Una bega al giorno toglie il governo di torno. O almeno così si spera

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Non c’ è giorno che il governo Conte non si trovi ad affrontare  una lite, una bega o se vogliamo una grana, sia che scoppi all’interno del governo i cui confliggenti di tante querelle e contrasti talvolta anche molto duri sono stati e continuano ad esserlo Di Maio e Salvini; sia  che scoppino direttamente  tra quest’ultimi  o tra gli stessi ed  i rappresentanti delle istituzioni. Alla moderazione, al dialogo ed al confronto dovrebbero in verità essere sempre ispirate le azioni di chi governa bene o male questo nostro paese.

Fare la voce grossa, tipica dell’orco che vuole spaventare fanciulletti e fanciullette non serve, non giova a nessuno, tantomeno giova ad un Paese sull’orlo di una crisi di nervi che aveva riposto non poca fiducia nella lega e nei pentastellati e che oggi, dopo l’approvazione della legge di bilancio 2019, scopre d’essere rimasti invece in mutande molto succinte grazie ai tanti balzelli che tartasseranno e salasseranno nei prossimi mesi gli italiani. Strategia che se per un verso sembrerebbe aver leggermente tranquillizzato i burocrati europei ma che peraltro hanno disvelato l’incapacità di questo governo e delle forze politiche che lo sostengo ad andare ad uno scontro epocale e giusto contro un’Europa che pensa solo a far quadrare i conti e che si cura ben poco dello sviluppo del nostro paese, del rilancio del suo sistema economico per creare posti di lavoro in favore dei giovani ed occupazione stabile, atta a garantire il loro futuro e quello dei tanti lavoratori che il lavoro lo hanno perso grazie alla Fornero ed alla crisi delle loro aziende.

E’ necessario mettere in campo con urgenza aiuti ed incentivi alle imprese affinchè possano realizzare i necessari progetti di ristrutturazione ed ammodernamento e diventare o restare competitivi sul piano europeo ed internazionale, infrastrutturare il territorio (in maniera dicotomica assistiamo indignati al fatto che si vogliono e si riconoscono come necessarie e non più rinviabili le grandi opere ma poi nella pratica si lavora per non farle vedi la tav ed il  gasdotto a Melendugno in Puglia), rilanciare ed investire nel nostro Mezzogiorno, sostenere il Welfare ed i Servizi Sociali, la Sanità  e così via. (la lunga teoria dei problemi da risolvere peraltro non si esaurisce qui).

Oggi il problema dei problemi sembra  scaturire dall’attuazione del Decreto Sicurezza, di cui alla Legge 1 dicembre 2018, n. 132; molti Sindaci, infatti, hanno fatto sapere che lo stesso è di non facile applicazione e che parte dello stesso si appalesa manifestamente  incostituzionale. Milano si è fatta subito sentire unendosi ufficialmente al fronte della disobbedienza al decreto sicurezza lanciato mercoledì dal sindaco di Palermo, Leoluca Orlando. Beppe Sala infatti ha scritto su Facebook: «Ministro Salvini, ci ascolti e riveda il decreto sicurezza, così non va!». «Da settimane noi sindaci abbiamo  richiesto, in collaborazione con l’Anci, di ascoltare la nostra opinione su alcuni punti critici, per esempio ampliando i casi speciali e garantendo la stessa tutela della protezione internazionale ai nuclei familiari vulnerabili, anche attraverso lo Sprar, oggi escluso dal decreto sicurezza per i richiedenti asilo. Occorre inoltre valutare l’impatto sociale ed economico del decreto per le nostre città: più persone saranno per strada senza vitto e alloggio, più saranno i casi di cui noi Sindaci dovremo prenderci cura», ricorda Sala.

Già mercoledì aveva ribadito le intenzioni dell’amministrazione milanese l’assessore al Welfare, Pierfrancesco Majorino. «Non abbiamo nessuna intenzione – ha detto in accordo con Sala – di togliere l’iscrizione anagrafica ai richiedenti asilo che l’hanno già fatta, legge o non legge. Non solo il Comune – ha aggiunto Majorino – in queste settimane sta accogliendo nei centri per senzatetto «italiani e stranieri, senza porci il problema se siano regolari o meno: meglio averli nei centri che saperli per strada».

Ma sul Decreto  il vicepremier Salvini non arretra e manda a dire agli interessati che: “Con tutta la buona volontà, ma il decreto sicurezza lo abbiamo già discusso, limato per tre mesi e migliorato. Lo ha firmato il Presidente della Repubblica e adesso questi sindaci vorrebbero disattendere una legge dello Stato?. E’ troppo facile – ha sottolineato – applaudire Mattarella quando fa il discorso in televisione a fine anno e due giorni dopo sbattersene”. Mattarella il 4 ottobre ha firmato il decreto sicurezza accompagnando il provvedimento con una lettera – resa nota dal Quirinale – in cui si avvertiva “l’obbligo di sottolineare che, in materia”, “restano ‘fermi gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato’, pur se non espressamente richiamati nel testo normativo”.

