Processo a un’idea di Europa

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Processo a un’idea di Europa: una campagna elettorale strattonata fra europeismo e antieuropeismo

Francesco Laureti

Era prevedibile che accadesse, ma non con toni così assordanti. La campagna elettorale in atto, già surriscaldata da lotte fratricide interne ai maggiori partiti, da scandali disseppelliti al momento opportuno ed eventi di cronaca nazionale che mantengono il termometro della partecipazione politica a livelli esplosivi, non si è trattenuta dal rimettere in discussione il ruolo dell’Italia nell’Unione Europea. Mentre l’attesa giunge al termine, gli occhi di Bruxelles e Strasburgo guardano con apprensione all’esito delle prossime elezioni parlamentari e le ragioni sono drammaticamente evidenti.

Per comprendere il peso politico di quanto si sta consumando nella periferia meridionale del continente, conviene  assumere una prospettiva di ampio raggio e individuare i focolai che mettono alla prova la tenuta dell’intero sistema. Varsavia, Budapest, Praga e Vienna sono solo alcune delle roccaforti di quell’euroscetticismo che continua ad animare i dibattiti televisivi in forma di “avanzata dei populismi” o “rivincita delle destre”. Allo stesso modo, che la Brexit sia stata partorita dai peggiori incubi dei padri fondatori dell’Unione è ormai un dato di fatto. Infine, discutere di coordinamento delle politiche comunitarie e di ridistribuzione delle responsabilità significa mettere in gioco la gestione dei flussi migratori, altro terreno di scontro ineludibile nel corso della campagna.

A dire il vero, da un lato è positivo che il grande progetto europeo desti l’attenzione dei candidati alle prossime elezioni, soprattutto in una fase del suo sviluppo così accidentata, dall’altro è sufficiente una rassegna neppure troppo approfondita dei programmi depositati per ravvisare impostazioni completamente divergenti sull’idea di Europa. A buon diritto hanno catturato l’attenzione dei media nazionali le frange estreme e della destra e della sinistra, le cui convinzioni in materia di politiche europee non paiono incompatibili.

Tra idealismo e anacronismo, le formazioni estremistiche costituiscono un laboratorio di idee eccentriche, ma stentano a prestarsi a un processo di parlamentarizzazione. Se la lista “Potere al popolo” si propone di “rompere l’Unione Europea dei trattati”, la lista “Italia agli italiani” dichiara di esigere “l’uscita dell’Italia da UE, EURO e NATO”, imponendo una revisione radicale della posizione dell’Italia rispetto all’Unione.

Da un punto di vista politico e socio-economico, invece, la lista capeggiata da Roberto Fiore evoca gli esempi di Polonia e Ungheria per rilanciare una volontà politica di “impedire l’invasione di massa del proprio territorio” e per giustificare l’opposizione alla legge sullo “ius soli”, nonché per reclamare una restituzione di sovranità attraverso “la creazione di una Moneta del Popolo”.

La lista di Viola Carofalo pone l’accento sulla necessità di rifondare un’Europa su principi di “solidarietà fra lavoratrici e lavoratori, sui diritti sociali”, rifiutando l’istanza diffusa di governabilità e battendosi contro la disaffezione alla democrazia, attraverso un richiamo al diritto di autodeterminazione dei popoli. Forza politica ora ben più strutturata e, in apparenza, pronta ad accedere al Parlamento, CasaPound, a partire dalla ridefinizione delle prerogative dello Stato, che deve “occuparsi prima dei suoi cittadini”, promuove la tutela degli interessi nazionali mediante un programma di nazionalizzazioni, abbandono dell’Unione Monetaria e cancellazione del pareggio di bilancio dalla Carta costituzionale.

Al di là del carattere esuberante e anticonvenzionale dei programmi presentati dalle liste di orientamento estremistico, resiste l’intenzione, condivisa dalla maggioranza delle forze politiche, di confidare nei margini di miglioramento del funzionamento dell’Unione Europea. Spicca fra tutti il documento depositato da “+Europa con EMMA BONINO”, che, sia in termini quantitativi, sia in termini qualitativi, si esprime efficacemente sul superamento della fisionomia attuale dell’Europa. Dalla categoria di “federazione leggera” derivano la proposta di destinare alla ricerca, sviluppata a livello federale, l’1% del PIL europeo, l’introduzione di una polizza di frontiera “per il controllo di movimenti di merci e persone alle frontiere esterne dell’UE”, la funzione di “stabilizzazione macroeconomica” consentita dall’aumento delle entrate connesse ai dazi, a un’aliquota di circa 20% sulle importazioni di provenienza extracomunitaria e da una corporate tax europea.

