Stato-mafia, di Matteo accusa Csm-Anm: non ci hanno difeso

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“Abbiamo avvertito un silenzio assordante e chi speravamo ci dovesse difendere e’ stato zitto, a partire da Anm e Csm”: e’ l’accusa di Di Matteo, dopo la sentenza sulla trattativa Stato-mafia. Secondo il pm si ritiene “che Dell’Utri abbia fatto da cinghia di trasmissione nella minaccia mafiosa al governo” anche dopo il 1992. La replica dell’Anm: sempre difeso le toghe.

“Ho sempre creduto nella doverosita’ di questo processo, qualunque esito avesse avuto. Ho la consapevolezza di aver fatto il mio dovere. La sentenza emessa da una corte qualificata che in cinque anni ha dato spazio a tutte le prove dell’accusa e della difesa, non ci ha colto di sorpresa”. Lo ha detto il pm della Dna Nino Di Matteo, a proposito della sentenza sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, intervenendo alla trasmissione “1/2 ora in piu’” di Lucia Annunziata, in onda sui Rai tre. “Il verdetto – ha aggiunto – ha messo un punto fermo importante sancendo che mentre la mafia, tra il ’92 e il ’93, faceva sette stragi c’era chi all’ interno dello Stato trattava con vertici di ‘Cosa nostra’ e trasmetteva ai governi le sue richieste per far cessare la strategia stragista”. “E’ un punto importante – ha spiegato – che puo’ costituire un input per la riapertura anche delle indagini sulle stragi che probabilmente non furono opera solo di uomini di ‘Cosa nostra’”. 
“Non pensiamo che i carabinieri abbiano agito da soli. Non abbiamo avuto prove concrete, ma riteniamo che siano stati ‘incoraggiati’ a fare questa trattativa”, dice Nino Di Matteo, “ci vorrebbe un pentito Di Stato che faccia chiarezza definitivamente”, aggiunge.

Poi il riferimento all’Anm e al Csm: “Quello che mi ha fatto più male è che rispetto alle accuse di usare strumentalmente il lavoro abbiamo avvertito un silenzio assordante di chi speravamo ci dovesse difendere, che invece è stato zitto, come l’Anm e il Csm”. 
“Ne’ Silvio Berlusconi, ne’ altri hanno denunciato le minacce mafiose, ne’ prima ne’ dopo”, ha poi detto il pm della Dna NinoDiMatteo, a proposito della sentenza. “Nel nostro sistema costituzionale le sentenze vengono pronunciate nel nome del popolo italiano e possono essere criticate e impugnate. Il problema e’ che quando le sentenze riguardano uomini che esercitano il potere devono essere conosciute”, ha aggiunto. “C’e’ una sentenza definitiva – ha spiegato – che afferma che dal ’74 al ’92 Dell’Utri si fece garante di un patto tra Berlusconi e le famiglie mafiose palermitane. Ora questa sentenza dice che quella intermediazione non si ferma al ’92, ma si estende al primo governo Berlusconi, questi sono fatti che devono essere conosciuti”.
“Ho sempre detto, ha poi aggiunto, che non vedo nulla di scandaloso se un magistrato con determinati paletti possa dismettere la toga e dare un suo contributo al Paese soprattutto nei settori che conosce sotto un’altra veste, partecipando alla vita politica e accettando incarichi di governo. Credo, pero’, debba essere regolata meglio la possibilita’ di tornare in magistratura”. “Se qualcuno manifesta stima nei miei confronti non glielo posso impedire. E non ho nulla da vergognarmi della stima che alcuni esponenti politici del M5s, ma anche di altri partiti, mi hanno manifestato”, conclude il pm della Dna Nino Di Matteo a in Mezz’ora in piu’.

 

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