Niente più aziende ai figli. Nell’eredità la svolta no profit

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Con le fondazioni sconti fiscali, manager di fiducia e fine delle liti in famiglia Il Nord Europa indica la via. Ma gli imprenditori italiani restano scettici

ANSA

Ikea Il gruppo è controllato dalla Stichting Ingka Foundation

FABRIZIO ASSANDRI

Invece di lasciare l’azienda di famiglia in mano ai parenti, che possono accapigliarsi già alla lettura del testamento, o di venderla, esiste una terza via. È quella scelta da Giorgio Armani, che ha deciso per la successione di affidare il suo impero a una fondazione. Un soggetto no profit (non votato al guadagno ma al bene collettivo) che diventi proprietario dell’azienda (una realtà a scopo di lucro) e nomini i manager che la gestiscono. Potrebbe sembrare un controsenso, ma se questo modello in Italia è rarissimo non è così all’estero, specie nel Nord Europa.

La danese Carlsberg della birra, la tedesca Bosch degli elettrodomestici, la svizzera Rolex degli orologi sono gestite da fondazioni, come Ikea, Lidl e il gruppo indiano Tata. Il 25 per cento delle più grandi società danesi è controllato da fondazioni. Per analizzare il fenomeno, i problemi e le potenzialità, ieri a Torino si è svolto un convegno organizzato dal Fai, il Fondo ambiente italiano, e dallo studio legale Pedersoli, a cui hanno partecipato giuristi (Piergaetano Marchetti), economisti (Giulio Sapelli), imprenditori (Luca Garavoglia di Campari), presidenti di fondazioni bancarie (Francesco Profumo).

Ma perché si sceglie una fondazione? Il primo motivo lo ha spiegato Armani in un’intervista al Sole 24 Ore: «Abbiamo creato un meccanismo che stimoli i miei eredi a restare in armonia e ad evitare che il gruppo venga spezzettato». In questo modo l’imprenditore crea un monumento immortale all’azienda a cui ha dedicato la vita. I vantaggi concreti sono di due tipi. Il primo è economico. Un ente senza scopo di lucro in genere non distribuisce gli utili ai soci, ma li destina alle attività di beneficenza o li reinveste nei progetti di sviluppo del gruppo. «È più probabile che l’azienda non venga munta», dice Eugenio Barcellona, docente di diritto commerciale all’Università del Piemonte Orientale e promotore del convegno. E anche dal punto di vista fiscale ci sono benefici: non si deve pagare l’imposta di successione o donazione e si beneficia del regimi agevolati riservati agli enti non lucrativi. Figli e nipoti possono essere inseriti nella fondazione, ma per loro diventa molto più difficile dividere o alienare il patrimonio.

L’altro aspetto, citato dallo stesso Armani, è che attraverso una fondazione il capostipite di un’azienda può fissare i paletti per il futuro, scolpendone la filosofia attraverso lo statuto. Insomma, può scegliere persone di fiducia ai vertici della fondazione e scrivere «la regola». Un po’ come i fondatori di un ordine monastico, rendendosi eterni al momento del passaggio generazionale.

Per certi versi, un precedente di Armani è l’emiliana Faac, che produce cancelli. Il proprietario Michelangelo Benini nel 2012 la lasciò in eredità alla Chiesa: fece infuriare i famigliari e temere una gestione troppo filantropica, ma l’azienda è ancora in piedi.

Restano problemi e dubbi, emersi in controluce nel convegno (e ancor più nella platea piena di avvocati d’affari). I principali sono di carattere regolatorio e fiscale. Alle fondazioni sono dedicati pochi articoli del codice civile. Un allargamento della loro funzione potrebbe nascondere l’intento di eludere la tassazione nella distribuzione degli utili. Ci sono i nodi delle nomine e del controllo del consiglio di amministrazione, dei poteri dei manager, delle verifiche. E poi le fondazioni, in Italia, hanno un regime giuridico che vincola l’attività a scopi pubblici. Una parte del mondo imprenditoriale chiede che questi vincoli vengano ridotti. Ma il mondo giuridico è diviso.

Contro le «ingerenze pubblicistiche», Luca Garavoglia di Campari auspica un modello pienamente privatistico delle fondazioni, «uno strumento che faccia da filtro tra la famiglia del fondatore e l’azienda, per evitare arbitrio e familismo».

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