L’Aquila, Amatrice,… due realtà inequivocaboli. Il terremoto ha prodotto danni enormi ma le macerie sono lì in un silenzio eloquente. Non è la prima volta che vi sono terremoti in Italia; il ricordo va all’Irpinia o al Friuli, o più recentemente in Emilia,.. certamente in quei casi anche con gran dispendio di danari pubblici si è ricostruito ed avviato uno sviluppo fantastico che ha generato modelli di economia tipicamente italiana. A quell’epoca nessuno immaginava che potessero essere lasciati a se stessi! Era la mentalità della alacrità, della laboriosità e della inclusione. Mai si sarebbero abbandonati, esclusi dal reato della società, era inconcepibile, anzi, si è proceduto anche dopo la fase della emergenza con determinazione priva di tentennamenti; le stesse immancabili irregolarità e gli arricchimenti personali e politici che sono stati molti e molti di più del sopportabile, appaiono oggi poca cosa rispetto al recupero realizzato e al beneficio per tutti, terremotati e non.
Oggi non è più così: come si lasciano intere generazioni “inutilizzate” perché concretamente inutili per coloro che detengono il potere, cosi anche queste zone si scoprono inutili; al di la dei turisti che per poche settimane estive andavano a godersi la tranquillità e le prodigalità culinarie offerte dalle tradizioni locali non v’era nulla di utile e quindi si lascia che le cose rimangano come il terremoto le ha lasciate. La cultura della efficienza tecnologica nordica si rivela per quella che è e cioè cultura della esclusione di coloro non utili al sistema efficientista; e li si esclude senza che se ne preveda un destino; semplicemente perché non vi sono soldi per mantenerli.
Quindi lo stato di abbandono in cui versano le aree terremotate è una icona perfetta del modello di governo che subiamo ove la finanza impone alla politica la prassi efficentista incarnata dalla tecnocrazia europea. Quella icona descrive perfettamente la filosofia che muove i potenti di oggi.
Serve dirci se esiste una alternativa: i privati ancorchè possessori delle case distrutte non hanno interesse a ricostruire case che avrebbero un valore inferiore alla spesa necessaria alla loro ricostruzione; poi sanno che vi sono le tasse da pagare a prescindere dal reddito che producono; la burocrazia pretende fin d’ora per la rimozione delle macerie (e per la successiva ricostruzione) pedaggi enormi che al tempo dell’Irpinia non esistevano; lo stato preferisce utilizzare i cospicui proventi fiscali che rastrella dai contribuenti al sostegno della pletora infinita dei dipendenti pubblici (che poi non sono altro che la stessa burocrazia che blocca le attività economiche) e dei clientes che sostengono il consenso che differentemente non permetterebbe alle casta di occupare i posti che occupa. Quindi non esiste una alternativa se il sistema rimane questo.
Quel che serve, visto che di soldi non se ne parla, è che in quelle aree si instauri una sorta di area franca burocratica e fiscale (come in Puglia fu fatto secoli fa in valle d’Itria proprio perché poverissima) che renda quelle aree interessanti economicamente per investitori locali e nazionali proprio perché libere dalle medioevali limitazioni imposte dai signorotti della burocrazia. Diverrebbero attrattive di italiani e stranieri e dei loro capitali che vogliono vivere liberi… veramente.
Invece non si fa nulla pur sapendo che lasciando così le cose il fisco prenderà veramente poco….
Canio Trione