Essere uno studente di Relazioni Internazionali

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Ecco a voi la “fenomenologia delle Relazioni Internazionali”: tutte le difficoltà che uno studente di Relazioni Internazionali deve affrontare per spiegare cosa studia!

Se fossi Ministro dell’ Istruzione, mi dedicherei ad un’attività preventiva e formativa per i giovani futuri universitari. Non parlo della scelta del corso di studi, ma dello step immediatamente successivo: una guida pratica alla presentazione al mondo della tua facoltà, corredata di effetti collaterali derivanti da errata somministrazione. No, perché la vita di chi ha scelto Relazioni internazionali e diplomatiche non è mica facile.

Avrebbero dovuto darmi un foglietto illustrativo quel giorno, insieme al modulo di immatricolazione, che mi avvertisse, quantomeno, che la mia esistenza nei cinque anni seguenti sarebbe stata costellata da facce a forma di punto interrogativo.

E dico solo cinque anni, perché poi sarebbe stato opportuno che, alla laurea, mi avessero dato un ulteriore vademecum su come balbettare cazzate alla domanda: “e ora cosa fai?” Perché, se nella mia mente ho sempre avuto abbastanza chiaro quello che stavo facendo e quello che mi accingevo a fare, gli esiti delle mie spiegazioni agli estranei alla materia mi sono sempre parsi fumosi e disarticolati. D’altra parte, che tipo di logica argomentazione avrei potuto impostare all’ormai leggendaria replica di una lontana zia alla fresca notizia: “Ah. Ma è proprio una facoltà?”

Avrei mai potuto parlare di guerre preventive, di Convenzioni di Ginevra, di gioco internazionale (cit. per chi la capirà)? No. Soprattutto perché lei avrebbe trovato più verosimile una risposta tipo: “no, è una cooperativa agricola dove si studiano tecniche di negoziazione per il baratto di pomodori con i cinesi”.

In generale, nel periodo universitario la reazione alla notizia si poteva ricollegare ad una semplice equazione anagrafica: entusiasta e a tratti scomposta per la “figata” della cosa tra gli under 25, sbadata approvazione per i 25-40, che avevano paura di sentirsi antichi nel chiedere ulteriori informazioni, modello zia per il resto.
Non ho fatto in tempo ad abituarmi alla polarizzazione superfiga- studentessa di scienze delle brioches, che la laurea ha cambiato tutto. Perché la notizia di essere in fase di ricerca del lavoro stimola oltremodo la fantasia altrui, impreziosendone ulteriormente i conseguenti saggi consigli. In questo caso, la reazione a “sono laureata in Relazioni internazionali e sto cercando lavoro” non è facilmente classificabile.

Ma, al fine della comprensione, continuerò con la suddivisione anagrafica, tracciando due grandi gruppi:

Over 40: se all’indomani dalla laurea si erano discretamente delineati scenari che variavano da Ministro degli Esteri a vice, pian piano stanno emergendo gli evergreen.

1) il concorso pubblico. Uno qualunque. Perché se vinci un concorso pubblico eh… Eh?

2) La banca. Perché il posto in banca è sempre una sicurezza. Da Lehman Brothers pure erano tutti sicuri.

3) “ma tu non potresti insegnare niente?” Uhm si, alle scuole medie ci sarebbe grande richiesta per la materia “la Russia nel mondo”. D’altra parte, in Russia c’è già. (e non scherzo)

Under 40. La loro più o meno fresca esperienza di ingresso nel mondo del lavoro li fa sentire legittimati a vaticinare consigli ma anche a lanciarsi in ipotesi sulla tua futura carriera. La constatazione delle ottime intenzioni è solo un palliativo al dato di fatto che, per i ¾ di loro, l’UE serve essenzialmente a non usare il passaporto per viaggiare e Bismarck potrebbe tranquillamente essere una marca di porcellane bavaresi.

Quindi, a seconda del livello di fiducia che ti attribuiscono, ecco la top three delle espressioni, rigorosamente tratte da scena di vita vissuta:

1) Ma ho sentito che in questi giorni c’è quel concorso…quello “proprio dei diplomatici”. Perché non vai a farlo? Perché aspetto di dimenticarmi ancora qualche altra cosa, sai, per il concorso sulle brioches più si è impreparati meglio è.

2) Ah, un mio amico mi ha detto che all’UE gli stage sono pagati. Fai la domanda, non è una cosa che si sa molto in giro, sicuramente hai buone possibilità. No, è che poi fare domanda solo con altri 15000 da tutta Europa..non so, mi darebbe la sensazione di avere la vita troppo facile.

E, l’ultima, più diffusa, che potrebbe acquisire un senso se non fosse pronunciata preferibilmente da giovani che hanno varcato l’italico confine per visitare San Pietro in terza media e per andare in Grecia dopo la maturità:

3) Perché non vai all’estero? (un estero X, uno qualsiasi, come per i concorsi). Perché poi sarebbe troppo stressante dover decidere tra tutte le ugualmente vantaggiose offerte di lavoro recuperate camminando per strada, perché all’estero funziona così.

Ora, capirete che davanti a tale scenario, comincia ad essere non solo verosimile, ma anche allettante la prospettiva di fare volantinaggio con i propri CV o in alternativa di iscriversi alla Lega solo per farsi comprare una laurea in Ingegneria a Malta.

La verità è che spesso la frustrazione per il desolante panorama lavorativo è aggravata dalla percezione dell’essere considerati laureati di serie B, che pagano adesso con una doppia fatica la presunta facilità del loro corso di studi. Una percezione diffusa, della quale non sempre si riesce a ridere.

Per evitare lo sgomento, o per riderne di più, il comportamento del laureato medio in Relazioni Internazionali è quello di relegare l’argomento “lavoro” esclusivamente alla ristretta cerchia dei propri simili, lasciando che si infittisca di mistero con il mondo esterno, al quale riserverà sorridenti silenzi. Perché chiedersi cosa c’è tra il Ministro e le brioches con chi conosce la crucialità della situazione del Nagorno-Karabakh è tutta un’altra storia.

Ma veniamo al vero scopo di questo post, che non è lo sfogo di una neo-laureata (nemmeno tanto neo, ahimé) che si districa nella giungla del mondo del lavoro, sebbene forse qualcuno potrà leggervi una leggerissima punta di esasperazione.

Lancio qui un accorato messaggio a tutti voi, parenti, amici, conoscenti, estetisti, parrucchieri di un laureato in Relazioni Internazionali: perfezionatevi in incoraggianti silenzi-assensi. Cioè, il problema non è la non conoscenza dell’argomento, ma il fatto che voi vogliate parlarne comunque. Nemmeno io ho mai capito cosa fa un laureato in ingegneria gestionale, ma non per questo lo invito ad aprirsi una salumeria, perché sempre di gestione si tratta.

Limitarsi a rassicuranti frasi fatte. Insomma, un “quando meno te l’aspetti” andrà benissimo.

Scritto da: Francesca

Tratto dal blog: Quando meno te lo aspetti

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