Rapporto Istat 2018: le emigrazioni degli italiani

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ROMA – L’emigrazione ha segnato profondamente le vicende demografiche del nostro Paese. Tra il 1876 e il 1976, con circa 26 milioni di espatri, l’Italia ha infatti originato quello che è stato definito “the largest exodus of people ever recorded from a single nation”. È quanto sottolinea il Rapporto Istat 2018, presentato ieri a Roma, che analizza il fenomeno delle nuove migrazioni alla luce del passato migratorio del nostro Paese.

Nel corso degli anni Settanta del secolo scorso, vi è stata un’inversione di tendenza: da Paese di emigranti, anche l’Italia è diventata lentamente terra di immigrazione, avendo raggiunto un livello di benessere economico diffuso che ha reso il Paese una meta attraente per l’altra sponda del Mediterraneo, al punto che il saldo del movimento migratorio con l’estero, nell’ultimo quarantennio, risulta costantemente positivo. Tuttavia, l’avvio della crisi economica ha avuto un impatto negativo sia sull’immigrazione (che si è manifestato in una riduzione del saldo migratorio degli stranieri dovuto al calo di iscrizioni dall’estero) sia sull’emigrazione (peggiorando un saldo migratorio degli italiani già negativo, a causa dell’aumento delle cancellazioni verso l’estero). 
L’individuazione delle cause dell’emigrazione, cioè dei fattori di espulsione (push factor) e di attrazione (pull factor) che provocano o incidono sul fenomeno migratorio e la misura del loro peso, si collega strutturalmente con la lettura e l’interpretazione dei fenomeni sociali. 

I motivi che spingono l’emigrato (italiano o straniero) a lasciare il Paese sono da ricercarsi nella scarsità di risorse, ma anche nelle diverse opportunità offerte dal mercato del lavoro, nella mancanza di innovazioni tecnologiche nei settori primario, secondario e terziario. Sono da ricercarsi, inoltre, anche nella necessità di ottenere i mezzi indispensabili per la sopravvivenza, nella volontà di seguire le proprie ambizioni, nella ricerca di migliori condizioni di vita, abitative, di istruzione e di salute. 

Nel 2016 si sono registrate quasi 160 mila cancellazioni anagrafiche per l’estero, ma, nonostante l’andamento decisamente in crescita in tutto il decennio, le stime per il 2017 registrano un leggero calo (-2,6 per cento). In generale le emigrazioni sono per lo più di cittadini italiani (nel 2016 se ne contano 115 mila, 73 per cento). Le mete di destinazione sono prevalentemente i Paesi dell’Europa occidentale: Regno Unito (22,0 per cento), Germania (16,5 per cento), Svizzera (10,0 per cento) e Francia (9,5 per cento), i quali accolgono più della metà delle cancellazioni per l’estero. Le province per le quali si registrano i tassi di emigrazione più alti si trovano nel Nord (Bolzano, Vicenza, Mantova, Imperia e Trieste) e in Sicilia (Agrigento, Catania, Caltanissetta ed Enna). 

Molti italiani con alto livello di istruzione lasciano il Paese, pochi vi fanno ritorno. Selezionando i migranti italiani con più di 24 anni, nel corso del 2016 si ottiene un saldo migratorio con l’estero di circa 54 mila unità, di cui circa 15 mila hanno almeno la laurea. La fascia d’età in cui si registra la perdita più marcata è quella dei giovani dai 25 ai 39 anni (circa 38 mila unità in meno) e, tra questi, quasi il 30 per cento è in possesso di un titolo universitario o post-universitario. La giovane età di questi emigrati testimonia la difficoltà del Paese nel trattenere competenze e professionalità. 

L’andamento dei flussi per titolo di studio a partire dal 201337 mette in evidenza l’aumento degli emigrati italiani con alto livello di istruzione: quelli con almeno la laurea passano da 19 mila nel 2013 a 25 mila nel 2016. Questo fenomeno fa spesso parlare di “fuga di cervelli”. Per valutare il fenomeno nella sua interezza traducendolo in termini di potenziale arricchimento del capitale umano di un Paese e parlare dunque di circolazione più che di fuga, sarebbe indispensabile misurare anche il livello di istruzione degli stranieri che immigrano. Questa misura al momento non è disponibile, precisa l’Istat, per l’incompletezza dell’informazione sul titolo di studio dei flussi di stranieri in ingresso. 

