Il ‘buco’ nei conti della Regione siciliana

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Il presidente Musumeci, e l’assessore Armao conoscevano benissimo la difficile situazione finanziaria della Regione. Quando si sono insediati non hanno detto nulla perché pensavano che le elezioni politiche del 4 marzo 2018 le avrebbero vinte Renzi e Berlusconi, che avrebbero sistemato tutto. Invece è arrivato il Governo nazionale giallo-verde e… e la Regione ‘viaggia’ verso l’abisso …

A parlarne sono in pochi. Ma il fatto che la notizia non goda dei favori dell’informazione non significa che non ci sia. La notizia c’è ed è pesante per tutti gli enti locali del nostro Paese: la Corte Costituzionale ha bloccato, con una sentenza, la legge nazionale che consente agli enti locali di ripianare i disavanzi ‘spalmando’ gli stessi disavanzi in trent’anni.

La ‘botta’ è pesante. E in Sicilia – anche se non ne parla nessuno – gli effetti potrebbero essere devastanti, sia per la Regione siciliana, sia per i Comuni dell’Isola che si trovano in difficoltà finanziarie (in pratica, quasi tutti i Comuni, anche se non tutti sono destinati a dichiarare il default). Ma andiamo con ordine.

Cominciamo a illustrare di che cosa stiamo parlando. La Corte Costituzionale si è pronunciata sulla legge di Stabilità 2016 poi modificata dalla legge di Stabilità 2017. La prima l’ha voluta il Governo Renzi, la modifica è stata introdotta per volere del Governo Gentiloni.

Il tema è il seguente: siccome con l’applicazione della riforma della contabilità pubblica (Decreto legislativo n. 118 del 2011) vanno eliminati dalle entrate dai Bilanci degli enti locali (Regioni, Comuni e quel poco che resta delle ex Province) i crediti inesigibili, si creano dei ‘buchi: per ‘tappare’ questi buchi la legge nazionale, voluta da Renzi e poi ritoccata per volere del Governo Gentiloni, prevede che gli Enti locali possano ‘spalmare’ in trent’anni tali disavanzi.

Di fatto, la legge consente agli enti Locali di contrarre mutui trentennali invece di togliere queste mancate entrate dai Bilanci in un unico intervento.

La legge, in verità, è sempre sembrata un po’ strana. Perché, di solito, un ente locale si può indebitare per effettuare investimenti, non certo per pagare la spesa corrente: cioè gli stipendi del personale e, magari, i precari! Insomma, indebitare le generazioni future per realizzare infrastrutture ci può pure stare: ma indebitare le generazioni future – cioè chi oggi è minorenne o chi deve ancora nascere – per pagare spesa corrente non è una manifestazione di buona politica!

La cosa sembrava strana, ma per qualche anno ha resistito. A rompere le uova nel paniere ha pensato la Corte dei Conti della Campania, che ha sollevato la questione quando è stata chiamata a pronunciarsi sulla rimodulazione del disavanzo del Comune di Pagani. E’ venuto fuori, così, un ricorso della magistratura contabile alla Corte Costituzionale.

I giudici della Corte dei Conti hanno chiesto alla Consulta di pronunciarsi sull’articolo 174 della legge nazionale di Stabilità 2016, poi modificato – come già ricordato – nel 2017. E’ l’articolo di legge che consente, pardon, che consentiva agli enti locali di modulare il riequilibrio finanziario “scorporando la quota risultante dalla revisione straordinaria dei residui attivi”.

Tradotto: stante che i residui attivi non sono altro che entrate inserite nel Bilancio di un ente locale certificate come inesigibili, ebbene, tali entrate fittizie vanno tolte. Ma togliere tali somme dalle entrate significa produrre un ‘buco’ nel Bilancio; per fronteggiare questo ‘buco’ gli enti locali, invece di pagare in unica soluzione, pagavano diluendo il disavanzo in trent’anni.

La Corte Costituzionale – questa è la notizia – ha stabilito che questa storia dell’indebitamento trentennale non può funzionare. Secondo i giudici della Consulta, il legislatore statale non può consentire a enti strutturalmente deficitari di andare avanti – magari per trent’anni – con il ricorso all’indebitamento. Come già accennato, gli Enti locali si possono indebitare (ovviamente non esagerando) solo se impiegano le somme dilazionate in trent’anni per investimenti, non per pagare spesa corrente!

La legge annullata dalla Consulta è stata dichiarata in contrasto con gli articoli 81 e 97 della Costituzione. Perché violano l’equilibrio introdotto con la discutibile riforma dell’articolo 81 della Costituzione; perché si indebitano le generazioni future e per violazione del principio di rappresentanza democratica, perché sottrae agli elettori e ai cittadini amministrati la possibilità di giudicare i Governi sulla base dei risultati raggiunti con le risorse finanziarie effettivamente impiegate durante il proprio mandato.

