“Quando il dialogo diventa difficile, se non impossibile”.

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Il direttore del settimanale Toscana Oggi, Andrea Fagioli, ha risposto alla mia lettera “Quando il dialogo diventa difficile, se non impossibile”.

Scrive: “Un lettore si mostra molto scettico sulla possibilità di dialogo tra persone che hanno convinzioni molto radicate, come i testimoni di Geova o gli stessi cattolici su temi come il fine vita”.

E continua: “Non credo che il dialogo presupponga il rinunciare ai propri principi e alle proprie idee”.

Ma chi ha affermato questo? La mia constatazione era la seguente: se una persona si arrocca dietro le proprie “molto radicate” convinzioni, se i suoi ragionamenti sono fortemente condizionati da quelle convinzioni, se i suoi ragionamenti approdano inevitabilmente ad un’unica conclusione, il dialogo con questa persona è compromesso.

E facevo l’esempio seguente: “Si può discutere con un testimone di Geova sui benefici o meno delle trasfusioni di sangue? Non è possibile, perché il Testimone s’industrierà in tutti i modi  per dimostrare che le trasfusioni di sangue sono dannose, il suo pensiero andrà necessariamente in un’unica direzione, per giungere inevitabilmente ad una sola conclusione. Altrimenti si troverebbe davanti ad una contraddizione per lui inaccettabile: come può Dio proibire agli uomini ciò che è per loro un bene e non un male?”.

Mi sembra evidente che in questo caso sia il Testimone di Geova ad impedire il dialogo.  Non si tratta di non voler dialogare, ma di non poter dialogare.

Fagioli scrive poi: “Se posso fare un esempio calcistico, tanto per capirci, è la squadra più debole che si chiude in difesa per salvare lo zero a zero. Magari, per vincere la partita, spera in un contropiede o in un errore dell’avversario, ma a livello di gioco non costruisce”

E sembra non aver compreso il senso delle mie considerazioni. Infatti, a giocare in un solo modo e ad impedire all’avversario di giocare, è colui che si arrocca dietro le proprie  posizioni.

Scrive ancora Fagioli: “Il dialogo è una necessità vitale, anche se non sempre è facile”.

 Per l’appunto, è una  necessità vitale, e per questo dispiace che venga compromesso dai comportamenti da me descritti.

Scrive infine Fagioli: “Dialogare significa invece costruire”.

Per l’appunto. Ma per costruire bisogna essere in due. L’interlocutore può impedirtelo. E’ lui che si arrocca dietro le sue convinzioni, è lui che ragiona in una sola direzione, è lui che giunge ad un’unica conclusione. 

Ancora un esempio: la persona che ha convinzioni “troppo radicate” sull’inviolabilità della vita, rende difficile, se non impossibile, dialogare a proposito dell’eutanasia. La sua “troppo radicata” convinzione, lo costringerà ad arrivare ad un’unica conclusione: l’eutanasia è un male. E addio dialogo costruttivo. 

Ma perché sono stato indotto a fare queste considerazioni? Semplicemente perché ho provato invano innumerevoli volte a dialogare con persone dalle convinzioni “troppo radicate”.

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