Sino alla fine del Secolo scorso, l’Italia proseguiva verso uno sviluppo socio/economico piuttosto coerente. La produzione industriale era cresciuta, lo sviluppo di nuove forme di distribuzione (ipermercati) e le nuove tecnologie a basso costo, soprattutto importate dall’oriente, avevano favorito i consumi anche nei ceti medio/bassi. Di fronte ad una realtà oggettivamente in apparente ripresa, l’economia liberista sembrava vincente. Gli investimenti erano favoriti, i tassi sui mutui attestati a livelli ragionevoli e l’occupazione, pur con qualche problema, reggevano.
Verso il 2006, il quadro già era in trasformazione. Anche se i risparmiatori continuavano a investire in titoli pubblici. BOT e CCT rendevano sempre meno, ma lo Stato s’indebitava senza che il disavanzo rientrasse su valori più sostenibili. Tra il 2007 e il 2010, l’euforia speculativa spirava tragicamente, con conseguenti perdite da parte dei piccoli risparmiatori che non erano stati nelle condizioni di modificare la posizione dei loro risparmi. Ma la politica dei redditi era ancora all’inizio. Il 2013 è stato il primo anno “nero” per molti risparmiatori. Come questo primo quadrimestre d’inutilità politica.
Mancando l’agevolazione all’esportazione di manufatti nazionali con particolari facilitazioni di scambio con quelle materie prime delle quali siamo carenti, la crisi s’è accentuata. E’ anche venuto a mancare il varo di un calmiere sui prezzi dei prodotti di generale consumo (non solo alimentare) per frenare l’impennata dei costi il minuto. Intanto, le premesse per un “nuovo corso” sono tutte da venire; come l’Esecutivo dei “fallaci” compromessi.
Nel frattempo, l’imprenditoria, senza opportuni sostegni sociali e favorevoli fondi di liquidità, non è in grado di far fronte alle necessità occupazionali e produttive a livello competitivo. Il segno in positivo del nostro Prodotto Interno Lordo (PIL), non illude nessuno. La percentuale di disoccupazione resta ancora preoccupante. In sostanza, il 2018 riserverà ancora delle sorprese. Ciò che conta sarebbe dare “scacco” a questa politica del non fare. Riscoprendo le premesse per un nuovo corso italiano.
Giorgio Brignola