Una madre abbandonata al suo tragico destino  

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La signora Giuseppina Ardito ha attraversato anni travagliati, tradita dalle stesse istituzioni responsabili di averle sottratto i suoi due figli

di Monica Montanaro

BASILICATA – La storia vissuta dalla signora Giuseppina Ardito lascia esterrefatti ed attoniti, per le vicende sofferte che l’hanno travolta, e per il trattamento crudele ed insensibile riservatogli da coloro che avrebbero dovuto tutelarla e proteggerla.

La signora Ardito, una donna alle soglie dei 40 anni, originaria della terra di Basilicata, dove attualmente risiede, dopo molte traversie vissute, si è stabilita nella cittadina di Calvello, insieme ai suoi genitori ormai anziani, che nonostante l’età continuano ad aiutarla e a sostenerla. La sua famiglia è numerosa, composta da 8 figli, oltre Giuseppina, dei quali soltanto uno, la sorella, vive nello stesso paese, gli altri fratelli si sono trasferiti nelle città del nord, in Emilia Romagna, in cerca di un avvenire migliore.

In passato, la signora Ardito, ha sempre svolto qualche attività lavorativa, impiegata per parecchi anni dal Comune di Calvello come operatrice ecologica, e in altri lavori cosiddetti socialmente utili, non si è mai tirata indietro di fronte alla possibilità di lavorare, pur di sostenere lei e suoi due figli, accettando anche le offerte di lavoro più pesanti. Attualmente è disoccupata, però è impegnata nella frequenza di in un corso di formazione di Oss (Operatrice socio sanitaria), per elevare il suo livello di istruzione ed ambire ad un lavoro più consono a lei, e in previsione vi è il sogno di aprire un attività commerciale nello stesso stabile in cui vive. Giunta in età adulta, Giuseppina ha incontrato quello che sarebbe diventato suo marito e dopo il matrimonio si è trasferita nella città natale del coniuge, Brindisi, dalla loro unione sono nati due figli, Emanuele e Luca rispettivamente di 10 e 8 anni. Purtroppo, dopo anni di serena vita coniugale, il marito della signora Ardito è venuto a mancare a causa di una grave malattia, e da allora sono iniziate le vere difficoltà per Giuseppina e il suo ristretto nucleo familiare, perché diventata più vulnerabile economicamente ed affettivamente. Rimasta sola, a parte la vicinanza della suocera, Giuseppina Ardito ha deciso di ritornare con i suoi figli nel suo paese natale Calvello nel 2015, un luogo per lei più familiare e sicuro, dove almeno avrebbe ricevuto l’aiuto e l’affetto dei suoi genitori, ignara di quello che sarebbe avvenuto proprio nella sua amata Basilicata, “a Calvello iniziò un vero calvario” ha dichiarato la signora. I bambini frequentavano entrambi la scuola, e come tutte le madri anche Giuseppina portava i suoi due figli al parco giochi per farli divertire in compagnia di altri  bambini. Un giorno ha condotto i suoi figli nel parco giochi del paese, e a sua insaputa sua sorella girò un video in cui comparivano i sui figli, con la finalità di farli visionare all’ufficio dei sevizi sociali di Calvello. La donna sostenne dinanzi agli assistenti sociali del Comune, che sua sorella Giuseppina lasciava incustoditi i suoi figli nel parco giochi, incurante delle conseguenze e dei pericoli per loro. Gli operatori sociali, dopo la segnalazione, si attivarono e provvedettero immediatamente ad informare il giudice competente di Potenza. Le persone ostili alla signora Ardito erano e sono numerose, difatti, oltre al colpo basso e meschino assestato da sua sorella e dal personale del servizi sociali, anche le maestre del suo figlio maggiore si sono scagliate contro la sorte della signora, e con l’espediente falso che l’alunno era svogliato negli studi, ed assumeva comportamenti aggressivi, le stesse maestre si sono recate presso l’ufficio dei servizi sociali di Calvello per far presente loro che la madre inculcava un’educazione errata, e non operava da buona madre. Dopo queste diverse segnalazioni, si è aperto un fascicolo sul caso della signora Ardito e famiglia, dando avvio ad un procedimento giudiziario contro di lei. Appresa la notizia del procedimento in corso che la riguardava, Giuseppina ha assunto la decisione di lasciare la Basilicata e nel luglio 2017 è rientrata nella città del suo defunto marito, Brindisi, alloggiando presso l’abitazione della suocera. In seguito si è trasferita con i suoi due figli in una casa abusiva, cercando con grossi sacrifici di sistemarla. Giuseppina credeva di ricominciare in un altro luogo, invece, si è aperta un’altra voragine che l’ha travolta. Anche a Brindisi la famiglia Ardito ha incontrato delle persone ostili, infatti, i  vicini di casa, una famiglia originaria del Montenegro, a causa di rappresaglie personali, hanno deciso di avvisare i servizi sociali di Brindisi riguardo la situazione della famiglia di Giuseppina. Dopo qualche giorno la signora riceve una visita a casa, a sua insaputa, da parte di due assistenti sociali e di un vigile urbano, i quali hanno eseguito una perquisizione per verificare che i bambini ricevessero le cure adeguate, e per accertare le condizioni di agibilità della abitazione improvvisata. Ma dalla perquisizione non è emerso nulla perche Giuseppina, in qual periodo lavorava come bracciante agricola, provvedendo al giusto sostentamento dei figli. Durante l’incontro, il personale dei servizi sociali le ha comunicato di provvedere entro 120 giorni ad abbandonare tale abitazione perche non idonea a far vivre dei bambini. Invece, dopo soli 5 giorni, mentre i due bambini andavano a scuola nel rione Perrino di Brindisi, la signora Giuseppina si è vista sottrarre i suoi due figli all’interno del plesso scolastico, ricevendo un trattamento brutale. Quando è andata a prelevare i suoi figli, il personale scolastico le ha sbarrato la porta impedendole di accedere nell’istituto e poter incontrare i suoi figli. L’avvocato della Ardito informata riguardo il suo caso, le riferisce che i suoi figli sono stati prelevati e collocati presso una struttura protetta di cui non è stato comunicato l ‘indirizzo della sede. La signora Giuseppina in merito a questo episodio riporta: “Un sequestro di minori senza avvisare una madre”, e sostiene che i suoi figli ricevevano un trattamento discriminatorio a scuola, e dalle maestre dei veri atti di aggressione, alcuni certificati da documentazione medica. Inoltre, ha esposto anche denuncia per maltrattamenti presso il comando di polizia contro le maestre, richiedendo anche che venissero impiantate delle telecamere per verificare tali episodi violenti a danno dei bambini della scuola.  Mentre il personale dei servizi sociali ha sostenuto che la madre picchiava i suoi figli, in quanto gli educatori hanno riscontrato sul corpo dei bambini diverse ecchimosi, ipotesi categoricamente rigettata da Giuseppina, la quale sostiene che non usava metodi punitivi violenti, al massimo qualche schiaffetto lieve.