Parallelamente alla crescita dell’emigrazione italiana negli ultimi anni, è aumentato il numero di cittadini stranieri che diventano italiani. Nel 2016 si contano oltre 201 mila acquisizioni di cittadinanza e, nel 2017, si stima che superino le 224 mila. Si tratta perlopiù di cittadini non comunitari: il 18,3 per cento dei naturalizzati nel 2016 ha come cittadinanza di origine quella albanese e il 17,5 quella marocchina. Sono inoltre mutati i motivi dell’acquisizione, con una rilevante crescita di quelli per residenza, per trasmissione del diritto dai genitori ed elezione da parte dei nati in Italia al compimento del diciottesimo anno di età;38 al contrario sono notevolmente diminuiti negli ultimi cinque anni quelli per matrimonio.
Il numero crescente di “nuovi italiani” impatta indiscutibilmente sulla dinamica sociale e demografica del nostro Paese. L’acquisizione della cittadinanza viene considerata dal Consiglio d’Europa un indicatore di stabilizzazione e integrazione nel Paese di acquisizione; il numero di cittadinanze concesse, infatti, può essere assunto come segnale di un processo di radicamento dello straniero nella comunità ospitante. Il possesso iniziale di una cittadinanza diversa da quella italiana e la successiva naturalizzazione dà anche l’indicazione di un più sostanziale contributo dei “nuovi italiani” all’aumento degli espatri. 

La mobilità dei “nuovi italiani” inizia ad assumere l’entità di un fenomeno che non si può ignorare; pur essendo ancora di piccole dimensioni, è una dinamica emergente nel panorama migratorio internazionale. La letteratura sottolinea, infatti, che chi ha compiuto un primo spostamento migratorio ha una maggiore facilità a spostarsi sul territorio. Inoltre, l’analisi per cittadinanza di origine mostra che alcune comunità hanno una maggiore propensione a migrare dopo aver acquisito la cittadinanza e, per quelle comunità, il fenomeno inizia ad assumere una dimensione degna di nota. Tra il 2012 e il 2016 circa 25 mila naturalizzati si sono poi trasferiti in altri Paesi e risultano quindi compresi tra gli italiani cancellati per l’estero. 

L’emigrazione dei nuovi cittadini italiani pone interrogativi sulle differenze che si possono riscontrare nel percorso migratorio di un emigrato italiano rispetto a uno naturalizzato di origine straniera: due mondi culturalmente e tradizionalmente diversi che affrontano la stessa esperienza. Alla base dell’intenzione di emigrare agiscono gli stessi fattori attrattivi dei paesi di destinazione? La cittadinanza di origine incide sulla scelta di emigrare verso un paese terzo o di fare ritorno verso casa? Per monitorare il comportamento migratorio dei “nuovi italiani”, sono state seguite, con un approccio longitudinale, le coorti di coloro che hanno acquisito la cittadinanza tra il 2012 e il 2016, per osservare la loro propensione a lasciare l’Italia successivamente all’acquisizione, le caratteristiche socio-demografiche di quanti si sono cancellati dall’anagrafe nel periodo considerato e le destinazioni che hanno scelto.

L’analisi delle traiettorie migratorie testimonia che in alcuni casi l’acquisizione della cittadinanza, soprattutto per alcune nazionalità di origine, sia il volano per ulteriori migrazioni. In generale, le collettività naturalizzate mostrano una differente propensione all’emigrazione: particolarmente mobili risultano alcune collettività di cittadinanza del subcontinente indiano e quella brasiliana. Per il Bangladesh si registrano 16 emigrazioni ogni 100 acquisizioni di cittadinanza tra il 2012 e il 2016; per il Brasile 14 ogni 100; per il Pakistan 9. A eccezione dei naturalizzati di origine brasiliana, dove la quota di emigrazione maschile è più del doppio di quella femminile, per le altre cittadinanze di origine la propensione a migrare è maggiore per le donne, in particolare per quelle del Bangladesh e del Pakistan. La collettività marocchina e quella albanese, prime due in graduatoria per numero di acquisizioni di cittadinanza, sono quelle che si spostano molto meno frequentemente dopo la naturalizzazione: circa il 4 per cento nel caso dei marocchini e meno dell’1 per cento in quello degli albanesi.

Considerando il motivo dell’acquisizione, tra i nuovi cittadini italiani emigrati prevale l’acquisizione per trasmissione dai genitori o per elezione di cittadinanza (49,2 per cento), seguita dalla modalità per residenza (37,5 per cento) e infine per matrimonio (13,3 per cento). La propensione a emigrare è leggermente più elevata per coloro che si spostano dopo aver ottenuto la cittadinanza per trasmissione o elezione: si tratta infatti di persone diventate italiane in giovane o giovanissima età, quindi con una più elevata predisposizione alla mobilità. Se si considera la cittadinanza di origine, emergono differenze di comportamento piuttosto evidenti rispetto al motivo di acquisizione: per la collettività del subcontinente indiano spicca una maggiore propensione a migrare tra chi ha acquisito la cittadinanza per matrimonio, mentre per quelli di origine brasiliana, la quota più alta di emigrazioni è tra chi ha ottenuto la cittadinanza per residenza. 

