La Repubblica del dopo

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Dopo la proclamazione della Repubblica (giugno 1946), i mutamenti nel Paese sono iniziati da subito. Il Paese di “Santi”, “Poeti” e “Navigatori” fa parte del nostro passato. Un passato che non deve condizionare il nostro futuro. Dopo più di settant’anni di “altalene” politiche della più svariata natura, l’Italia è sempre in crisi.

Altre difficoltà non mancheranno. I cambiamenti politici, anche se la “nuova guardia”sembra non temerli, saranno decisivi. Il potere non solo si deve saper gestire, ma anche meritare. A nostro avviso, il 2018 potrebbe essere l’anno della “nuova frontiera” nazionale. Nulla, per la carità, da paragonare all’Epopea di Kennedy. L’Italia non è l’America. Nel bene come nel male.

Certo è che il Bel Paese ha ritrovare un ruolo di Stato europeo, inserito, a pieno titolo, tra i Paesi fondatori dell’UE. Quello che, ora, ci necessita è la chiarezza politica che non dovrebbe rifarsi all’astrazione dei “poli” ben noti a tutti. Con Renzi e Di Maio, un’era, sì è dischiusa. Del resto, tutti ci siamo resi conto che chi ha rovinato il Paese non sono state le ideologie, ma la gestione di coloro che le hanno avvallate.

L’ultima Generazione dei Partiti è già tramontata. E’, ora, prioritario impegnarci per sanare gli errori delle passate gestioni politiche. I trasformismi di Palazzo sono finiti con un Esecutivo forse più idoneo a sostenere la rigida economia dei Paesi europei emergenti.
Nessun rimpianto, quindi, per quanto ci stiamo lasciando alle spalle e maggiore impegno per gli anni futuri.

L’Azienda Italia c’è ancora. Mal ridotta, ma ancora nelle condizioni di riscoprire la sua competitività. Come a scrivere che l’esperienza vissuta è la prova che il rinnovamento non è più solo un fatto metafisico. Il Paese ha bisogno di sostanziali cambiamenti negli equilibri politici; anche considerando, in modo meno marginale, l’apporto dei milioni di Connazionali oltre frontiera.

Gli uomini del vecchio apparato sono al tramonto; c’è anche chi l’ha espressamente riconosciuto. Il quadro politico futuro non dovrebbe avere più relazioni con i fatti, voluti o no, che ci hanno portato sull’orlo del disastro economico. Dopo il voto politico, la Penisola sarà in grado di manifestare diversamente un impegno conforme alla sua realtà europea? Lasciamo ai Lettori ogni ragionevole considerazione.

Giorgio Brignola

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