Le Figaro – L’Europa non riuscirà a mettere in ginocchio l’Italia

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di Carmenthesister

Steve Ohana, professore di finanza presso l’ESCP Europe, storica e prestigiosa business school di Parigi, commenta su Le Figaro, con pacatezza e ragionevolezza, la sfida aperta tra il nuovo governo italiano e le istituzioni UE, guardiane delle regole di governance che stanno portando al fallimento dell’Unione. A differenza delle alte grida che si levano dai grandi media del nostro paese, dove sodali del vecchio establishment diffondono terrore su ogni richiesta di rinnovamento in difesa dell’interesse nazionale, secondo questa analisi le istituzioni europee non riusciranno tanto facilmente a mettere in ginocchio l’Italia, come hanno fatto con la Grecia nel 2015, per tanti motivi, non ultima l’importanza sistemica del mercato obbligazionario e del settore bancario italiano. La strategia del governo giallo-verde è considerata dunque solida e ben fondata, e risulteranno decisive le elezioni europee della primavera 2019.

FIGAROVOX / TRIBUNE. 1 Ottobre 2018

Il governo italiano ha annunciato che il deficit pubblico sarà pari al 2,4% del PIL, anziché l’ 1,6 richiesto dall’Europa: Steve Ohana, professore di finanza presso l’ ESCP Europe, storica e prestigiosa business school fondata a Parigi, analizza i rischi sia per l’Unione Europea che per l’Italia.

Venerdì è stato un giorno di verità per l’Italia e l’Europa. Mentre per diverse settimane investitori e commentatori sembravano rassicurati sulla situazione italiana e accoglievano con favore la presenza nel governo dell’economista Giovanni Tria, quale guardiano delle finanze italiane, venerdì i due leader della maggioranza, il leader della Lega Matteo Salvini e del Movimento cinque stelle Luigi Di Maio, hanno annunciato che il deficit pubblico per il 2019 non sarebbe stato pari all’1,6% del PIL, come previsto dai mercati, ma attorno al 2,4%.

Tanto è bastato per scatenare il timore dei mercati: nella giornata di venerdì i tassi italiani a 10 anni sono aumentati dello 0,25%, raggiungendo il 3,15%. L’indice della Borsa italiana ha ceduto quasi il 4%, trascinato in basso dalle banche, tra cui il gigante Unicredit che ha perso quasi il 7% e la Banca Popolare di Milano oltre il 9%. L’intero settore bancario europeo era in rosso, con perdite tra il 3 e il 4% per tutte le mega-banche francesi e tedesche.

Quali sono le intenzioni del governo italiano in questa nuova partita a poker con le istituzioni europee?

La marea “giallo-verde” del marzo 2018 è nata dalla crisi di sfiducia dell’opinione pubblica italiana nei confronti delle istituzioni europee. L’Italia, con una crescita zero del PIL pro-capite sin dall’avvio dell’euro e una disoccupazione che rimane ostinatamente al di sopra della media europea, si considera giustamente come la principale sconfitta dell’unione monetaria. E questo, nonostante tutti i suoi sforzi per conformarsi all’ortodossia economica e fiscale europea (torneremo su questo). Inoltre, la mancanza di solidarietà dei paesi europei nei confronti di paesi che, come l’Italia e la Grecia, dal 2015 sono stati in prima linea nell’accoglienza dei migranti, ha alimentato fortemente questa ondata euroscettica.

