A Lesbo l’artista inglese che salva i migranti

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Inglese, a Lesbo da 22 anni, Eric Kempson ha soccorso in poco più di 3 anni, insieme alla moglie Philippa, le migliaia di profughi approdati sull’isola, e ha creato una rete in grado di salvare moltissime vite, coordinando volontari e risorse provenienti da tutto il mondo

«I rifugiati hanno bisogno di aiuto, noi siamo qui e li aiutiamo. Non puoi stare a guardare la gente che soffre. Sono un essere umano che aiuta altri esseri umani». A parlare è Eric Kempson, inglese, trasferitosi a vivere a Lesbo nel 1996, insieme a Philippa, sposata sull’isola greca. Dal 2015 a oggi i due inglesi hanno salvato migliaia di profughi approdati sulle coste nord dell’isola dalla Turchia. E’ durante una vacanza nel 1992 a Lesbo che la giovane coppia si innamora dell’isola greca e decide di andare a viverci.

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Eric e Philippa Kempson

Eric, che ora ha 62 anni, è scultore e pittore e realizza opere con il legno d’ulivo che vende ai turisti e agli abitanti dell’isola, ma a partire dal 2015 ha messo in secondo piano la sua attività per dedicarsi con la moglie Philippa a salvare in modo volontario le persone che arrivano ogni giorno sulla spiaggia a 200 metri dalla sua casa, a Eftalou, nel nord dell’isola. Nel 2015 anche la figlia Elleny, allora sedicenne, ha aiutato i genitori nell’emergenza migranti.

Elleny porta in salvo un bambino, aiutata da Eric (2015)

Eric Kempson è uno dei sette protagonisti del libro di Daniele Biella “L’isola dei giusti”, sette storie di umanità e solidarietà degli abitanti di Lesbo, durante l’emergenza migranti, tra la primavera del 2015 e del 2016. Nell’isola, a soccorrere i rifugiati arrivati dalle coste della Turchia, non c’erano le autorità locali ed europee, ma normali cittadini, arrivati da tutto il mondo. I primi ad attivarsi sono stati gli abitanti dell’isola, i sette giusti raccontati da Daniele Biella.

Iin primo piano Eric che dipinge. L’atelier di pittura e scultura dell’artista, “Elleni’s workshop”, si trova a fianco della casa dei Kempson a Eftalou

Insieme a Philippa, Eric ha creato una rete in grado di salvare migliaia di vite, coordinando volontari e risorse provenienti da tutto il mondo. E’ stato il primo sull’isola a postare su youtube e Facebook video dell’emergenza umanitaria. I suoi video su youtube, ora più di 500, sono una testimonianza importante di quello che succede sull’isola e i suoi appelli (in cui Eric chiede a gran voce aiuto) hanno portato migliaia di persone ad andare a Lesbo a fare i volontari. Nel giro di 6-8 mesi sono arrivate ad aiutare i migranti 2500 persone da tutto il mondo, che si sono affiancate ai pescatori e agli altri abitanti dell’isola.

Eric impegnato in un salvataggio con la figlia Elleny

«I social media hanno un ruolo fondamentale. Se non fosse stato per questi strumenti non avremmo avuto nessun aiuto per i rifugiati. Sono molto importanti perché i media non dicono nulla di quello che succede qui, non parlano delle persone che muoiono a Lesbo, e le autorità europee, di fronte a questi video, non possono ignorare quello che succede».

La casa dei Kempson diventa, e rimane tuttora, un centro per i rifugiati e per i volontari che arrivano in continuazione e che usano la casa come base non ufficiale delle operazioni. La grande ospitalità dei coniugi inglesi è riassunta nel cartello appeso sotto il pergolato: «Se vuoi una tazza di tè o di caffè chiama a voce alta, sono gratis. Se siamo occupati servitevi da soli, il bollitore è in cucina, l’acqua fredda è in frigo».

Il cartello che accoglie i visitatori a casa Kempson

«All’inizio del 2015 sulla costa nord dell’isola c’eravamo solo io, Philippa ed Elleny a prestare soccorso ai profughi. Poi, a luglio di quell’anno, sono arrivati i turisti e i volontari da tutte le parti del mondo, e solo più tardi le agenzie di aiuti umanitari», spiega Eric.

