La giustizia italiana in 10 lezioni

Teocrazia e Cristianità oltre Tevere

Di

Lunedì a Bari il nuovo libro di Francesco Caringella

Intervista di Enzo Varricchio

Lunedì 16 ottobre all’Hotel Palace di Bari, inizio alle ore 20.00, sarà presentato “10 lezioni sulla giustizia per cittadini curiosi e perplessi” (Mondadori), nuovo libro di Francesco Caringella, presidente di sezione del Consiglio di Stato, scrittore e commentatore televisivo di gialli giudiziari perPorta a porta e La vita in diretta. Barese, classe 1965, dall’alto della sua esperienza di fondatore della più celebre e seguita scuola italiana per la preparazione agli esami di magistratura, Caringella dedica la sua ultima fatica editoriale a spiegare all’uomo qualunque che cosa si debba intendere oggi in Italia per giustizia, processo, prescrizione e consimili concetti che dal piano più alto della teoria del diritto trascendono purtroppo negli efferati episodi di cronaca e nella legittima aspirazione alla verità da parte dei parenti delle vittime. Profittando della nostra vecchia amicizia, ho chiesto all’autore di raccontare ai lettori della Gazzetta gli aspetti fondamentali del suo libro.

E’ ancora vivo il successo di “La corruzione spuzza”, tuo saggio-vademecum contro la corruzione scritto con Raffaele Cantone, quindi non mi aspettavo di vederti così presto alle prese con una impegnativa  Lectio sulla giustizia alla portata di ogni lettore come dovrebbe essere alla portata dei cittadini quella delle sentenze.  La Mondadori ha capito che sei l’Ulisse dal multiforme ingegno del diritto italiano o il re Mida che dove tocca indora?

Molto più modestamente, la verità è che si tratta di un libro che avevo già quasi terminato ma che era rimasto nel cassetto a causa della recente scomparsa di mia madre, l’ispiratrice delle mie riflessioni alla quale il libro è dedicato. Mi chiamava la sera tardi, reduce da una giornata dedicata ai processi televisivi del momento, pretendendo dal figlio magistrato delucidazioni sul funzionamento della misteriosa macchina della giustizia, su come fosse possibile che vi fossero verdetti antitetici nei diversi gradi del giudizio come nei casi di Perugia e Garlasco, che la stessa legge venisse applicata in modo diverso allo stesso caso. Insomma, mi poneva le domande che si pongono i cittadini curiosi e allo stesso tempo perplessi ai quali mi rivolgo nel libro.

E tu che cosa le rispondevi?

Le spiegavo che la giustizia dei tribunali è umana e non divina. Che la verità a cui può ambire un giudice è quindi relativa non assoluta. Che i giudizi dei magistrati sono soggettivi e opinabili, non oggettivi e certi. Che il diritto, come afferma Nietzsche, è un’arte, non una scienza. E che, nell’arte, «non ci sono fatti, solo interpretazioni», che la divergenza di «opinioni» fra i giudici che esaminano lo stesso caso è del tutto naturale. A maggior ragione in un sistema come quello italiano, dove l’iter processuale si articola in tre gradi di giudizio, che possono diventare  cinque se la cassazione annulla il verdetto di secondo grado.

Tua madre ti capiva?

Mi sforzavo di parlare in modo semplice, anche se Umberto Eco ammoniva che non è mai facile dare risposte semplici a domande semplici. Le sentenze, come le leggi, sono troppo tecniche e il popolo nel nome del quale vengono pronunziate spesso non è in grado di capirle. Anche mia madre non comprendeva fino in fondo i miei ragionamenti. Per lei erano spiegazioni troppo sottili e insopportabilmente cavillose. Come ogni persona di buonsenso, voleva che la giustizia fosse chiara, semplice e prevedibile. Pensava che dovesse esistere la «verità vera», al pari della «giustizia giusta». La verità, una sola, non le verità.

Ecco, il concetto di verità, è la tua ossessione come magistrato, come scrittore e ora anche come saggista.