È in questo contesto che Salvini e Di Maio hanno cercato, dal maggio 2018, di intraprendere un braccio di ferro con l’UE sulle questioni migratorie, economiche e di bilancio. Con spettacolari gesti di disobbedienza alle regole della governance europea, i due leader italiani stanno minando progressivamente la credibilità delle istituzioni guardiane di queste regole. Istituzioni internazionali come l’FMI e la Commissione europea raccomandano un deficit pubblico dello 0,8% del PIL per ridurre lo stock del debito pubblico italiano dal 132% di oggi al 110% nel 2025? La coalizione annuncia il triplo di questo deficit per il 2019. I precedenti governi hanno bloccato la rivalutazione delle pensioni in base all’inflazione e hanno allungato l’età della pensione per accontentare Bruxelles? Questa riforma sarà rivista. Il Jobs Act del leader democratico Matteo Renzi mirava a rispettare la credenza europea sulla flessibilizzazione del mercato del lavoro? La maggioranza annuncia la sua intenzione di rivedere la possibilità di rinnovare i contratti a tempo determinato e le facilitazioni di licenziamento offerte alle imprese. E così è di tutte le regole della governance europea, dal patto fiscale alla privatizzazione delle autostrade, passando per le regole di accoglienza dei migranti.

Questa strategia di sfida nei confronti dei trattati non lascia molte possibilità ai leader europei. Se chiudono un occhio sulle trasgressioni italiane, distruggono la poca credibilità che rimane delle regole comuni. Se entrano in conflitto, anche verbalmente, con il governo italiano, permettono a Di Maio e Salvini di presentarsi come i garanti della sovranità popolare contro l’establishment. Inoltre, Emmanuel Macron o Bruno Le Maire hanno davvero il diritto di fare la lezione all’Italia, loro che hanno appena annunciato un deficit del 2,8% del PIL per il 2019 (avendo anche, a differenza dell’Italia , un saldo primario ancora in deficit)? Come potrebbe la Commissione europea rampognare l’Italia senza dire nulla alla Francia?

La strategia di Salvini e Di Maio non è quindi destinata a provocare nel breve termine una “grande rivoluzione”, un’uscita dall’UE o dalla zona euro, uscita per la quale attualmente non hanno la maggioranza. Per ora, l’obiettivo del capo della Lega sembra essere quello di polarizzare l’opinione pubblica italiana ed europea in vista delle elezioni europee del maggio 2019, in cui spera di portare al Parlamento europeo una maggioranza dei deputati che condividono la sua linea sovranista e anti-immigrazione . È in questo senso che ha lanciato con Steve Bannon una coalizione di partiti politici affini alla Lega, che i suoi due fondatori hanno battezzato “Il Movimento”.

È improbabile che le istituzioni europee siano in grado di riportare la vittoria in questa guerriglia mettendo in ginocchio il governo italiano, come hanno fatto con il leader greco Alexis Tsipras nel 2015.

Certo, l’UE può contare sui mercati e sul famoso “spread” – il divario tra i tassi di indebitamento tedesco e italiano – per “disciplinare” la coalizione sovranista. Questa pressione del mercato è diventata ancora più importante da quando la BCE ha annunciato la fine del suo programma di acquisto di titoli pubblici sul mercato («Quantitative Easing») nel dicembre 2018 e l’agenzia di rating Moody’s ha dichiarato che potrebbe abbassare il rating del debito italiano nell’ottobre 2018. Ma non bisognerebbe esagerare l’importanza di questa pressione del mercato perché, anche se l’aumento dello spread rappresenta uno svantaggio per la solvibilità degli operatori privati ​​e delle banche, quindi per il credito e in definitiva per la crescita e l’occupazione, l’elettorato della coalizione non ne attribuirà la responsabilità a Salvini e Di Maio. Infatti alcuni economisti molto popolari in Italia criticano la BCE per non aver fatto tutto quanto è in suo potere per garantire la convergenza dei tassi italiani nei confronti dei tassi francesi e tedeschi, nonostante una situazione fiscale abbastanza invidiabile (Italia è l’unico principale paese dell’OCSE ad aver mantenuto un saldo primario – il saldo del bilancio pubblico al netto degli interessi sul debito – in attivo sin dai primi anni ’90). D’altro canto, finché l’Italia riesce a finanziarsi abbastanza bene sui mercati, non deve preoccuparsi troppo delle variazioni giornaliere dei tassi di indebitamento. Poiché il suo debito pubblico ha una scadenza media di sette anni, le fluttuazioni a breve termine dei suoi tassi di indebitamento hanno un impatto limitato sui suoi oneri complessivi per il servizio del debito. Questi costi molto elevati (poco meno del 4% del PIL, quasi il doppio della Francia) derivano dal peso del debito pubblico ereditato dagli anni ’70 -’80 (in realtà occorre qui osservare che il debito pubblico italiano sino ai primi anni ’80 era ancora al 60% del Pil, essendo poi cresciuto molto velocemente in un solo decennio – portandosi a oltre il 100% – soprattutto a causa delle nuove regole per il finanziamento dello Stato introdotte col famoso divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro, ndT) e dalla crisi finanziaria del 2008, nonché dall’elevato livello del tasso d’interesse dal 2010. Un retaggio di cui l’attuale coalizione al potere non è responsabile.