Nel 2015 a Lesbo abbiamo portato in salvo 600.000 persone, un numero più di sette volte superiore agli 80mila abitanti dell’isola

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Eric Kempson

Le autorità e le istituzioni europee sono intervenute soltanto mesi dopo l’inizio della crisi, e se non fosse stato per l’opera dei volontari ci sarebbero stati molti più morti.
«Nel 2015 a Lesbo abbiamo portato in salvo 600.000 persone, un numero più di sette volte superiore agli 80mila abitanti dell’isola, e non abbiamo ricevuto neanche una bottiglia d’acqua da nessuna agenzia di aiuti umanitari, né aiuto da parte di nessun governo. Anche l’Ue non ha fatto niente per far fronte all’emergenza umanitaria. Chi ha aiutato di più sono stati i volontari che hanno agito indipendentemente e le piccole Ong», spiega Eric. Che non ha mai voluto aderire a Ong o crearne una propria. Lui e Philippa hanno promosso The Hope Project, tramite l’associazione Uk Action for Refugees, un progetto per fornire supporto alle persone che fuggono da conflitti o persecuzioni e che arrivano a Lesbo e per convogliare le donazioni che arrivano da ogni parte del mondo.

«Abbiamo sempre avuto migranti che arrivavano sull’isola» -spiega Eric- «ma inizialmente erano solo uomini. Alla fine del 2014 abbiamo notato per la prima volta donne e bambini che arrivavano con le barche. Erano siriani. A febbraio 2015 abbiamo deciso di impegnarci ad aiutarli. Sulla spiaggia c’erano persone di ogni tipo che soffrivano e che avevano bisogno di aiuto e abbiamo iniziato a soccorrerli: feriti, neonati, donne, bambini, persone assiderate… Mentre nell’inverno 2016-2017 arrivavano perlopiù africani, ora sbarcano soprattutto siriani e curdi. Ma non solo: i rifugiati arrivano anche da Afghanistan, Iraq, Iran, Sudan, Nigeria, Somalia…»

https://youtu.be/0KNchezVOko

Un salvataggio

«I Greci hanno un grande cuore, e sono molto generosi nel prestare il loro aiuto ai profughi, ma subiamo costanti intimidazioni e atti di bullismo da parte di alcune persone che abitano nella cittadina di Molyvos, vicino a casa nostra», spiega Eric. «Mi hanno rotto le gomme dell’automobile, ci hanno minacciato di morte, siamo costantemente sotto tiro da parte di alcuni abitanti della città, che è anti migranti e razzista», continua Eric.

«Dicono», spiega Philippa, «che è solo a causa nostra che i rifugiati sono arrivati, e che li incoraggiamo a venire qui per diventare famosi e per fare soldi perché pensano che non lo faremmo senza motivazione economica. In realtà noi siamo tra i pochi volontari sull’isola». La maggior parte degli abitanti della cittadina sono persone generose, ma hanno paura dei bulli e solo durante la notte osano lasciare sul cancello dei Kempson cibo e vestiti per i rifugiati.

A causa degli atti di bullismo subiti dalla figlia a scuola, Eric e Philippa hanno dovuto farle interrompere la scuola a 16 anni e l’hanno mandata a vivere a Londra. Ora Elleny ha 19 anni, frequenta l’università ed è una cantante affermata: ha vinto una gara mondiale all’età di 14 anni, ha pubblicato tre album, e sta lavorando al quarto.

Nel 2015 Elleny, che si fa chiamare EJK, assiste all’arrivo di una barca su cui ci sono anche madri siriane e bambini. Queste donne si mettono a cantare ed Elleny, ispirata dalle loro voci, compone Lost Souls, Anime Perse, sulla resilienza dei profughi.

I bulli della cittadina di Molyvos sono un’eccezione , «i Greci sono al 99% persone generose», spiega Philippa. Infatti a soli 9 km a est della casa di Eric e Philippa c’è un villaggio di 100 persone che si chiama Skala Sikaminias: due suoi abitanti, Emilia Kamvisi e Stratos Valiamos, anch’essi ritratti nel libro di Daniele Biella, sono stati nominati per il Premio Nobel per la Pace. «Ogni volta che andiamo là, ci accolgono con calore, parliamo e discutiamo insieme».

