Democrazia in Divisa – Il ’68 del Movimento dei Finanzieri Democratici

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L’ultima opera di Claudio Madricardo, giornalista pubblicista e scrittore, spesso inviato per servizi speciali in America Latina, è Democrazia in Divisa – Il ’68 del Movimento dei Finanzieri Democratici, casa editrice Ytali. Un libro che ripercorre tutte le fasi, dalla sua nascita ad oggi, del Movimento più longevo e tenace tra quelli che hanno segnato le battaglie di democrazia delle Forze di Polizia.
La prefazione è stata affidata alla prestigiosa penna di Beppe Giulietti, presidente della FNSI, il sindacato nazionale dei giornalisti. Giulietti ha messo in risalto lo spirito di sacrificio con il quale è andato avanti il Movimento anche nei periodi storico-politici difficili, segnati da una restrizione delle libertà democratiche legate al periodo del terrorismo.
L’autore gioca un po’ con i termini «democrazia indivisa e democrazia in divisa», lo fa per separare i momenti di gloria che ebbe il Corpo della Guardia di Finanza durante la Resistenza dalla fase e dalle epoche, degli scandali, della P2, della corruzione e della concussione.
Vincenzo Montenegro, Raffaele Dore ed altri furono i fondatori del Movimento dei Finanzieri Democratici, tra i primi ad utilizzare l’arma del volantino come strumento pacifico e democratico per sostenere le lotte di chi indossava la divisa della Guardia di Finanza, battaglie di rivendicazione di alcuni sacrosanti diritti quali il diritto allo studio (le famose 150 ore che, per molti anni, nonostante fosse una legge dello Stato, venivano negate ai dipendenti del Corpo), il diritto a contrarre matrimonio con le stesse regole applicate agli altri cittadini italiani ed il diritto ad essere rappresentati da un sindacato, così come per tutti gli altri lavoratori e così come prevedeva e prevede la nostra Costituzione.
Non possiamo essere d’accordo, però, con l’affermazione riportata nella quarta di copertina laddove si afferma che «il Movimento ha chiuso con un sostanziale fallimento, avendo mancato l’obiettivo prefisso della smilitarizzazione e della sindacalizzazione», in quanto, proprio in questi ultimi mesi il traguardo della sindacalizzazione è stato finalmente raggiunto, non per merito della politica ma per la volontà e l’impegno (anche economico) di un gruppo di volenterosi finanzieri che ha adito la Corte di Giustizia Europea per i Diritti dell’Uomo, ottenendo una sentenza favorevole ed innescando un meccanismo giudiziario, che potremmo definire ad effetto domino, laddove anche la Corte Costituzionale si è dovuta pronunciare nel merito, sancendo definitivamente questo diritto. Sebbene la politica non sia ancora riuscita a produrre dei decreti attuativi ad hoc, per ridefinire i contorni della sentenza della Corte Costituzionale, l’attuale Ministro della Difesa, avvalendosi anche di una recentissima sentenza del Consiglio di Stato, ha autorizzato la nascita dei primi sindacati tra le Forze di Polizia con le stellette, una svolta epocale, storica. Un successo del Movimento dei Finanzieri Democratici, che ha fattivamente contribuito a questa dura battaglia, per l’applicazione dei diritti costituzionali anche ai cittadini in divisa.
Una cosa è certa, se alcuni sindacati confederali hanno inizialmente seguito il percorso dei Finanzieri Democratici, essi non sono di sicuro i fautori di questo recente successo, negli ultimi decenni avevano completamente abbandonato a  se stesso il Movimento, cercando di utilizzarlo solo in chiave politico-elettorale come bacino di voti a favore di qualche partito che ha solo lanciato qualche sasso nascondendo poi la mano. Una metafora questa, per affermare che l’opinione di Vincenzo Montenegro riguardo alla presunta e meritoria opera del sindacato è priva di ogni fondamento se guardata obiettivamente in prospettiva futura e non solo con gli occhi intrisi di nostalgia per un’epoca che, forse, ha segnato veramente una vicinanza tra sindacati e Movimento, ma che ora è tutt’altra cosa.
