Lettera aperta alla Polizia di Stato. Appello di una ex agente della Polizia di Stato

Attualità & Cronaca

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Riceviamo e pubblichiamo

Gentile Redazione, mi chiamo Sara Alberti e sono una ex appartenente della Polizia di Stato, esclusa ingiustamente. Recentemente sono usciti molti articoli di giornale sulla mia situazione e quella, similare, di altri colleghi (Valeria Di Nardo, Claudio Benasio, Arianna Virgolino)

La questione è molto complessa e vorrei poterla spiegare, così da far emergere le assurdità da me subite.

Nel 2017, dopo circa 20 anni, veniva indetto un concorso per 1148 Allievi Agenti della Polizia di Stato, aperto (finalmente) anche ai civili. Come accennato, era molto atteso e le aspettative erano alte. Non era un semplice concorso pubblico per me. Consisteva nella possibilità di entrare in un Corpo al servizio del cittadino, volto al bene comune con il solo scopo di aiutare gli altri, ma anche la possibilità di arrivare al mio obiettivo: LA POLIZIA SCIENTIFICA.

Si, perché tutto ciò che ruota intorno alla Criminologia mi appassiona. Infatti, sono Laureata in Scienze per l’Investigazione e la Sicurezza, mi mancano due esami per la specialistica in Gestione dei Rischi Sociali e ho anche un Master in Criminologia forense e tecniche investigative avanzate. Come si può intuire, la Polizia Scientifica è il reparto che racchiude tutto questo mondo.

Vorrei specificare che non sono una di quelle persone che afferma di aver voluto fare il poliziotto sin da bambino, mentirei. Allo stesso tempo posso dire che la consapevolezza che quella sarebbe stata la mia strada è cresciuta, in modo lento ma intenso, insieme alla voglia di farcela. Ho studiato tanto e ho fatto molti sacrifici, come anche moltissimi dei mie ex colleghi (fa molto male utilizzare questa espressione) e per poco abbiamo creduto di avercela fatta.

La convocazione alle prove preselettive era fissata, per me, al 7 agosto 2017. In quel periodo lavoravo ed ero iscritta all’Università. Come si può ben capire, mi sono trovata a dover studiare per l’attesissimo concorso, a studiare per gli esami universitari e a lavorare 9 ore al giorno. I sacrifici sono stati tanti, studiavo la notte e la mattina andavo a lavorare, tornavo da lavoro e ricominciavo a studiare. Ma neanche una volta tutto questo mi è pesato, volevo e dovevo farcela e non importava se dormissi quasi nulla.

Ed ecco finalmente il primo risultato, avevo superato le prove preselettive, su circa 89mila partecipanti, con relativa convocazione per le prove fisiche. Anche queste non hanno richiesto minor impegno, rispetto alle prime. Andavo a correre prima o dopo il lavoro e studiavo per l’Università. Un periodo duro certamente, ma nulla mi avrebbe distratto dal mio obiettivo. E anche le prove fisiche sono state superate con successo. E’ da qui che inizia il tasto dolente e non è un modo di dire, purtroppo. Sono stata, così, convocata per gli accertamenti fisici e sono stata esclusa, non per problemi di salute incompatibili con il lavoro del Poliziotto, ma per un tatuaggio, se così si può chiamare. Affermo questo perché, ben consapevole dei requisiti di accesso previsti dal bando (ovvero l’impossibilità di avere tatuaggi nelle zone non coperte dall’uniforme, anche estiva) mi ero già sottoposta a ben 7 sedute di laser terapia per la rimozione del tatuaggio in questione. Solo a titolo esplicativo, un tatuaggio di ridotte dimensioni, fatto a 18 anni in memoria di mio Zio morto di tumore dopo solo due mesi a 50 anni appena compiuti, con la consapevolezza di non poter mai partecipare a un concorso per le forze armate, poiché vigeva il requisito dell’altezza (1,61 metri per le donne e io sono 1,58). Infatti, il tatuaggio raffigurava l’iniziale di mio zio dentro una stella e 2 stelline ai lati, tutto questo sul polso interno destro.

