Il centurione di Cafarnao e la vedova di Naim

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§ 336. Tanto Luca quanto Matteo mettono dopo il Discorso della montagna l’episodio del centurione di Cafarnao: la circostanza cro­nologica sembra dunque assicurata, ed essa insieme con le diver­genze interne basta a distinguere questo episodio dall’altro dell’im­piegato regio (§ 298), sebbene in realtà i due episodi abbiano vari tratti somiglianti.

Poco dopo il Discorso, Gesù rientrò a Cafarnao, dov’era di guarnigione un centurione: probabilmente faceva parte delle truppe mercenarie del locale tetrarca Erode Antipa, non di qualche distaccamento romano. Era pagano ma ben disposto verso il giudaismo, tanto che aveva costruito a sue spese la sinagoga di Cafarnao (§ 285); la sua bontà di cuore è confermata anche dal fatto che aveva uno schiavo al quale era affezionatissimo, trattan­dolo più da figlio che da schiavo. Ora, questo schiavo si era am­malato e stava in punto di morte; il desolato centurione, che aveva certamente tentato tutte le cure ma invano, conosceva di fama Gesù, anzi proprio in quel giorno Cafarnao si doveva esser quasi svuotata perché molti si erano recati sulla vicina montagna ove il famoso taumaturgo teneva un gran discorso. Disperando dei medici, il centurione pensò spontaneamente al taumaturgo; ma non osava di proporgli il suo caso, anche perché non era stato in relazioni per­sonali con lui. Si rivolse allora a Giudei insigni del paese, affinché parlassero a Gesu’ del moribondo pregandolo di far qualcosa per lui. I Giudei fecero l’ambasciata e raccomandarono vivamente a Gesù il desiderio del centurione: E’ degno che tu gli conceda ciò: ama infatti la nostra nazione, e la sinagoga ti costruì (proprio) egli (Luca, 7, 15).

Gesù, giudeo, fu accessibile a questa domanda giudaica: quel pa­gano era stato un benefattore anche di lui, perché della sinagoga di Cafarnao anche Gesù si era servito per pregare e predicare; sen­z’altro, quindi, s’avviò insieme con gli intercessori alla volta della casa del centurione. Ne era già in vista, quando fu incontrato da una seconda ambasceria inviatagli dal centurione. Costui sentiva una certa titubanza, motivata da scrupolo e da rispetto: la sua casa era pagana, cioè tale che un Giudeo osservante non avrebbe potuto entrarvi senza stimarsi contaminato; e il famoso Gesù non avrebbe sentito interiormente ripugnanza a tale ingresso, o almeno non ne avrebbe riportato esteriormente disonore presso i suoi cor­religionari? Perciò la nuova ambasceria avvertì delicatamente Gesù da parte del centurione: Signore, non ti disturbare! Non sono in­fatti degno che entri sotto il mio tetto; perciò neppure mi stimai degno di venire da te: ma comanda a parola, e sia sanato il mio servo! Anch’io, infatti, sono uomo ch’e’ messo sotto autorità, avendo sotto di me soldati, e dico a questo “Va’!” ed (egli) va, e ad un altro e Vieni! ed (egli) viene, ed al mio schiavo e Fa’ ciò! ed (egli lo) fa (Luca, 7, 6-8). Il centurione voleva giustificare la pro­pria deferenza verso Gesù col suo spirito soldatesco.

Egli conosceva bene ciò che i Romani d’allora chiamavano l’imperium e noi oggi chiamiamo la disciplina militare, e l’esercitava sui propri soldati essendone sempre obbedito; Gesù quindi non si abbassasse fino a venire in casa sua, ma pronunziasse una sola parola d’imperium, e il suo comando sarebbe subito riconosciuto ed eseguito dalle forze della natura che opprimevano il moribondo. Udite tali cose, Gesu’ l’ammirò, e rivoltosi alla folla che lo seguiva disse: Vi dico, neppure in Israele trovai tanta fede! E subito la parola d’imperium aspet­tata dalla bocca di Gesù fu pronunziata, e il malato fu guarito all’istante. Ma nel racconto evangelico tutto ciò passa quasi in se conda linea, mentre in prima linea rimane la tanta fede.

§ 337. A questo episodio il solo Luca soggiunge quello di Naim. In greco il nome è Naim, e si è conservato in quello arabo odierno. Il villaggio è situato alle falde del Piccolo Hermon, a una dozzina di chilometri da Nazareth e a una cinquantina da Cafarnao per la strada odierna, e oggi consta di poche e miserabili case con nep­pure 200 abitanti tutti musulmani; ai tempi di Gesù era certo in condizioni migliori, ma era egualmente di poca ampiezza e sembra che avesse un’ unica porta nelle mura. A questa borgatuccia Gesù un giorno giunse accompagnato dai discepoli e da molta folla. Mentre egli stava per entrare nella porta delle mura, ecco uscirne un corteo funebre, indirizzato certamente a quel cimitero ch’è ancora oggi superstite a breve distanza dalle case e contiene antiche tombe scavate nella roccia. Portavano alla tomba un giovanetto; la madre del morto, ch’era vedova ed aveva quel solo figlio, seguiva la salma. Il caso era particolarmente pie­toso, e forse ciò spiega anche perché c’era molta lolla della città insieme con essa vedova (Luca, 7, 12): certamente tutti della bor­gata avevano risaputo della disgrazia e volevano condolersi con l’infelicissima madre.

Di tutto il resto che Gesù vide in quest’incontro, non dice nulla il sapiente Luca; per lo scrittore medico il triste corteo si riassume tutto nella madre piangente, e Gesù non vede che lei: e vedutala, il Signore s’inteneri su di lei, e le disse “Non piangere!”. Queste due parole erano state certamente ripetute centinaia o migliaia di volte in quella giornata alla povera donna, ma rimanevano soltanto parole. Gesù andò oltre le parole; e avvicinandosi toccò la bara – i portatori allora si fermarono – e disse: e Giovanetto, dico a te, alzati! ». E il morto si alzò a sedere, e cominciò a parlare; e (Gesu’) lo dette alla sua mamma. La descrizione, come ognun vede, è quanto di più vivo ed imme­diato si possa immaginare; ha perfino il realismo di far notare come i portatori si fermassero sorpresi da quell’inaspettato intervento, e come il morto, tornato in vita ma sbalordito ben più dei portatori, per prima cosa si mettesse a sedere sulla bara, quasi per prendere tempo ad orientarsi e rendersi conto di quanto era successo.

Se dunque si trattasse della descrizione d’un corteo nuziale qualsiasi, oppure d’una scena in cui Gesù semplicemente accarezzi bambini, nessun critico avrebbe trovato alcunché da ridire e tutti sarebbero stati d’accordo nell’accettare la narrazione tale quale, senza sco­prirvi dei sottintesi. Ma qui c’è di mezzo il morto che risuscita; ed ecco perciò che il testo di Luca è stato collocato insieme con le presunte allegorie del IV vangelo e considerato come un simbolo continuato: la madre vedova sarebbe Gerusalemme, il figlio unico sarebbe Israele, il quale è strappato dalla morte e restituito alla madre mercé la potenza di Gesù (Loisy). Basta però rileggere il testo di Luca per riscontrare se interpretazioni siffatte siano dettate da critica e storica, oppure da prevenzioni e filosofiche, e se que­ste prevenzioni rispettino l’indole della narrazione oppure la deformino totalmente.

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