All’epoca i sindacati avevano come nemica numero uno la Democrazia Cristiana, mentre dalla Margherita in poi aprirono un dialogo con la grande balena bianca e divenne loro alleata. Certo, ora i rapporti tra Movimento e sindacati confederali potrebbe cambiare proprio in ragione della sentenza della Corte Costituzionale, sempre che Maurizio Landini – che per fortuna non ha tessere di partiti in tasca – voglia cogliere questa opportunità di riscatto dopo il buio completo lasciato dai suoi predecessori (fatta ovviamente eccezione per Giuseppe Di Vittorio), fautori di un neo liberismo strisciante che ha portato il Paese a scellerate privatizzazioni, che hanno danneggiato pesantemente quello che un tempo era il ceto medio-basso che ora è scivolato nel proletariato. Pertanto viene a cadere la “prescrizione medica” di mantenere un legame stretto con i sindacati confederali, tanto sponsorizzata da chi ha fatto parte della prima fase del Movimento.
L’autore del libro attribuisce a Montenegro – ma forse implicitamente anche ad altri movimentisti del passato – la frase «Ciò che è venuto comunque meno è stato l’orientamento politico, e a chi è venuto dopo di noi è successo quello che accade a tutti i movimenti spontanei, in cui spesso prevalgono spinte personalistiche. Da qui all’affermazione del personalismo il passo è breve. E, infatti, la storia registra episodi di punizioni, di perquisizioni domiciliari, di sequestro di computer, il Movimento si è poi costituito in associazione». In realtà non c’è stato alcun personalismo l’attacco al Movimento da parte delle gerarchie militari faceva parte di una precisa strategia concordata a tavolino, tesa a distruggere ogni rigurgito di dissenso all’interno del Corpo.
Chi non ha compreso questo passaggio è sicuramente limitato dal punto di vista dell’osservazione politica, ha una visione miope della realtà, laddove i Comandi del Corpo volevano scientemente colpire il Movimento proprio perché esso era uscito da una cosiddetta “clandestinità” e si era finalmente costituito in vera e propria associazione politica e culturale, politica nel senso sociale del termine e non certo partitica, visto che, nell’ambito del suo statuto, i Finanzieri Democratici hanno sempre rivendicato la trasversalità delle idee: confronto democratico e pluralista con tutti i partiti ma senza adesione collettiva a nessuno di essi. Pertanto il sequestro del computer e la perquisizione vanno letti – così come sottolinearono all’epoca parlamentari di diversa estrazione politica – come atti intimidatori finalizzati a gettare discredito sul Movimento ed a spaventare le famiglie dei Finanzieri Democratici.
Le gerarchie del Corpo tentarono di gettare fango sul Colonnello Cerceo accusandolo, ingiustamente, di avere intascato indebitamente una indennità di ultima sistemazione (di trasferimento). Ma Cerceo dimostrò in tribunale che neppure un euro era stato sottratto indebitamente da lui allo Stato, si era effettivamente trasferito ed in quel periodo aveva anche amministrato – a titolo gratuito –  un condominio. Alcuni dei suoi colleghi-detrattori, che erano rimasti in servizio, poi furono indagati e processati per ben più importanti episodi di reale corruzione.
Anche Vincenzo Cretella ed Oscar D’Agostino furono perseguitati, venivano sistematicamente inviati alle loro conferenze dei finanzieri in abiti civili che poi riferivano dei contenuti ai Comandi del Corpo. Un controllo a 360 gradi sulla vita pubblica e privata dei due principali esponenti del Movimento. Questo è quanto risulta dai fascicoli depositati presso alcuni tribunali e dai documenti legalmente acquisiti presso i Comandi mediante la legge 241/1990.