Questo era il tatuaggio prima delle dolorose e costosissime sedute Laser.

Ma come accennato, alle visite mediche mi sono presentata con il tatuaggio quasi completamente rimosso, tanto da avere la certificazione del chirurgo, il quale assicurava che sarebbero state necessarie solamente altre poche sedute, per la totale rimozione anche degli ultimi residui cicatriziali rimasti (il Tar, infatti, non ha definito il mio un tatuaggio, ma ESITI CICATRIZIALI). La commissione che mi ha visitato, però, non ha neanche voluto vedere le certificazioni di rimozione.

Così venivo esclusa per tatuaggio in zona non coperta dall’uniforme. La cosa assurda, a mio avviso, è che mi veniva consigliato di fare ricorso al Tar, con queste precise parole: tanto lo vincono tutti. Devo essere sincera, non avevo minimamente preso in considerazione l’idea di fare ricorso, anche perché cosa cambiava per l’Amministrazione? Comunque avevo un tatuaggio. Nonostante i miei dubbi, ho deciso di provarci, ho cercato un avvocato e ho presentato ricorso al Tar. Questo, con immensa gioia, mi ha permesso di continuare l’iter selettivo, con relativa convocazione per le prove finali. E il 17 ottobre, dopo tante sofferenze, finalmente il tanto atteso foglio di IDONEITA’. SAREI DIVENTATA UNA POLIZIOTTA. La gioia era incontenibile, non solo la mia, ma anche quella dei miei genitori che mi hanno sempre supportato e hanno sofferto con me in quel bruttissimo periodo.

Ora bisognava solamente attendere la chiamata ufficiale per la partenza. E il 31 ottobre 2018 si è avverato il mio sogno, l’8 novembre avrei iniziato il corso come Allievo Agente della Polizia di Stato presso la Scuola di Peschiera del Garda. Più di 500 km mi avrebbero diviso dalla mia famiglia, dalla mia casa, dai miei amici e dai miei affetti più cari, ma era quello che volevo, desideravo e speravo. Ce l’avevo fatta.

Il giorno della partenza è stato il più bello della mia vita, salutavo tutti per raggiungere il mio scopo. E da li è iniziato il corso, 8 mesi intensi e bellissimi. Giornate di studio e prove fisiche. In quel periodo ho deciso di mettere momentaneamente da parte l’Università, per concentrarmi totalmente sul corso (visti i numerosi esami da sostenere e relative abilitazioni, i quali prevedevano molto impegno nello studio e relative esercitazioni. Il tutto superato con successo), perdendo così un anno di studi, ma senza rimorsi. Ma per quanto il tutto fosse bellissimo, la nuova avventura, la camerata con altre 11 ragazze, il bagno alla turca, Peschiera del Garda che è una location d’incanto: c’era sempre il pensiero al ricorso. Ero in attesa di conoscerne l’esito finale, fissato per il 5 marzo. Con me anche altri compagni, eravamo parecchi i ricorsisti e ci facevamo forza a vicenda. Finalmente il 15 marzo, giorno del compleanno di mia madre oltretutto, la bellissima notizia: AVEVO VINTO, IL TAR MI AVEVA DATO RAGIONE. ERA FINITA E FINALMENTE ERO UFFICIALMENTE IN POLIZIA. Ingenuamente pensavo così, nessuno mi aveva accennato alla possibilità di ricevere appello dall’Amministrazione, anche perché sembra che non fosse mai successo, almeno così ci è sempre stato detto e ripetuto.