Dopo tale episodio sconvolgente, la signora Ardito si è recata immediatamente a scuola per chiedere spiegazioni, ma nessuno le ha prestato attenzione né tanto meno ascolto. Appurato tale atteggiamento di chiusura e noncuranza nei suoi confronti, Giuseppina è scoppiata in uno scatto d’ira, causando disagi e danni alla struttura della scuola, dopodiché il personale didattico avverte la polizia locale, che prelevano la signora e avvia un procedura per sottoporla ad un’indagine di tipo psichiatrico, dal quale non si ha avuto alcun riscontro positivo, risultando in buon stato di salute psicologica. In preda alla rabbia e allo sconforto, la signora Ardito ha ricevuto, finalmente, nella stessa serata del giorno in cui si è verificato l’episodio della sottrazione dei suoi figli, una chiamata dal responsabile della comunità “La tegola blu” in cui risiedono i bambini, il quale l’ha rassicurata dicendole “che i suoi figli stanno  bene e che lei può stare tranquilla”, inoltre, la informa riguardo la motivazione alla base della decisione di sottrarle i suoi figli, in quanto gli assistenti sociali hanno riscontrato che la casa in cui vivevano era allagata, e quindi non adatta ad ospitare dei bambini, episodio smentito dalla signora. Dopo tale evento tragico, Giuseppina ha rivisto i suoi figli dopo un paio di settimane in tribunale dinanzi al giudice. Al termine dell’udienza il giudice ha emesso una sentenza positiva,  decidendo che la madre e i figli potevano convivere nella medesima struttura protetta, difatti, Giuseppina ha potuto rivedere i suoi figli dopo qualche altra settimana presso la comunità “Paragoghè” di San Pancrazio, andando a vivere all’interno di essa.