Da quando il Movimento divenne associazione, regolarmente iscritto presso l’Ufficio del Registro di Trieste, dal solo volantino che aveva contraddistinto la prima fase del sodalizio, passò a ben altri strumenti di propaganda: un bimestrale cartaceo che veniva inviato a tutti gli associati, alle istituzioni ed ai sindacati; un sito internet, un blog e ben 4 pagine Facebook. Fu creata una mailing list ed i comunicati stampa venivano inviati, contemporaneamente, a 4.500 soggetti. Alcuni post furono visualizzati anche da 18.000 persone. Questi sono fatti e non chiacchiere.
Nel libro si parla anche di un articolo, pubblicato sul quotidiano TriesteOggi ed a firma di Lorenzo Lorusso, nell’ambito del quale veniva fatta la cronistoria degli episodi di corruzione e di concussione che si sono verificati in Lombardia ed in Veneto tra alti gradi, ma anche comuni finanzieri, della Guardia di Finanza. Ci si chiedeva se fossero stati attuati tutti i controlli possibili nei confronti del personale dipendente di ogni grado, ma questo aspetto diede fastidio a due alti ufficiali che querelarono il giornale e l’autore dell’articolo. Ci fu una doppia assoluzione per l’autore dell’articolo, in primo e secondo grado, per non avere commesso il fatto.
Tant’è che in primo grado furono indicati quali testi a difesa degli autorevoli professori universitari della facoltà di Lettere che erano pronti a giurare che il generale ed il colonnello avevano letto o interpretato male l’articolo. Nel libro di Madricardo, purtroppo, è stato commesso lo stesso errore di lettura degli alti ufficiali, tanto da fare intendere che fossero loro stessi i soggetti implicati nei fenomeni di corruzione, ma non è così, per onestà intellettuale e per correttezza bisogna precisare che ai due alti ufficiali si può imputare solo una impropria interpretazione dell’articolo ma non altro.
Stessa cosa dicasi per quanto concerne l’interrogazione parlamentare dell’onorevole Valter Bielli, semplicemente consegnata a Madricardo da Lorusso – senza commenti – affinché lo stesso potesse avere il completo materiale richiesto per organizzare il suo libro. Dei contenuti dell’interrogazione ne risponde solo l’onorevole Bielli, si può solo dire che, dagli elenchi ufficiali resi noti dall’onorevole Tina Anselmi (presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla Loggia Massonica denominata P2), il generale Giglio non sembrerebbe mai esservi stato iscritto ed a noi non risulta che lo fosse.
Forse per motivi di sintesi, il bravo giornalista e scrittore Claudio Madricardo, ha omesso di ampliare il discorso riguardante la parte sana del Corpo della Guardia di Finanza, che, nonostante tutto, prevale nettamente sui finanzieri corrotti o che hanno concusso. Se c’è stato qualche arruolamento pilotato, e di recente è stato anche condannato un appuntato che gestiva questo settore, non vuol dire che la maggior parte degli arruolati abbia percorso quella strada, anzi, sono stati in pochi ad eludere i percorsi ordinari. Questo aspetto è importante precisarlo affinché il libro venga letto dagli italiani con una maggiore serenità e fiducia nelle Forze di Polizia ed in particolare nella Guardia di Finanza. Ciò, però, non vuol dire che il Corpo non debba passare per una radicale riforma, nell’ambito della quale dovrà essere smilitarizzato e reso più snello ed efficiente, mediante una riduzione del personale ai vertici: circa 3000 ufficiali in organico di cui 114 sono generali: decisamente troppi, sono tanti anche se si fa un raffronto in proporzioni con l’esercito degli Stati Uniti.
Per i nascenti sindacati rappresenterà una vera e propria sfida adeguare il Corpo alle esigenze dei cittadini italiani e delle altre istituzioni.
 
Lorenzo Lorusso   
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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