Ma il Sindaco di Palermo Leoluca Orlando non ci sta e dichiara che:-. “La differenza fra dire e fare è che io adirò al giudice per incostituzionalità di parte del decreto Sicurezza. Si comincia coi migranti e si prosegue con altri. Tutti i regimi hanno iniziato con legge razziale spacciata per sicurezza». All’invito di Salvini a dimettersi, pronta la replica del sindaco di Palermo: «È la prova che Salvini non ha capito niente e che viviamo in mondi diversi. Io sto agendo da sindaco». E, per sottolineare le motivazioni della sua scelta, Orlando aggiunge: «A Palermo, tra 4-5 mesi, 80 minorenni, che studiano, lavorano e sono ospiti in comunità dove vivono ben integrati, compiranno 18 anni e dunque saranno illegali: è la conferma che questo decreto sicurezza è disumano e criminogeno».

Dura anche la risposta di de Magistris, sindaco di Napoli: «È Salvini che dovrebbe dimettersi. Le leggi ordinarie le applichiamo solo se conformi alla Costituzione. Lo facciamo con chi pensa di discriminare le persone in base al colore della pelle. Per noi esiste la Costituzione, sulla quale abbiamo giurato, poi ci sono le leggi ordinarie che vanno interpretate». E ancora: «Il porto di Napoli è aperto, ho scritto al comandante della nave per dirgli di dirigere la prua verso Napoli. Non c’è nessuna ordinanza di chiusura, venite qui».

In concreto stiamo assistendo in questi giorni e in queste ultime ore al fatto che i sindaci si stanno dividendo in due fronti: quelli pro-Salvini e quelli contro il decreto sicurezza. “Nessun atto di disobbedienza per Massimo Zedda, sindaco di Cagliari, che però ritiene che il decreto «renderà le nostre città più insicure». Il sindaco di Livorno, il pentastellato Filippo Nogarin, ricorda che «siamo abituati a rispettare le leggi fino a che sono in vigore», ma nota che «il decreto sicurezza è tutt’altro che una buona legge». Davide Drei, sindaco di Forlì, si unisce al coro dei Comuni che chiedono la sospensione del decreto e una «revisione immediata del provvedimento». Come il sindaco di Bergamo Giorgio Gori che scrive su Twitter: «La legge Salvini sull’immigrazione tradisce la Costituzione e in più non funziona». E quello di Nuoro Andrea Soddu: «Se dipendesse solo da me io disubbidirei domani mattina a questo decreto anticostituzionale e disumano».

Accanto ai sindaci che «hanno deciso di sospendere l’attuazione di quelle parti della legge sicurezza e immigrazione inerenti l’attività dei Comuni» si schiera anche l’Anpi, l’Associazione dei partigiani. «La coraggiosa decisione di Orlando e di altri Sindaci di non dare attuazione a tale articolo apre anche sul terreno istituzionale quel percorso di resistenza civile che da tempo Anpi aveva auspicato non contro questo Governo in quanto tale, ma contro i provvedimenti che negassero i fondamentali diritti costituzionali ribaditi dalla Dichiarazione universale dei diritti umani», scrive la presidente Carla Nespolo. «L’articolo 13 della legge – aggiunge – nega al richiedente asilo in possesso del permesso di soggiorno la possibilità di iscriversi all’anagrafe e quindi di avere la residenza, impedendogli di conseguenza di usufruire di qualsiasi servizio, a cominciare dall’assistenza sanitaria. Migliaia e migliaia di persone, pur presenti legalmente nel nostro Paese, sono così giuridicamente cancellate. Ciò comporterà inevitabilmente il passaggio di gran parte di costoro all’illegalità, compromettendo ogni loro speranza e la sicurezza di tutti i cittadini».

Il vicepremier Luigi Di Maio ha provato a stemperare gli animi ma ha finito con il peggiorare la situazione sostenendo  che si tratta “solo di una campagna elettorale da parte di sindaci che si devono sentire di sinistra”. Palazzo Chigi poi ha voluto chiarire alcuni aspetti particolari: secondo fonti interne sarebbero “inaccettabili le posizioni degli amministratori locali che hanno pubblicamente dichiarato che non intendono applicare una legge dello Stato. Il nostro ordinamento giuridico – hanno precisato le stesse fonti – non attribuisce ai sindaci il potere di operare un sindacato di costituzionalità delle leggi: disapplicare una legge che non piace equivale a violarla, con tutte le conseguenti responsabilità”.

L’Anci con il presidente Antonio Decaro ha risposto nel frattempo alle accuse sulla “pacchia” dicendosi pronto a nome dell’Associazione a restituire le fasce tricolori. Ma poi proprio fonti del Viminale hanno voluto ricordare come la stessa Anci, con Decaro già presidente, nel 2017 avesse lamentato il rischio che i servizi di iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo potessero sovraccaricare i municipi, soprattutto quelli più piccoli. “E il decreto Salvini – è stato sottolineato – ha raccolto quel suggerimento”. Insomma una lotta all’ultimo sangue atteso che le posizioni diventano giorno dopo giorno più distanti e difficili da mediare. Le prospettive non sono rosee,  l’unico dato di fatto è che Salvini con il suo fare guasconesco è riuscito a rimediare una brutta frattura istituzionale.

Giacomo Marcario

Comitato di Redazione de “ Il Corriere Nazionale”

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