Eric e Philippa lavorano con una squadra di volontari, la maggioranza dei quali sono rifugiati, che tengono sotto controllo 24 ore su 24 la spiaggia vicino alla casa dei Kempson. C’è un allarme a cui sono collegati Eric, Philippa e i dottori che aiutano i profughi, e che avverte non solo quando qualcuno avvista una barca, ma anche avvisa chi va ad aiutare, quali squadre… e se c’è un problema, o un incidente, Eric e Philippa accorrono sul posto.

Eric con un piccolo migrante

L’attività che prende ora la maggior parte del tempo della coppia sono i due magazzini che hanno aperto, uno vicino a casa loro, l’altro a Mitilene, centro principale di Lesbo. La maggior parte dei giorni vanno in auto a Mitilene, che dista 65 km da casa loro, e passano a prendere i loro volontari a Moria, dove si trova una struttura detentiva per l’identificazione, per portarli al magazzino, dove aiutano i rifugiati che vanno a prendere shampoo, vestiti etc….

Al nord dell’isola hanno le medicine. Hanno costruito un centro medico l’anno scorso proprio dietro il magazzino. Il target dei magazzini sono le persone più vulnerabili e le famiglie. «Aiutiamo in media 30 famiglie al giorno nei magazzini e il nostro numero più alto è stato di 68 famiglie in un giorno. Prestiamo soccorso non solo ai rifugiati, ma anche a tutti coloro che hanno bisogno, come greci che soffrono a causa della crisi economica», spiega Eric.

I Kempson ricevono donazioni per i rifugiati da tutto il mondo, supervisionate da una grande charity inglese, Prism.

Il magazzino dei Kempson

Ma cosa è cambiato dall’inizio della crisi, nel 2015, nella situazione dei rifugiati?
«Non molto», spiega Eric. «Le condizioni del campo di Moria sono terribili come lo erano nel 2015 e i rifugiati vivono ancora in tende, rischiando di morire di freddo in inverno. Il centro è provvisto di sbarre, come una prigione, e gli abusi sono all’ordine del giorno».

Mentre Moria è un campo del governo gestito dall’esercito, il campo di Kara Tepe è gestito dalle autorità locali. Quest’ultimo è molto ben organizzato: tutti hanno una casa mobile, le toilette sono tenute in ottime condizioni e c’è acqua corrente.

«La differenza con il 2015 è che mentre nel 2015 i rifugiati stavano 2 o 3 giorni a Lesbo e poi si muovevano per raggiungere il nord Europa, ora sono bloccati qui per 2 anni e non possono andare via, dal momento che l’Europa ha chiuso le frontiere. Il tasso di depressione e anche di suicidio di queste persone che vedono finita la loro vita è molto alto».

A marzo 2016 inoltre è entrato in vigore l’accordo tra Ue e Turchia: alla Turchia sono stati dati 6 miliardi di euro per bloccare i rifugiati in mare e riportarli indietro. A causa di questo accordo le barche sono diminuite, ma continuano ad arrivare, e ultimamente stanno aumentando di nuovo, spiega Philippa. Che prosegue: «C’è stata una diminuzione del numero delle imbarcazioni perché la guardia costiera turca sta terrorizzando le persone che attraversano il mare: affondano le loro barche, arrestano le persone sulle spiagge, le mettono in prigione a tempo indeterminato».

Al momento ci sono 7345 rifugiati sull’isola di Lesbo – è quanto è emerso da un report mensile che è stato reso noto a metà marzo-, e con l’avvicinarsi della bella stagione questo numero è destinato ad aumentare.

Questo è il cimitero dei life jacket, situato nel nord dell’isola di Lesbo. E’ nato nel 2015 perchè le spiagge della parte nord dell’isola erano piene di giubbotti di salvataggio. Alcuni giorni arrivavano anche 200 barche, con 50 giubbotti in ciascuna barca. Così si è deciso di creare un memoriale, una montagna di tutti i life jacket, decine di migliaia, ammucchiati l’uno sull’altro, prelevati dalle spiagge dai volontari.

Foto di apertura: sono di Daniele Biella e di Eric e Philippa Kempson.

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