Alla luce, inoltre, dei punti delineati in materia di difesa comune e di fiducia nella spinta graduale, ma consolidata, delle politiche comunitarie, è lecito affermare che la lista rilancia i valori che ispiravano già il “Manifesto di Ventotene”, che in molteplici occasioni, in maniera più o meno opportuna, è stato sbandierato nel 2017 per rinvigorire il senso del sessantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma. Per abbattere “i muri reali o immaginari eretti dai nazionalismi, dall’odio e dal populismo”.

Sotto la scorta della forza propulsiva di “+Europa” e per contrastare gli interventi promossi dalla coalizione di centro-destra, la lista capeggiata dal Segretario del PD, Matteo Renzi, si presenta agli elettori con un vigoroso “verso gli Stati Uniti d’Europa”, sia rivendicando quanto realizzato, sia soffermandosi sull’esigenza impellente di affiancare all’Unione “fiscale” l’Unione “sociale”. Le questioni cruciali, a tal proposito, sono le relazioni fra Europa e Africa e il rafforzamento del legame delle giovani generazioni con il progetto comunitario, attraverso gli strumenti dell’Erasmus e del servizio civile europeo. In aggiunta, si ribadiscono l’urgenza di superare il meccanismo degli “accordi di Dublino” e il modello opprimente del Fiscal Compact.

Di gran lunga più sintetico, ma non per questo fumoso sugli interventi pianificati, il programma sottoscritto da Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni contiene un terzo punto intitolato “meno vincoli dall’Europa”, che prevede un “recupero di sovranità”, in netta opposizione alle politiche di austerità, alle “regolamentazioni eccessive” e nell’ottica di una “revisione dei trattati europei”, di una “prevalenza della nostra Costituzione sul diritto comunitari” e di un impegno a garantire la “sicurezza del risparmio” e la “tutela del Made in Italy”.

Posto che i sondaggi concordano sul vantaggio conseguito dal M5S, tuttavia, all’infuori di un più rigoroso controllo dei flussi migratori e, ancora una volta, della “valorizzazione e tutela del Made in Italy”, inserito come ultimo punto del programma, la formazione politica che è riuscita a scardinare il bipolarismo italiano non ha assunto, almeno sulla carta, una posizione limpida riguardo alle relazioni fra Roma e le istituzioni europee. Su un altro versante, “una scelta chiaramente europeista” atta a “combattere la deriva tecnocratica che ha preso l’Europa restituendo respiro alla visione di un solo popolo europeo”. La scelta in questione è quella dell’altra costola dell’assemblea del Teatro Brancaccio dello scorso novembre e mira a ottenere un’Europa rinnovata attraverso il riconoscimento di un peso maggiore al Parlamento europeo e l’introduzione di un esecutivo “delle cittadine e dei cittadini europei”.

Al termine della rassegna dei programmi prodotti dalle liste che hanno un notevole impatto mediatico, tra i restanti documenti si distinguono pochi altri disegni di intervento proiettati sullo scenario sovranazionale. In particolar modo, se la lista “Movimento politico pensiero azione” sottolinea la definizione di moneta come “Bene Comune come l’aria e l’acqua” al fine di rimarcare l’inalienabilità della valuta nazionale e di spingere per riattribuire a un Ente Pubblico il compito di gestire “creazione, emissione e circolazione della massa monetaria utilizzata dai cittadini”, le “Destre Unite-Aemn” esortano a una “immediata e profonda riscrittura” del Trattato di Lisbona, “ridando centralità ai Valori e non alla Valuta”. Minoritaria, ma non meno prolifica, la lista “Italia Europa Insieme”, dopo l’invito iniziale a una riflessione sui ripetuti attacchi subiti dall’Unione Europea, dichiara “che il grande progetto di un’Europa unita non è un’utopia, ma una lungimirante intuizione politica di benessere”, sviluppando le direttrici di un “Green New Deal”, finalizzato a coniugare le questioni di carattere ecologico, economico, qualità della vita e lotta alla povertà.

L’Unione Europea, sogno a lungo agognato da chi è sopravvissuto al primo conflitto mondiale, ricordato come una “guerra civile dei popoli europei”, è sottoposta a un severo processo. Le parti in causa sono europeismo e antieuropeismo, che si confrontano non tanto sui miglioramenti da apportare a un edificio in equilibrio precario, ma sul senso di uno stentato percorso storico, che ha condotto alla conciliazione e ai primi tentativi di cooperazione delle svariate anime del “vecchio continente”. Dai programmi analizzati risaltano le tinte ora più, ora meno sovrapponibili di un dibattito che investe l’intera Europa. Ed è chiaro che pochi riescano ad accettare che l’Italia, uno dei sei membri originari della Cee del 1957, possa rinnegare quella “via da percorrere” che non era né facile né sicura e, tuttavia, è stata percorsa.

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