Riaprono i Mausolei di Saxa Rubra

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 La Tomba di Fadilla sulla Flaminia

Riaprono le loro porte dopo 15 anni e un accurato restauro curato dalla soprintendenza speciale di Roma i Mausolei dei Nasoni e di Fadilla sulla via Flaminia, nell’area di Saxa Rubra. L’occasione sono le Giornate del Patrimonio, in programma il 22 e il 23 settembre, quando le due strutture ipogee risalenti al II secolo d.C. e arricchite da pitture e mosaici, torneranno alla pubblica fruizione per poi aprire una volta al mese su richiesta. La Tomba di Fadilla, scoperta nel 1923, deve il suo nome a una piccola lapide in marmo, inserita sulla parete destra, con una epigrafe funeraria dedicata dal marito alla moglie Fadilla, nome diffuso nella famiglia degli Antonini.

La Tomba dei Nasoni, invece, è stata scoperta nel 1674 e da allora ha attraversato varie vicissitudini che ne hanno compromesso parzialmente la conservazione. Ciò nonostante rappresenta un monumento di grande importanza, e lo testimoniano le 35 tavole realizzate dal pittore e incisore Pietro Santi Bartoli, pubblicate nel 1680 con il titolo ‘Le pitture antiche del sepolcro dei Nasonii, nella via Flaminia’.

“Una via che per bellezza e monumentalità – spiega il soprintendente di Roma, Francesco Prosperetti – era molto simile all’Appia. Da un lato infatti c’era il grande fronte tufaceo con le tombe ipogee dalle facciate monumentali, dall’altra il Tevere ricco di mausolei. Una strada che certamente era una delle meraviglie di Roma, mangiata viva nel 1890 quando sono state fatte le grandi cave tufacee di Roma Capitale”.

La tomba di Fadilla attualmente si trova all’interno di un condominio dei primi del ‘900 “ed è in buono stato di conservazione”, spiega Marina Piranomonte, che ha diretto i restauri dei due mausolei, con l’intero impianto decorativo, a partire dal pavimento a mosaico in bianco e nero, ben conservato. Le quattro pareti, la volta e gli arcosoli conservano una delicata decorazione pittorica caratterizzata da riquadri che racchiudono animali e figure umane, oltre alla lapide in marmo con la dedica. Ben diversa la situazione della Tomba dei Nasoni, con una facciata in marmo a forma di tempietto, oggi scomparsa, dove si apriva una porta sormontata dalla ‘tabula inscriptionis’ che ha permesso di attribuire il sepolcro a Quintus Nasonius Ambrosius e dunque alla famiglia dei Nasoni.

“Per questa ragione, oltre che per il complesso apparato decorativo, fin dal ‘700, la Tomba ha goduto di grande popolarità: in un primo momento infatti si pensava fosse collegata a Ovidio o almeno alla sua famiglia”, chiarisce Piranomonte. “In realtà fu anche la complessità degli affreschi, con molti elementi mitologici, ad attirare l’attenzione dei molti visitatori di questa tomba. E a causarne purtroppo la spoliazione nel corso dei secoli”.

Al nipote di Papa Clemente X fu consentito di strappare tre frammenti di affreschi, che trovarono poi sistemazione nella sua villa all’Esquilino. Altri sei affreschi sono stati acquistati nel 1883 dal British Museum di Londra. Della possente collina di tufo dove in origine era stata scavata la Tomba, inoltre, oggi rimane solo una piccola parte, a testimonianza della distruzione del paesaggio naturale e archeologico a causa prima della attività di estrazione, successivamente dell’industrializzazione e dell’urbanizzazione.

Il restauro è stato maggiormente concentrato sulla bonifica dell’esterno della tomba, e finalizzato al mantenimento di un ambiente privo di infiltrazioni, solido all’interno, tale da permettere la conservazione delle decorazioni anche in futuro. L’impegno per la soprintendenza speciale di Roma è stato di 40mila euro a tomba, una cifra non da poco.

“A Roma non c’è solo il Colosseo, ma un patrimonio sterminato che dobbiamo tutelare e valorizzare”, dice Prosperetti, parlando di “sciagurata iniziativa del precedente esecutivo” in riferimento all’istituzione del Parco del Colosseo, che ha sottratto alla soprintendenza speciale di Roma l’anfiteatro, i Fori e il Palatino, principali fonti di reddito dell’istituzione.

“La riforma di Franceschini – aggiunge il soprintendente – è ben fatta per molti aspetti, come le autonomie dei musei e l’unificazione delle soprintendenze, ma lasciandoci solo il 30% degli introiti da destinare non solo alla manutenzione dell’area archeologica, ma anche dei beni architettonici e artistici, rende la gestione del patrimonio di Roma difficilissima se non impossibile. Spero che il nuovo ministro rimedi a questo errore”, conclude. 

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