l’ impressione di un certo benessere di chi vi abitava, e che gli eritrei fossero ben al di sopra della soglia di povertà si capisce bene anche dalle immagini scattate sia nel giorno degli scontri che ieri quando sono tornati lì vicino a spiegare la loro protesta alla stampa: molti hanno in mano smartphone di ultima generazione del valore di centinaia di euro. Avevano uno stile di vita compatibile anche con una abitazione regolarizzata da un affitto a Roma, magari non in zone così centrali.

Che non fossero poveri in canna viene confermato informalmente dai rappresentanti della comunità eritrea in Italia che abbiamo sentito in queste ore, che confermano l’ esistenza di lavori regolarmente retribuiti per buona parte degli occupanti. Altri elementi informativi invece fanno capire che non poche fossero le infiltrazioni in quel palazzo, anche di tipo criminale. Non tutti quelli che vi abitavano erano eritrei: molti etiopi, qualche somalo.

Eritrei si sono tutti dichiarati al momento dello sbarco in Italia proprio per potere godere della protezione internazionale, e non avendo documenti per molti di loro l’ attesa delle verifiche è stata talmente lunga da potersi imboscare con facilità.

Dentro il palazzo- secondo le stesse fonti ufficiali della comunità eritrea in Italia- accanto a una vita normale ce ne era una parallela, con cui ci si arrangiava e si otteneva qualche guadagno extra. La più banale veniva dalla sistemazione di alcune stanze con il minimo necessario che venivano affittate a 15 euro a notte agli eritrei di passaggio a Roma. Una sorta di bed and breakfast.

Esisteva anche un altro tipo di commercio: quello delle abitazioni permanenti ricavate in quegli uffici. Se qualcuno di loro trovava regolare sistemazione in città, vendeva i diritti di abitazione in via Curtatone per cifre di una certa importanza, “anche 12 mila euro”.

Le forze di polizia erano già intervenute all’ interno in poche occasioni per stroncare altri tipi di commercio assai più irregolari: sette inquilini arrestati per traffico di migranti, e altri identificati e fermati per traffico di stupefacenti.

VIDEO – DENTRO IL PALAZZO DI PIAZZA INDIPENDENZA (BY RETE ZERO)

Fonte: qui

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