Russia: una continua perdita di chance economiche

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Nell’autunno del 1992, la Russia ha incominciato il suo cammino per la trasformazione economica.

Per 75 anni l’Unione Sovietica ha costruito un sistema economico basato sulla produzione di proprietà statale, pianificazione centrale e prezzi fissi. Cambiare il sistema con piccoli ritocchi, come la direzione sovietica voleva fare, era impossibile.

Il sistema doveva essere distrutto.
Sembrava facile: “tutto” ciò che si doveva fare, sostenevano gli esperti e i tecnici del Cremlino, era liberalizzare i prezzi e anche il tasso di cambio del rublo. Ma la distruzione-ricostruzione è stata dolorosissima: l’iperinflazione ci ha impiegato anni per essere superata – infatti, la Russia ha ottenuto “una inflazione normale” (meno del 5%) solo nel 2016.

Alla fine degli anni ’80, la gente era certa che la principale difficoltà per arrivare ad una economia di mercato fosse la mancanza di specialisti; e, anche se, come spesso accade, per lavorare in un ambiente di mercato richiede competenze e conoscenze, basta rimboccarsi le maniche e andare a lavorare: la liberalizzazione dei prezzi di mercato e la privatizzazione sono un immediato impulso generale. D’altra parte, un compito che sembrava “tutto” molto facile, si è rivelato alquanto difficile, e non è ancora stato risolto.

L’economia sovietica è stata guidata dal dogma ideologico che si deve produrre tutto ciò di cui si ha bisogno. Nei primi anni ’90 l’URSS disponeva di un enorme potenziale intellettuale e tecnologico, e, se fossero state aperte le porte alla cooperazione internazionale, Mosca sarebbe diventata un membro importante dell’economia globale. Ma ciò non è accaduto.

In un primo momento l’ostacolo è stato l’instabilità macroeconomica del paese: poche persone volevano investire in un paese con un tasso di inflazione che supera il 10 per cento al mese. Poi, mentre la Russia ha portato avanti lunghi negoziati e senza sostanza per l’adesione (o per essere più precisi, non aderendo) all’Organizzazione mondiale del commercio, l’Asia sud-orientale e poi la Cina sono diventati i magneti degli investimenti esteri diretti.

Proprio quando l’economia russa è entrata nella sua fase di rapida crescita, il Cremlino ha deciso di limitare rigorosamente l’accesso al capitale straniero. La Russia ha volontariamente scelto una sua specifica strada di globalizzazione: la quota dei materiali grezzi o semplicemente trasformati ha superato l’80 per cento di tutte le esportazioni russe.

Infine, la crisi del 2008 ha colpito la prosperità russa – e con essa il prezzo del petrolio. Quando il paese si è ripreso, si è scoperto che l’economia non aveva alcun driver. Inoltre, l’annessione della Crimea e la presenza delle truppe russe nell’Ucraina orientale hanno portato contro la Russia a sanzioni economiche di vasta portata. I prezzi del petrolio sono scesi ancora di più. La risposta del Cremlino a tutto questo è stata, per dirla dolcemente, strana: ha isolato l’economia ancora di più.
Nel mondo moderno, l’auto-isolamento economico non può portare a risultati positivi.

Infatti, anche se all’apparenza ci possono essere guadagni a breve termine, non è in grado a lungo termine di superare le perdite che inevitabilmente si verificano. Oggi gli investimenti stranieri non sono tanto un flusso di risorse finanziarie, quanto la diffusione della tecnologia, all’accesso alle attrezzature moderne e – forse più importante – l’accesso al capitale umano, ad una forza lavoro altamente qualificata che ha talenti e competenze manageriali. La globalizzazione economica presuppone la libera circolazione del lavoro e del capitale tra i paesi.

Non tutti amano la globalizzazione, ma per una crescita accelerata ed un elevato standard di vita, nei paesi in via di sviluppo diventa essenziale.
Mentre guardiamo l’ultimo quarto di secolo, possiamo tristemente percepire che la Russia non è riuscita a trasformare l’economia sovietica. Può essere un sistema di mercato, ma l’attuale economia russa non è più integrata nell’economia mondiale di quanto non lo fosse il suo predecessore sovietico.

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