Dopo “Che Passioni” finalmente ha visto la luce “Disincanto”

Teocrazia e Cristianità oltre Tevere

Di

DISINCANTO di Luigi Totaro.

Dopo “Che Passioni” finalmente ha visto la luce “Disincanto”.

Il titolo è scarno ma i fatti narrati sono tanti, alcuni molto istruttivi. Si tratta di personaggi a vario titolo impegnati in politica, alcuni – pochi – anche spinti dalla passione verso la cosa pubblica, altri, anche della stessa corrente politica dell’autore, chiaramente impegnati a farsi gli affari propri. Leggerlo è molto interessante non solo per i concittadini dell’autore ma anche per tutti coloro che aspirano a comprendere le ragioni dello svilimento dell’attività politica nazionale e locale. Ma occorre leggerlo con spirito critico, senza lasciarsi abbagliare dalla curiosità verso persone e vicende locali anche recenti, perdendo di vista gli insegnamenti che se ne possono trarre. Insomma la lettura deve essere doppia. Una lettura esclusivamente attenta alle vicende e ai personaggi potrebbe soddisfare la curiosità dei concittadini dell’autore, ma non coglierebbe le finalità dell’opera che vanno ben al di là delle vicende che vengono esposte.

L’autore, professore emerito di lettere nella scuola media, affronta i problemi di Mattinata- ma non solo- cercando di trasmettere ai lettori i valori della solidarietà oggi oscurati da egoismo e arrivismo che sono parte integrante di un ambiente insensibile ai tanti problemi correlati con le disuguaglianze sempre più evidenti. Di qui l’esigenza di spronare i suoi concittadini, soprattutto i giovani, a impegnarsi nel sociale per riportare al centro dell’attività politica l’interesse generale.

Ebbene, in questa visione prospettica, la nuova opera di Luigi Totaro non si occupa solamente di vicende storiche avvenute in un recente passato in Mattinata, ma soprattutto di esaltare i valori di solidarietà sociale. Sotto questo profilo possiamo affermare che l’opera ha un intento precipuamente pedagogico.

Durante la sua attività politica l’autore ha attraversato momenti di grandi speranze inesorabilmente cadute di fronte a una realtà in cui hanno prevalso personaggi senza scrupoli che si sono serviti dei partiti per conseguire e consolidare il loro potere.

La militanza in un partito di sinistra si giustifica, per l’Autore, negli ideali che hanno da sempre caratterizzato il movimento operaio; il principio di uguaglianza delle persone davanti alla legge non può esaurirsi in una mera conclamazione, ma richiede, per la sua realizzazione, un forte impegno quotidiano attraverso l’attività di formazioni politiche proiettate verso un futuro meno ingiusto per le classi disagiate economicamente e culturalmente.

Il PCI, secondo l’autore, è stato il partito che più degli altri si è dedicato a risolvere i problemi delle classi meno abbienti, un partito dalla storia nobile e gloriosa del quale, però, con il tempo, si sono impossessati, cambiandone il nome, “ominicchi incontrati per strada che avevano deciso di giuocare un ruolo di servitori per conto di altri” trasformandolo in uno strumento al servizio di interessi anche incofessabili. A questo punto è lecito domandarsi: “c’è speranza che si torni a formazioni politiche sinceramente proiettate verso la tutela degli interessi dei lavoratori? Da una lettura superficiale del libro sembrerebbe che l’autore ha perso ogni speranza nella funzione politica, ridotta a mero strumento per il conseguimento di interessi privati anche calpestando inesorabilmente quelle che sono le legittime aspettative della collettività. Ma il lettore non deve lasciarsi trascinare dalle apparenze e, anzi, deve ricercare quelle che definirei le linee guida che lo devono accompagnare nella lettura del libro. Tanto più se si tratta di una cronistoria politica locale. Il “Disincanto” non è un romanzo, quindi non possiamo soffermarci alla trama o all’esame dei personaggi, ma dobbiamo domandarci quali sono i messaggi che l’autore vuole trasmetterci.

A mio avviso, per una corretta interpretazione dell’opera occorre considerare che, secondo l’autore, la causa del decadimento della politica va ricercata nell’assenza degli ideali etici che hanno caratterizzato il Novecento. Non a caso sull’ultima pagina di copertina è riportata una famosa riflessione di Enrico Berlinguer proprio sulla questione morale.

La questione morale è, dunque, la linea guida che ci deve accompagnare nella lettura del libro, nel quale traspare la disillusione, ma forse sarebbe più corretto dire il dolore, per la trasformazione dei partiti in comitati di affari ad opera di personaggi privi di scrupoli. L’autore ha sempre ritenuto che i partiti fossero strumenti di formazione politica e di partecipazione democratica, attraverso cui i cittadini potessero contribuire alla determinazione della politica nazionale e locale. Le vicende politiche degli ultimi anni hanno dimostrato, secondo l’autore, che i partiti sono stati utilizzati per finalità diverse. Il libro è un’esortazione, rivolta ai giovani, a impegnarsi in politica per liberare i partiti e la società da faccendieri e ominicchi impegnati per conseguire interessi in contrasto con quelli della collettività.

Dunque, l’autore, contrariamente a quanto farebbe intendere il titolo del libro, nutre serie speranze nei giovani ai quali rivolge un accorato invito a non lasciarsi incantare dalle sirene liberiste che propongono facili successi personali in danno delle aspettative dei lavoratori.

Tra i molti temi trattati nel libro vi è l’assenza di attenzione da parte dei politici locali verso quella che è la percezione dell’ambiente da parte dei cittadini di tutte le età, in particolare dei bambini, degli anziani, dei disabili e dei turisti. Cito al riguardo un esempio illuminante: la mancata realizzazione della fogna nella piana che, come è facilmente intuibile, sarebbe stata necessaria per una maggiore tutela dell’ambiente e della salute pubblica. Sono mancate, dunque, una chiara visione del sistema viario e delle aree urbanizzate e un’intelligenza che, purtroppo, i politici locali degli ultimi anni, distratti da altri interessi, hanno dimostrato di non possedere. Del resto, se predominano gli interessi particolari, la visione dell’assetto urbanistico è necessariamente pensato in funzione dei “propri orticelli”.

Gli argomenti trattati nel libro sono tanti e tali che descriverli in questa sede mi pare impossibile. Donde l’invito alla lettura del libro.

Raffaele Vairo

L’autore della recensione (nato il 5 aprile 1938 a Manfredonia) è stato, per molti anni, docente di diritto negli istituti tecnici. Dal 1994 al 2013 è stato giudice di pace di Pordenone con funzioni di coordinatore. Ha fatto parte del corpo docente dell’I.F.N.E. – Istituto Formazione del Nord Est di Pordenone e della Scuola Forense di Pordenone.

Collaboratore di riviste giuridiche telematiche, è autore delle seguenti opere:

Il processo civile davanti al giudice di pace, del quale è coautore Piero Leanza, 2005 UTET;

Il processo penale davanti al giudice di pace, 2008, UTET;

Le principali contravvenzioni stradali – Accertamento e Opposizione, del quale è coautore Felice Vairo, 2016, Giappichelli.

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