Così la Lega ha affossato il decreto sui rider dei Cinque stelle

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Il Carroccio stava preparando un disegno di legge regionale in Lombardia da portare in Parlamento, ma i Cinque Stelle a sorpresa hanno annunciato il decreto dignità. Salvo poi fare retromarcia. Parla il consulente della Lega: «Ho indicato io cosa non andava nel decreto 5S»

di Lidia Baratta

C’è lo zampino della Lega di Matteo Salvini nel passo indietro di Luigi Di Maio sui rider. Venerdì 15 giugno il decreto dignità era stato annunciato in pompa magna: Di Maio, dopo aver incontrato i rider come primo atto da ministro, aveva sfidato Deliveroo, Foodora e colleghi, promettendo di trasformare tutti i fattorini delle consegne a domicilio da lavoratori autonomi a dipendenti, con tanto di ferie, stipendio minimo e contributi. Poi è bastato un weekend e il botta e risposta con qualche azienda, per trasformare il minaccioso decreto legge in più blando tavolo di trattativa con i sindacati, di cui però ancora non si conoscono date e scadenze.

E a mettere il freno a Di Maio è stata l’anima leghista del governo, che ha prevalso anche su questo fronte. Il Carroccio infatti stava già lavorando nella Regione Lombardia guidata dal leghista Attilio Fontana a un disegno di legge regionale per regolamentare la gig economy, simile a quella appena approvato nel Lazio. E per il prossimo 5 luglio era stato fissato pure un incontro con le principali aziende del settore per stilare un documento da portare poi in Parlamento. La Lombardia leghista si sarebbe fatta capofila dei nuovi diritti dei rider, e i grillini lo sapevano. Ecco forse perché i Cinque stelle, che già subivano il protagonismo di Salvini sull’immigrazione, hanno deciso a sorpresa di rubargli la scena premendo sull’acceleratore. Con l’annuncio del decreto dignità, di cui i rider sono diventati il simbolo. Un testo che per di più andava in tutt’altra direzione rispetto a quello lombardo-leghista. Il M5S puntava sul contratto subordinato per tutti, dalla Lega non ci pensavano nemmeno.

Al Pirellone, come consulente giuridico, era stato chiamato l’avvocato giuslavorista milanese Francesco Rotondi. Che viene subito ricontattato dai vertici nazionali della Lega, per studiare anche la bozza di decreto dei Cinque stelle. «Era un testo forte», racconta Rotondi. «Ho inviato così tre pagine con i 2-3 punti che non andavano bene nel decreto e una sintesi del pensiero elaborato già in Regione su come regolamentare il settore».

Va tenuto fuori da questo ambito ciò che è previdenziale. Altrimenti il business delle aziende non regge più. Questo non è un lavoro che può portarti alla pensione e che può essere incasellato nella classica distinzione tra autonomi e subordinati. Se si vogliono mantenere questi lavoretti, non si può aumentare troppo il costo del lavoro

Francesco Rotondi, consulente giuridico della Lega

Nel governo dei doppi, l’uomo della Lega che fa da contraltare a Di Maio nel nuovo super ministero del Lavoro e Sviluppo economico è il sottosegretario Claudio Durigon. È lui che porta sul tavolo del Mise i punti problematici del decreto e la proposta leghista. Che prevede sì un ampliamento delle tutele per infortuni e malattie, il pagamento orario minimo più un bonus a consegna – oltre a un codice comportamentale per i rider da adottare in strada con bici e scooter –, ma senza trasformare i fattorini in lavoratori dipendenti. Nel frattempo anche altri giuslavoristi avanzano più di un dubbio sulla crociata pentastellata: «Impossibile obbligare le aziende del food delivery a fare contratti subordinati», dicono in tanti. E pure nei Cinque stelle qualcuno storce il naso. Passa il weekend, Di Maio incontra al Mise i rappresentanti di Foodora, Deliveroo, Just Eat e colleghi, e all’uscita i toni da propaganda sono scomparsi. Niente decreto, niente decisioni unilaterali: si va alla trattativa con le parti sociali.

La principale questione, spiega l’avvocato Rotondi, «è che va tenuto fuori da questo ambito ciò che è previdenziale. Altrimenti il business delle aziende non regge più. Questo non è un lavoro che può portarti alla pensione e che può essere incasellato nella classica distinzione tra autonomi e subordinati. Se si vogliono mantenere questi lavoretti, non si può aumentare troppo il costo del lavoro».

Saranno queste le proposte che ora i leghisti, forti dell’ennesima vittoria sui coinquilini di governo, porteranno al tavolo del Mise. Anche se, dicono, la presenza dei sindacati già in prima battuta non fa ben sperare. Cgil, Cisl e Uil, che finora non hanno rappresentato le proteste dei rider, tutte auto-organizzate senza le bandiere sindacali, porteranno come unico vessillo l’inserimento della figura del rider nell’ultimo contratto della logistica. A conti fatti, se si ricorrerà alla contrattazione collettiva tout court, non si scenderà sotto i 12-13 euro l’ora. «Una follia», dice Rotondi. A meno che anche Camusso e compagni non facciano un passo indietro, è possibile che la minaccia del decreto legge ritorni ad aleggiare tra i corridoi del Mise, spaccando ancora una volta il governo.

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