È importante sottolineare, però, che per il Brasile l’acquisizione di cittadinanza per residenza ha differenti modalità di espletamento. Essendo un paese che, come l’Argentina, ha accolto centinaia di migliaia di emigranti italiani durante la fase delle grandi emigrazioni transoceaniche, per questi cittadini il riconoscimento della cittadinanza italiana spesso avviene per discendenza (jure sanguinis): se esiste o è esistito un avo cittadino italiano per nascita, la cittadinanza viene riconosciuta previa iscrizione anagrafica in un comune italiano, ma senza l’obbligo della dimora abituale dei dieci anni previsti dalla legge. 

L’età media dell’emigrato naturalizzato tra il 2012 e il 2016 è di 26 anni per gli uomini e di 24 per le donne, con qualche lieve differenza a seconda del Paese di precedente cittadinanza. I più giovani emigrati naturalizzati sono quelli di origine pakistana la cui età media all’emigrazione è inferiore ai 20 anni. I più maturi sono gli emigrati di origine brasiliana, la cui età media è di circa 33 anni, e albanese, con età media all’emigrazione superiore ai 29 anni. 

Territorialmente, l’area che accoglie la maggioranza degli stranieri residenti in Italia è il Centro-nord ed è da lì che partono con maggiore frequenza i flussi verso l’estero dei naturalizzati. Milano è la provincia nella quale si registra il maggior numero di provvedimenti di acquisizione (circa 49 mila, 7,3 per cento del totale negli anni 2012-2016), seguita da Brescia e da Roma (circa il 5 per cento); ma sono alcune province del Veneto e della Lombardia a far registrare la più alta incidenza di naturalizzati emigrati per l’estero: Vicenza (8,8 per cento delle acquisizioni di cittadinanza), Mantova (7,1 per cento) e Brescia (6,4 per cento). 

Considerando la totalità degli emigrati di origine straniera, le principali destinazioni cambiano non solo in base alla cittadinanza di origine, ma anche alla presenza o meno di naturalizzazione. 
Per molti stranieri extra-comunitari il riconoscimento della cittadinanza italiana viene visto come il lasciapassare per poter circolare liberamente tra i Paesi dell’Unione europea. La libera circolazione delle persone e dei lavoratori è un principio fondamentale, sancito dall’articolo 45 del Trattato sul funzionamento dell’Unione, secondo il quale i cittadini della Ue hanno il diritto di cercare lavoro in un altro Paese dell’Unione, lavorare in tale paese senza bisogno di un permesso di lavoro, vivere e restare nel Paese anche quando l’attività professionale è giunta a termine e, infine, godere della parità di trattamento rispetto ai cittadini nazionali per quanto riguarda l’accesso al lavoro, le condizioni di lavoro, nonché qualsiasi altro beneficio sociale e fiscale. Possono godere di questa libertà i cittadini della Ue che si spostano in un altro Paese europeo per cercare un impiego o che già vi lavorano e i loro familiari. 

La rete degli spostamenti mostra come nodo centrale i Paesi dell’Unione europea che, nella maggioranza dei casi, sono la destinazione dei flussi dei naturalizzati che hanno acquisito la cittadinanza italiana tra il 2012 e il 2016 (quasi 19 mila, pari al 75,6 per cento degli emigrati naturalizzati): tra chi acquisisce la cittadinanza ed emigra, il 96 per cento dei cittadini del Bangladesh, il 95 per cento dei nativi ghanesi e il 91 degli originari del Marocco e del Pakistan si dirige in un altro paese Ue. 

I nodi di attrazione del Marocco e del Brasile fanno emergere anche una buona percentuale di naturalizzati che rientrano nel Paese di origine: per essi si può parlare verosimilmente di una migrazione di ritorno. Confrontando le traiettorie degli emigrati naturalizzati con quelle degli emigrati stranieri che hanno mantenuto la cittadinanza d’origine, questi ultimi tornano prevalentemente nel paese di origine. In particolare, i cittadini marocchini emigrati nel 75 per cento dei casi rientrano in Marocco, mentre i loro connazionali, una volta naturalizzati, nel 70 per cento dei casi emigrano verso la Francia. Analoghe considerazioni valgono per indiani, bengalesi e pakistani, con la differenza che la loro meta di destinazione preferita è il Regno Unito.

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