Questo lo scenario nazionale. La Regione siciliana ha dovuto eliminare 2,1 miliardi di euro di residui attivi presenti nel proprio Bilancio. Si tratta di un’eredità pesante lasciata dal passato Governo regionale di Rosario Crocetta.

Con molta probabilità, anche i politici del centrodestra della passata legislatura hanno avallato i ‘magheggi’ effettuati al Bilancio della Regione dal passato Governo nazionale di Renzi in combutta con il già citato passato Governo regionale di Crocetta.

Quando sono stati effettuati questi pastrocchi di Bilancio – tra la fine del 2015 e il 2016 – i ‘capi’ del centrosinistra siciliano erano matematicamente sicuri di perdere le elezioni regionali che sarebbero state celebrate nel novembre del 2017; anche il centrodestra non si sentiva vincente. Così il ‘trappolone’ finanziario è stato preparato – forse con la convinzione di centrosinistra e centrodestra – che a vincere le elezioni regionali siciliane sarebbero stati i grillini.

Quale migliore ‘regalo’, per il Movimento 5 Stelle della Sicilia, trovare, una volta al Governo, una Regione fallita?

Poi le elezioni regionali, grazie al supporto degli “impresentabili”, sono state vinte dal centrodestra, con l’elezione a presidente della Regione di Nello Musuumeci.

Quest’ultimo, appena si è insediato, avrebbe dovuto denunciare subito i ‘buchi’ del Bilancio regionale che doveva conoscere bene, perché nella passata legislatura ricopriva il ruolo di deputato regionale. Invece Musumeci e l’assessore all’Economia, Gaetano Armao, sono rimasti zitti. Perché?

Forse perché pensavano che le elezioni politiche nazionali del 4 marzo 2018 le avrebbero vinto Renzi e Berlusconi, che sottobanco erano già d’accordo per dare vita al Governo dell’inciucio. Berlusconi, una volta al Governo, avrebbe tolto le castagne dal fuoco a Musumeci e ad Armao.

Ma gli elettori hanno punito Renzi e Berlusconi. E ha visto la luce il Governo giallo-verde. Dopo le elezioni politiche del 4 marzo Musumeci e Armao hanno capito che erano nei guai e hanno cercato di correre ai ripari provando a ‘nascondere’ il ‘buco’ di 2,1 miliardi di euro.

Ma la Corte dei Conti, nella primavera dello scorso anno, quando ha approvato il Bilancio consuntivo 2017, ha fatto presente al Governo regionale che c’era questo ‘buco’.

Come già ricordato, Musumeci e Armao hanno fatto finta di non capire: ma i giudici della Corte dei Conti gliel’hanno fatto capire, come dire?, con le buona maniere…

Così è spuntato il ‘buco’ di 2,1 miliardi di euro che Musumeci e Armao conoscevano già. Il Governo regionale è riuscito a ‘spalmare’ un miliardo e 600 milioni di euro in trent’anni. E stava provando a chiedere a Roma l’autorizzazione per ‘spalmare’ in trent’anni anche gli altri 500 milioni di euro.

I rappresentanti del Governo nazionale erano molto perplessi. Ed è anche logico: già la Regione siciliana ha trasformato in un mutuo trentennale un miliardo e 600 milioni di euro di ‘buco’. Come si fa a consentire, di fatto, un secondo mutuo trentennale di 500 milioni di euro in trent’anni?

Mentre a Roma riflettevano se dire sì o no ala Regione siciliana, è arrivata la sentenza della Corte Costituzionale. Ovviamente, dei 500 milioni di euro da ‘spalmare’ in trent’anni non se ne deve nemmeno parlare: ma in discussione c’è anche la ‘spalmatura’ di un miliardo e 600 milioni di euro già effettuata. Resterà tale perché ha anticipato di qualche mese il pronunciamento della Consulta? O andrà sbaraccata?

Non lo sappiamo. Ma sappiamo che, per quest’anno, a prescindere da quello che succederà con il miliardo e 600 milioni di euro, nella Finanziaria regionale della Sicilia mancano all’appello quasi 200 milioni di euro: e il problema è serio.

Ma è altrettanto serio per i Comuni siciliani in difficoltà. Uno su tutti: il Comune di Catania, che non potrà ‘spalmare’ in trent’anni il ‘buco’ di un miliardo e 600 milioni di euro (ma come può un Comune indebitarsi fino a questo punto? ma i sindaci che si sono avvicendati fino a prima dell’arrivo dell’attuale sindaco, Salvo Pogliese, che non ha responsabilità, non ne sapevano nulla?). E via continuando con altri Comuni, per esempio Messina a Palermo, che non se la passano bene.

Come finirà? Secondo noi non bene…

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