Con il teatro Kombetar  va giù un altro pezzo d’Italia a Tirana

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L’assordante silenzio del nostro governo

di Enzo Varricchio

Il teatro è per definizione arte e cultura ma quando si tratta di un edificio storico come il Kombetar di Tirana entrano in gioco anche altri fattori come la memoria di un’epoca e l’identità di un popolo. Se poi il popolo è quello albanese, da sempre legato a quello italiano, allora diviene simbolo, e i simboli non possono cancellarsi con un semplice colpo di spugna del potente di turno e in nome di interessi oscuri e sospetti.

Nato nel 1938 come “circolo italo-albanese”, su progetto dell’architetto-ingegnere Giulio Bertè, l’edificio nei pressi di Piazza Skanderbeg che oggi ospita il Teatro Nazionale fu uno dei primi interventi urbanistici italiani in Albania, ancor prima dell’occupazione fascista dell’aprile 1939.

Il Parlamento albanese, insufflato dal premier Rama e dal sindaco di Tirana, ha votato una legge speciale per l’abbattimento del Kombetar. Al suo posto, un progetto di archistar danesi foraggiato da imprenditori privati ma fortemente criticato da artisti, opposizione politica e cittadini che non hanno esitato a scendere in piazza nei giorni scorsi per difendere un pezzo della loro (e della nostra) memoria storica.

L’edificio in questione venne realizzato con materiale prefabbricato a Milano: un cemento sperimentale impastato con fibre di pioppo e alghe, con il nome commerciale “populit”, e ampiamente usato fino agli anni ’70 del secolo scorso, oggi sotto accusa. Per le autorità albanesi, sarebbe inagibile, inquinato dall’amianto e, a detta del primo ministro Edi Rama  “non ha nemmeno gli standard di un teatro comunale”.

Invece, una ricerca del Politecnico di Bari del 2008 evidenziava il notevole valore storico-documentario dell’edifico, dovuto alle ricerche sperimentali su questi materiali svolte nel periodo autarchico, ma anche al “carattere architettonico e al ruolo urbano di grande interesse: una sorta di isola, estraniata dal suo contesto e resistita negli anni Novanta anche alla speculazione edilizia”.

E’ davvero assurdo che un esempio di architettura industriale e di razionalismo italiano del primo Novecento possa essere demolito, anziché semplicemente restaurato.

E’ da diverso tempo che il centro italiano di Tirana continua ad essere cancellato in nome della grandeur futuristica del nuovo sultano Rama, affidata ai potentati economici privati.

Nel 2011 fu distrutto il giardino ribassato di Giulio Bertè (del 1935), poi lo stadio monumentale progettato da Gherardo Bosio (1939-1941), raso al suolo nel 2017; ora il teatro Kombetar, scampato alla guerra mondiale e alla lunga dittatura comunista che pure avrebbe avuto ragioni ideologiche per demolirlo.

“A Tirana il passato non esiste” preconizzava Indro Montanelli, triste profeta dell’odierno scempio. Entro fine mese, sarà costruito il “farfallino”, dalla ridicola forma di papillon del nuovo teatro nazionale che prenderà il posto del Kombetar al centro della capitale albanese.

Il progetto, che costerà un miliardo di euro, è stato criticato persino dal Fondo Monetario Internazionale – notoriamente non un circolo di intellettuali affezionati ai beni culturali -, che ha invitato il governo albanese a non firmare alcun nuovo contratto, poiché le concessioni sarebbero fatte “senza una chiara analisi tra costi e profitti”.

Il presidente della Repubblica Ilir Meta ha rinviato al Parlamento la legge speciale. Intanto proseguono le proteste anche via facebook, con una petizione all’indirizzo di “Aleanca për Mbrojtjen e Teatrithttps://www.facebook.com/232465630646137/posts/prej-disa-dit%C3%ABsh-aleanca-p%C3%ABr/285405975352102/

Ciò che stupisce è l’assoluta indifferenza del governo italiano, che pure avrà un ruolo importante nell’ammissione nella UE del piccolo stato balcanico.

Ma chi distrugge la memoria e devasta il proprio passato sarà condannato alla dimenticanza e allo smarrimento del proprio futuro…

Per approfondimenti: “Tracce dell’architettura italiana in Albania. 1925-1943”, A. Vokshi, Università di Firenze, 2012.

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