Antonio Gramsci, la musica e il melodramma italiano

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di Pierfranco Moliterni

A ottant’anni dalla sua morte, Antonio Gramsci è l’autore italiano moderno più letto, studiato e usato al mondo. In questo anniversario […] è opportuno una ricognizione delle categorie elaborate da Gramsci  […] Non si tratta solo di una ricerca rivolta al passato, ma di un tentativo di comprendere nodi politico-culturali utili al tempo presente”.

Questa breve presentazione degli organizzatori del convegno internazionale su Antonio Gramsci (Ales, 22 gennaio 1891Roma, 27 aprile 1937) tenutosi  a Bari tra nella metà del mese di novembre con alcune relazioni interessanti (Vacca, Suppa, Fistetti, Durante, Voza, Forenza), sintetizza un aspetto a dire il vero assai negletto, eppure presente nei suoi famosi Quaderni del Carcere compilati in quel del carcere di Turi (prov. di Bari) ove egli visse in una dura prigionìa voluta da Mussolini.

 Gramsci, lo ricordiamo, è stato un politico, filosofo, giornalista, linguista e critico letterario italiano; nel 1921 fu tra i fondatori del Partito Comunista d’Italia divenendone suo segretario dal 1924 al 1927; ma nel 1926 venne costretto dal regime fascista nel carcere di Turi conservando tuttavia la forza e l’acume di compilare quella sua monumentale opera, densa di più di 2500 pagine manoscritte, che abbraccia gli anni 1929-1935 della sua infelice ed eroica re-esistenza di politico e intellettuale del suo tempo e capace di proiettarsi sino all’oggi  in grazia di magistrali analisi che hanno fatto la storia della sociologia, del movimento operaio e più in generale della cultura del ‘900 e del tempo presente.

Poche in verità sono le pagine che Gramsci dedicò alla musica e per essa al melodramma, al melodramma italiano, e tuttavia quei pochi spunti valgono tanto, ancora oggi, perché gettano una luce illuminante su taluni fenomeni della cultura popolare e nondimeno della Musica d’arte. Riportiamo dunque qui di seguito gli stralci del suo dire che ci sembrano significativi, come questi:

“…siccome il popolo italiano non è letterato, e di letteratura conosce solo il libretto dell’opera ottocentesca, avviene che gli uomini melodrammatizzano […] il melodramma è il gusto nazionale, cioè la cultura nazionale […] In Italia il romanzo popolare di produzione nazionale è quello anticlericale, si ha però un primato italiano nel melodramma, che in certo senso è il romanzo popolare musicato”

Sintetici ‘affondi’, questi, che spiegano la fortuna, dura a morire, del melodramma, del teatro musicale, dell’opera lirica italiana, come ancora oggi tutti noi possiamo constatare solo avvicinandosi agli ingressi di un qualsiasi teatro storico di grandi come di piccole città. In Puglia, nel meridione, essi sono stati ideati, costruiti e poi usati e ‘goduti’ soprattutto dalla borghesia (illuminata) ma anche dalle classi popolari con un’affezione addirittura secolare. E’ giunto quindi il tempo, alle soglie degli anni Venti del 2000, di corroborare ancora di più tale straordinario primato musicale e teatrale insieme. E’ compito dei nostri sovrintendenti, dei direttori artistici, dei musicisti tutti, nel non ignorare, mai, l’analisi storica che ne fece quel piccolo, grande uomo che veniva dalla natìa Sardegna e che interessò, e ancor oggi interessa… il mondo della cultura musicale occidentale.

Pierfranco Moliterni

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