Clusone, gli stranieri si raccontano

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Muhamed Mbollo Moi Dole

Un intreccio di storie dal mondo, ieri sera a Clusone. Stranieri arrivati in Italia da diversi paesi e per diversi motivi si sono raccontati. Hanno usando il suono della propria lingua, ma anche la musica.

«L’obiettivo di questa serata è sensibilizzare sul tema dell’immigrazione – ci ha spiegato Federica Ferrari, tra gli organizzatori -. L’idea è stata far spiegare a diversi ospiti stranieri i motivi che li hanno portati in Italia. Abbiamo Muhamed, un richiedente asilo arrivato col barcone. C’è poi Aygul, giunta nel nostro paese dalla Russia perché si è innamorata di un italiano. Abbiamo Zhor, marocchina, che si è ricongiunta al marito che già viveva qui. Infine c’è Jovica, che presenta il suo libro Emigrant».

Ognuno di loro si è raccontato a suo modo. C’è chi ha parlato della propria esperienza e chi ha semplicemente lasciato parlare la propria lingua, con un racconto o una poesia. Particolarmente toccante la storia di Muhamed Mbollo Moi Dole, diciottenne del Gambia. Orfano di padre, ha lasciato il suo paese quando aveva solo 14 anni. Senegal, Mali, Burkina Faso, Niger, le tappe della sua odissea africana, prima di arrivare in Libia, dove ha conosciuto anche la prigione. Poi la traversata del Mediterraneo e l’Italia. Ora Muhamed sta studiando e dice di voler fare il parrucchiere.

A Clusone, ieri sera, ha voluto presentare anche una canzone, a cui ha dato voce Tiziana Morstabilini. «È un pezzo di un cantante gambiano che a me piace molto – ci ha detto -. Con Tiziana abbiamo scritto il testo: un pezzo in wolof (lingua parlata in diversi paesi africani, ndr), un pezzo in inglese e un pezzo in italiano. La canzone dice che l’unione è la forza, solo l’amore di Dio può rendere le cose migliori. Questo significa che noi dobbiamo restare uniti e mostrare amore verso ciascuno, a tutti».

Jovica Momcilovic

Ha saputo attirare l’attenzione anche Jovica Momcilovic, serbo, arrivato da Sarajevo nel 1993, nel pieno della guerra nell’ex Jugoslavia. Gli abbiamo chiesto come si è sentito accolto in Italia. «Mi trovo bene. A volte, quando mi capita di tornare a Sarajevo, mi chiedono: com’è vivere con gli italiani? Rispondo che io non vivo con gli italiani. Io vivo con le persone».

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