La sensibilità degli arbitri

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L’ultimo uomo

Sono irrituali e suggestive le frasi con cui Gianluigi Buffon, dopo l’eliminazione dalla Champions League, lascia il Santiago Bernabéu e probabilmente la carriera internazionale da calciatore.

Nella percezione comune la figura dell’arbitro rappresenta la parte fredda e oggettiva del calcio, di contro a quella emotiva rappresentata dai tifosi e in misura minore dai giocatori. Se l’arbitro risulta fiscale diventa disumano, come il vigile urbano che risulta scrupoloso diventa severo.

Qui non ci chiederemo se sia stata giusta la scelta di Michael Oliver (classe ’85, figlio di arbitro, marito di arbitro) di assegnare un rigore come quello. E nemmeno ci chiederemo se la dichiarazione del capitano della Juventus sia stata vergognosa, eccessiva o coraggiosa. Ragioneremo invece del tema della sensibilità in rapporto agli arbitri. Perché quella di Buffon a prima vista suona come la forzatura interessata di chi ha subito un torto e vuole nobilitare il rancore. Ma forse la questione è più complessa.

 

Foto di Javier Soriano / Getty Images

Quando usa quelle frasi, cosa sta lamentando Buffon di preciso? Non c’è una risposta immediata né univoca. Si direbbe uno spettro largo, che dall’indulgenza va fino all’umanità, passando per il senso dell’opportunità, la comprensione e l’empatia. Di certo qualcosa che riguarda la sfera emotiva e non quella tecnica, il “saper arbitrare” come lo chiama lui.

 

Non va certo intesa in senso stretto, la sensibilità che in fisiologia attiva il sistema nervoso e che serve per valutare una situazione di gioco. Né solo com un’attenzione di fronte a un’emergenza che esula dalla gara, come quando l’arbitro e operatore ospedaliero Alfredo Trentalange in Bari-Reggina del 2001/02 soccorse Jorge Vargas colpito da un malore.

A voler estendere ancora di più il discorso: è perché siamo in una crisi del concetto di autorevolezza, che un uomo dall’esperienza e professionalità di Buffon pretende da un arbitro la dimostrazione d’aver cuore?

Non è la prima volta che tira in ballo la sensibilità degli arbitri. Solo ad agosto scorso, dopo l’esordio del VAR in campionato, Buffon ammetteva una sua preoccupazione: «Il rischio è che si perda un po’ la valutazione dell’arbitro e la sua sensibilità nel gestire la gara. Ogni contatto in area non significa rigore, ma la bravura del direttore di gara sta nel valutarne il fatto se sia lesivo o meno: la sensibilità è molto importante, molto umana, e non vorrei che la si perdesse».

L’arbitro ha la parola che decide. L’arbitro è solo («Il progetto della solitudine», Mazzoleni definisce il suo lavoro). L’arbitro è l’autorità, il giudice, il regolatore. «La polizia del rettangolo verde, che arresta le azioni e punisce il contravventore» ha scritto Davide Coppo. Vale per qualsiasi sport.

E l’arbitro dovrebbe combinare, in un giusto equilibrio, tecnica e psicologia. Come dice Massimo Busacca, oggi ai vertici degli arbitri FIFA: «Non deve solo applicare regole, dev’essere un buono psicologo. I giocatori hanno molta adrenalina, le pulsazioni altissime».

Poi è ovvio che ognuno abbia il suo carattere, il suo stile professionale. Per restare in Italia, basti la differenza tra quello nervoso e distante di Orsato e quello tranquillo e conciliante di Rizzoli, evidenziata da Orsato stesso. La sensibilità è comunque, inevitabilmente, dentro a questo discorso.

Non è la prima volta che il discorso pubblico ragiona dell’insensibilità dell’arbitro.

Di solito succede per l’eccesso di regolamento in un contesto trascinato dalla passione. Si pensi al secondo giallo per Samuel Inkoom, che nel 2011 toglie la maglia uscendo dal campo per la sostituzione. O a quando Cavani venne ammonito in Francia per aver esultato fingendo di impugnare un’arma. O ancora, si pensi alla recente ammonizione a Juanmi della Real Sociedad per essersi sfilato la maglia di gioco e aver mostrato quella in ricordo di un amico scomparso.

Un bellissimo gol annullato (giustamente) negli Stati Uniti per fuorigioco, spinse«Tuttosport» a titolare: “Arbitro crudele”. Il «Quotidiano Nazionale» definì “una decisione di cuore” quella (sbagliata) dell’arbitro che sospese la gara di Giovanissimi Provinciali per non umiliare la squadra sotto per 31-0. In un articolo sulla Gazzetta dello Sport, poi, i fischi all’arbitro Orsato venivano spiegati così: «Evidentemente giudicato un po’ troppo “sceriffo” a fine gara, diciamo poco “sensibile”».

Diverse sezioni arbitrali italiane toccano espressamente il punto.

Il vademecum per gli osservatori arbitrali dell’AIA Lombardia dice che bisogna capire se l’arbitro «sa applicare i concetti di intervenire nel gioco, influenzare un avversario, trarre vantaggio da tale posizione. Concetti che non devono mai essere esasperati, ma applicati con semplicità e sensibilità».

L’AIA di Messina osserva che «la scelta del momento, il tipo di provvedimento e le modalità di esecuzione, testimoniano della sensibilità disciplinare e della fermezza dell’arbitro».

Alain Rolland, importante arbitro irlandese di un altro sport, il rugby, ai giovani arbitri raccomanda sempre una cosa: «Non sei qui per mostrare ai giocatori quanto bene conosci il regolamento. Sei qui per mostrare quanto bene puoi usarlo».

E quando l’arbitro di Serie A Claudio Gavillucci incontra gli aspiranti direttori di gara, insiste sul concetto di quella che chiama “intelligenza emotiva”: «Bisogna avere la sensibilità di comprendere gli stati d’animo di calciatori e dirigenti e regolarsi di conseguenza».

È interessante il rovesciamento di prospettiva: la richiesta di distinguere e rispettare la sensibilità degli arbitri. Per esempio un celebre ex direttore di gara, il tedesco Herbert Fandel, invita in questo senso l’ambiente a contenere gli attacchi agli arbitri. L’ex nazionale francese di rugby Raphaël Ibanez va oltre, suggerendo ai giocatori di riconoscere «la sensibilità dell’arbitro per comprenderlo meglio e meglio comunicare», e insomma per avere un vantaggio. Secondo il guardalinee della Ligue 1 francese Stéphan Luzi, poi, le doti psicologiche in campo un arbitro le «acquisisce con l’esperienza, ma anche con l’aiuto dei giocatori».

C’è un direttore di gara nella nostra Serie B, Aleandro Di Paolo, che una volta ha datouna bellissima definizione del suo lavoro: «L’arbitro è il fulcro delle emotività che gli girano intorno».

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