La famiglia riunita ha vissuto insieme nella comunità all’incirca un anno, la signora Ardito riguardo l’esperienza nella comunità ha riferito: “Ho vissuto una storia tragica, preferivo meglio il carcere che stare là dentro”. L’esperienza della comunità è stata molto dolorosa e travagliata, apportando ulteriore sofferenza a Giuseppina, perché all’interno della struttura era sottoposta a duri lavori, al punto da provocarsi una trauma alla gamba per l’eccesiva mole d lavoro. Anche i figli era maltrattati e non accuditi opportunamente, a causa di un’alimentazione carente, mancando gli alimenti di base fondamentali per una crescita sana di bambini in età evolutiva. Proprio lamentandosi della carenza dei generi alimentari, un giorno Giuseppina richiedendo del cibo più adatto ai suoi figli è stata accusata di atti di aggressione, in seguito a screzi verbali con il personale e le altre madri ospitate, da cui ne è scaturita la richiesta da parte del personale responsabile di una nuova  visita psichiatrica da sottoporle, anche in questo caso senza alcuno rilievo che potesse accertare delle anomalie nello stato di salute della signora. Durante la permanenza nella comunità Giuseppina ha scoperto, in seguito ad una brutta caduta del figlio maggiore, ed al ricovero d’urgenza presso l’ospedale, che Emanuele è interessato da una malattia rara, l’osteoporosi giovanile, e che necessita di cure periodiche. Dopo l’episodio increscioso, la signora Ardito è stata contattata dal suo legale, il quale le ha comunicato che non poteva rientrare in comunità dai suoi figli, e che gli stessi erano stati nuovamente trasferiti nella precedente comunità “La tegola blu”. Dunque, Giuseppina per diversi mesi non ha più incontrato i suoi figli, se non comunicando con loro soltanto telefonicamente due volte alla settimana per pochi minuti, “e mai possibile che una madre non può vedere e sentire i suoi figli?” – ha inveito Giuseppina -. Finalmente, a gennaio di quest’anno le è stato consentito di rivedere i suoi figli un’ora a settimana , sobbarcandosi un viaggio di sei ore, in merito la signora ha sostenuto: “Non fa niente, potevo anche fare un viaggio di venti ore per rivedere i miei figli”. Gli incontri sono durati fino al 2 marzo scorso, poiché, quando ha provato a contattare telefonicamente i suoi figli presso la struttura le è stato comunicato, che non poteva più recarsi in comunità per incontrare i suoi figli, per decisione espressa del giudice. La signora Ardito ha contestato tale decisione dicendo che non aveva ricevuto nessuna comunicazione né lei, né l’ufficio dei servizi sociali di Brindisi, né il suo legale, la signora sospetta pratiche poco chiare. Inoltre, Giuseppina è molto preoccupata per la salute del figlio Emanuele, in seguito ad una telefonata con il responsabile della comunità dove risiede il figlio, in quanto ha saputo che Emanuele non sta ricevendo più la cura necessaria da alcuni mesi.

La signora ha ricevuto un invito a presentarsi in tribunale in data di fine maggio, senza conoscere le motivazioni della convocazione e senza più essere assistita dal suo legale, il quale ha rimesso il mandato.

Alla domanda sul suo stato d’animo a causa della lontananza dai suoi figli, la signora Ardito ha risposto: “Mi sento male per non averli vicino, non coccolarli, non dargli un futuro migliore di quello che hanno adesso, perche li non escono mai”.

Inoltre, per dimostrare di essere una madre adeguata, e per realizzarsi come donna, Giuseppina ha dei programmi importanti per la sua vita, come quello di affittare il locale sottostante alla sua abitazione per adibirlo ad attività commerciale: bar, pizzeria o paninoteca, e ricavarne degli utili, contemporaneamente sta frequentando un corso di formazione Oss per assicurarsi uno sbocco lavorativo più sicuro, essendo una figura professionale molto richiesta.

Dunque Giuseppina non incontra i suoi figli dal 2 marzo scorso, e vorrebbe per questo sporgere una denuncia nei confronti di “tutti quelli che mi hanno fatto del male”, dagli assistenti sociali di Calvello, a sua sorella, alle comunità “La tegola blu” e “Paragoghè”, alla polizia di Brindisi, alle maestre delle scuole di Calvello e di Brindisi, agli assistenti sociali di Brindisi, contro i due legali che la assistevano, e i vicini del Montenegro, una lista di nemici corposa, perché a suo parere “non è modo di togliere due bambini ad una madre, che dopo la morte del marito le hanno sequestrato due minori senza averne colpa”.

L’auspicio di Giuseppina: “Mi auguro veramente con tutto il cuore che i bambini tornano dalla madre, ma non solo i miei, tutti gli altri bambini anche, e che tutte le persone che mi hanno fatto del male devono cercare di capire un pò il dolore che ha una madre avendo due figli piccoli lontani, di non crescerli, di tenerli lontano senza sentirli e senza vederli. spero che li abbraccio al più presto veramente”.

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