Grecia e Turchia: scontro tra navi nell’Egeo. E la tensione torna a salire

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 Francesco De Palo  

Cannoniera greca urtata da nave mercantile, sospettata di fare dello spionaggio, a Lesbos dove si trovava Tsipras. Atene chiede l’arresto del capitano, mentre Ankara potenzia le sue bocche di fuoco: ora può contare sul nuovo drone completamente made in Turchia

Ancora un incidente sull’asse Grecia-Turchia nelle acque dell’Egeo, il secondo in tre mesi con la tensione tra i due paesi che torna a salire. All’alba dinanzi all’isola di Lesbos una nave mercantile turca, la Karmate, ha urtato la cannoniera greca Armatolos. Nessun ferito ma circolano i primi sospetti di spionaggio sul battello turco. Atene chiede l’arresto del capitano, mentre Ankara potenzia le sue bocche di fuoco: ora può contare sul nuovo drone completamente made in Turchia

INCIDENTE

Da quando i rapporti tra Grecia e Turchia si sono arroventati ulteriormente, sono stati potenziati i pattugliamenti nell’Egeo settentrionale e orientale. E non solo in concomitanza con la ripresa degli sbarchi dei migranti visto l’arrivo della stagione estiva, ma nella consapevolezza che ormai quella che è stata ribattezzata l’altra guerra, non più sotterranea, sta dando più di un grattacapo in direzione di Nato e Bruxelles.

Ecco che all’alba di oggi la nave mercantile turca era stata avvicinata dalla cannoniera che pattugliava l’isola di Lesbos. Durante una manovra la nave ha urtato la cannoniera. Nessun ferito al momento, ma un caso simile si era verificato a gennaio scorso quando una motovedetta turca dopo una serie di manovre pericolose si era scontrata con la cannoniera “Nikiforos” della Marina a Imia, una delle isole contese.

Secondo le prime ricostruzioni il mercantile si è avvicinato alla Armatolos da sinistra, con i militari greci che hanno subito fatto un segnale (senza ricevere risposta) ai turchi, così come accade da anni al largo dell’isola che dista solo due miglia dalle coste turche. Poco dopo la Karmate si è abbattuta sulla cambusa all’altezza di metà nave e immediatamente dopo ha aumentato la velocità per fuggire verso la costa della Turchia, senza rispondere alle successive chiamate radio della cannoniera. Il ministro della Difesa Panos Kammenos ha immediatamente informato il primo ministro Alexis Tsipras che si trovava proprio a Lesbos per un meeting e quello degli Esteri Kotzias. Tre settimane fa l’elicottero sul quale viaggiava il premier era stato infastidito da un F16 turco.

DRONE MADE IN TURCHIA

Intanto Ankara ha operativi tutti i 35 droni per ricognizione e attacco del tipo Bayraktar Tactical Block con bombe laser. Ma se fino ad oggi la stragrande maggioranza a disposizione di Aeronautica e Marina sono stati usati per la guerra in Siria, con l’apice della presa di Afrin, ecco che alcuni ora sono impiegati anche nell’Egeo per pattugliare il Mediterraneo orientale al posto dei caccia tradizionali, come accaduto lo scorso 6 aprile, quando un drone della Marina turca era stato rilevato dai radar ellenici sui cieli di Rodi. Subito eranno decollati due Mirage dalla base più vicina che lo avevano messo in fuga. Fu un precedente significativo, dal momento che fino a quel momento protagonisti degli sconfinamenti nello spazio aereo ellenico erano stati gli F16 anche con decine di violazioni provocatorie in poche ore.

Nelle scorse settimane il mezzo Uav è stato utilizzato per ricognizione e supporto al fuoco durante le operazioni contro i gruppi di resistenza curdi nel nord della Siria. Tra l’altro il Btb è stato il protagonista assoluto dell’Eurasia Airshow 2018, che si è svolto dal 24 al 29 aprile ad Antalya, sulla costa orientale del Mediterraneo.

Si tratta di una primizia, perché frutto della tecnologia made in Turchia: infatti concept e sviluppo del Bayraktar è stato effettuato da Kale Baykar, una joint venture di Baykar Makina e Kale Group. I lavori sono iniziati nel 2007 e il prototipo ha effettuato il suo primo volo nel 2009. Fino ad oggi ne sono stati abbattuti due: uno nel maggio 2017 dal sistema antiaereo Pantsyr S1 nella base navale russa a Tartus l’11 maggio 2017 e un altro il 2 febbraio 2018 dalle forze democratiche siriane (Sdf), sostenute dagli Stati Uniti.

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