Sì, la verità e la sua ricerca sono ovviamente lo scopo del giudizio e il tormento del giudice, ma occorre capire che dal meccanismo del processo essa viene cercata a distanza di spazio e di tempo, con il limitato accesso ai fatti che gli schemi processuali impongono e secondo le interpretazioni soggettive dei suoi testimoni, quindi è relativa mai assoluta, umana, imperfetta per definizione.

Spiegare al popolo la giustizia è un atto di umiltà o di presunzione da parte tua?

Entrambi credo. L’umiltà di chi crede che il giudice sia un uomo o donna come tutti gli altri che fa un lavoro difficile come altri e la presunzione di credere nel valore delle mie esperienze.

Le tue esperienze sono molteplici; prima di approdare ai massimi gradi della magistratura amministrativa, hai fatto il commissario di polizia, l’ufficiale della marina e persino il maratoneta. Forse ti manca solo la politica. Che cosa faresti se fossi ministro della giustizia? Un giurista della tua levatura sarebbe un guardasigilli ideale.

Non farò mai il ministro della giustizia ma certamente porrei mano a una drastica riduzione dei tempi dei processi, in alcuni casi riducendo le possibilità di impugnativa. Siamo l’unico Paese al mondo che non prevede il processo ma i processi con tanti gradi del giudizio. Una sentenza tardiva è un errore giudiziario per definizione. Per citare Salvatore Satta, troppo spesso “il processo è una pena ma al processo non consegue la pena”. Più brutalmente, il processo lungo è un premio per l’imputato colpevole che attende la prescrizione e un castigo per quello innocente che subisce un calvario infinitoLa giustizia deve essere calcolabile nei tempi e prevedibile negli esiti. Darei ulteriore impulso alle soluzioni non giudiziarie delle controversie, valorizzerei maggiormente il precedente giurisprudenziale, come si fa nel Paesi anglosassoni, per non scocertare i cittadini con decisioni troppo diverse su casi analoghi. Accorcerei le fasi del giudizio sulla falsariga del processo amministrativo.

Il tema della prescrizione è dibattuto nelle aule parlamentari ma anche nel tuo libro. Qual è la tua posizione al riguardo?

Sono contrario alla prescrizione durante il processo, il processo deve sempre arrivare al giudizio. Sono favorevole ad allungare i tempi prescrizionali per delitti particolarmente odiosi come quelli di stupro e in generale per quelli ad elevata pericolosità sociale.

La politica italiana sarà capace di partorire un progetto di riforma semplice ed efficace per risolvere i mali della giustizia?

Il problema non è solo politico, c’è un eccesso di giuridificazione sia nel senso della proliferazione di norme scritte e procedimenti articolati e complessi, sia nei rapporti sociali ove troppi conflitti che potrebbero essere evitati o composti finiscono in nei tribunali dando luogo a una serie di giudizi. In questo senso, occorre sviluppare una educazione alla mediazione delle controversie che passa dall’azione di tutti i protagonisti, dagli avvocati ai magistrati ai giornalisti e anche ai professori, perché la giustizia è prima di tutto una questione di educazione al rispetto degli altri che nasce tra i banchi di scuola.

Qual è la morale o, se preferisci, il messaggio fondamentale delle tue dieci lezioni sulla giustizia?

Occorre rafforzare la fiducia che i cittadini ripongono nel sistema giudiziario. Come diceva Piero Calamandrei:  “Per trovare la giustizia bisogna esserle fedeli: essa, come tutte le divinità, si manifesta soltanto a chi ci crede”

Sei uno dei baresi più importanti d’Italia ma lavori e vivi a Roma. Che cosa provi ogni volta a tornare nella tua città che ti ha sempre tributato apprezzamento e successo?

Una grande emozione.  La vita mi sta regalando tanto e certamente la cultura della città dove sono nato e mi sono laureato mi ha formato e sostenuto nei momenti difficili.

PH: Francesco Caringella ed Enzo Varricchio alla Giornata contro la corruzione in Italia

Copertina del nuovo libro di F. Caringella

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