Se, a seguito di un’ondata di panico tra i suoi creditori, seguita da un rifiuto di venire in aiuto da parte della BCE, l’Italia non potesse più rifinanziare il suo debito sui mercati a un costo ragionevole, allora, come è diventato evidente questo venerdì, il problema italiano diventerebbe quello dell’Europa tutta intera, e anche oltre: l’Italia rappresenta infatti il primo mercato obbligazionario europeo e il terzo mercato obbligazionario più grande al mondo dopo gli Stati Uniti e il Giappone. La sua banca Unicredit è una banca sistemica la cui caduta potrebbe portare a una crisi bancaria globale. Sebbene il debito pubblico italiano sia per lo più detenuto (e in misura crescente) da residenti, le mega- banche francesi rimangono fortemente esposte al rischio bancario e sovrano italiano (questa esposizione è stimata in circa 320 miliardi di euro).

E, se la BCE decidesse non solo di lasciar decollare i tassi di indebitamento del governo italiano, ma anche di privare le banche italiane di liquidità, in una ripetizione della crisi greca dell’estate 2015, allora Salvini e Di Maio coglierebbero l’opportunità di emettere una nuova valuta. Questo scenario era già stato evocato tra le righe nel programma elettorale della Lega attraverso il possibile utilizzo dei “mini-bot”, una valuta fiscale parallela all’euro che il governo è pronto a emettere in caso di necessità. Conoscendo gli economisti euroscettici che ora occupano posizioni chiave nel governo e nel parlamento italiano (Paolo Savona, Claudio Borghi e Alberto Bagnai), possiamo pensare che la maggioranza si stia attivamente preparando per tali scenari. Dato il peso politico, economico e finanziario della penisola nell’Unione monetaria, l’uscita dell’Italia dalla zona euro potrebbe portare poi alla fine disordinata dell’euro, un Armageddon politico e finanziario al quale gli altri paesi europei sono probabilmente meno preparati dell’Italia …

Se mettere in ginocchio il governo italiano è probabilmente impossibile per l’UE, anche sostenere questa guerriglia permanente con la terza economia della zona euro può rappresentare una sfida esistenziale per la costruzione comunitaria. Da parte italiana, se la guerra di logoramento con l’UE si trascina, è probabile che l’elettorato della Lega e del M5S perda la pazienza e che il governo italiano finisca per perdere il forte capitale di fiducia di cui oggi gode (i due partiti nella coalizione sono dati al 62% nei sondaggi, con la Lega che è cresciuta di 12 punti rispetto alle elezioni dello scorso marzo).

Questo è probabilmente il motivo per cui sia Salvini che i leader europei, attaccati all’acquis del mercato unico e dell’euro, Emmanuel Macron in testa, ripongono grandi aspettative nelle elezioni europee del maggio 2019. Il risultato di queste elezioni sarà abbastanza chiaro per determinare l’esito della guerriglia italiana contro l’UE?

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