Poco dopo iniziarono ad arrivare notizie dalle altre scuole, gli appelli erano partiti, quindi sarebbe stata solo questione di tempo e sarebbero arrivati a tutti noi. Infatti, il 19 aprile arrivò la chiamata del mio avvocato: MI DISPIACE SARA, TI HANNO FATTO APPELLO. E, anche se me lo aspettavo ormai, mi è crollato il mondo addosso. Eravamo disperati e non facevamo che piangere e chiederci il perché di quell’accanimento. Il personale della scuola cercava di tranquillizzarci, dicendoci che era solo una prassi e che sarebbe andato tutto bene. Intanto continuava il corso e si avvicinava il giorno del Giuramento. Giorno tanto atteso ed emozionante, durante il quale ho gridato LO GIURO. GIURO DI ESSERE FEDELE ALLA REPUBBLICA. E io fedele lo sono stata, con tutto il cuore, ma il 2 luglio ho ricevuto l’ulteriore drammatica notizia dal mio Direttore: SARA MI DISPIACE, NON ANDRAI A REPARTO. Non so come fosse stato possibile, ma mi sono trovata a dover riconsegnare la mia pistola, le mie manette, il mio tesserino e la mia tanto sudata e amata divisa, mentre i miei colleghi festeggiavano e partivano per le loro destinazioni. Io questa gioia non l’ho mai provata, ma ho continuato a sperarci. Il 19 settembre era fissata l’udienza al Consiglio di Stato e ingenuamente speravo nella buona notizia, ma nulla. Una mia compagna di disavventure (così ci chiamiamo tutt’oggi) ad ottobre ha avuto l’attesa risposta: il Consiglio di Stato aveva accolto l’appello del Ministero. Era finita, non potevamo crederci. Io ho dovuto attendere fino al 27 gennaio per avere la stessa notizia, anche se ormai avevo capito.

Sono stati mesi durissimi, non potevo credere a cosa mi stava accadendo. Tutti i miei sacrifici e sogni gettati dalla finestra. Era un incubo. Nel frattempo, altri ragazzi ricevevano appelli e attendevano gli esiti, ma non per tutti la sorte, se così vogliamo chiamarla, è stata crudele. Alcuni ragazzi, infatti, vedevano rigettato l’appello del Ministero, potendo così continuare tranquillamente la loro vita in Polizia, altri non hanno mai ricevuto appello. Vorrei precisare che eravamo tutti nelle medesime condizioni, TATUAGGIO IN ZONA NON COPERTA DALL’UNIFORME. Eppure, noi eravamo stati cacciati e altri no. Non riuscivamo a capirne il motivo, e ancora oggi è così! Solo alcuni di noi costituiscono, evidentemente, un PROBLEMA per l’Amministrazione, altri no.

Eppure, questo era ed è il mio tatuaggio. Così grave da deturpare la divisa?

Da precisare che questa foto è stata scattata prima del Giuramento.

Perché non è stata fatta una rivalutazione del tatuaggio?

La legge afferma che con il Giuramento si è assunti a tutti gli effetti, allora perché non siamo stati rivisitati prima dell’assunzione effettiva?

Ci sono voluti più di 4000 euro per ottenere questo risultato.

Vorrei sottolineare che gli esiti cicatriziali potevano essere completamente coperti da un normalissimo orologio. Questa foto è stata presentata al Consiglio di Stato perché esiste una sentenza, dello stesso (Consiglio di Stato Sezione VI, Sentenza 4 aprile 1520/2007) la quale sancisce che l’orologio può coprire un tatuaggio. Nella mia sentenza, invece, è stato affermato che il tatuaggio non è parte integrante della divisa. Due sentenze totalmente contraddittorie.

La motivazione dataci, è che il tatuaggio non doveva esserci al momento delle visite. Allora mi chiedo: i miei pari corso che lo avevano, che sono stati esclusi come me e hanno fatto ricorso come me, perché per loro non valeva tale motivazione? Una disparità di trattamento che ancora oggi non trova giustificazione. Ma la legge non dovrebbe essere uguale PER TUTTI? Questa è una delle cose che fa più male. Per non parlare di tutti i Poliziotti che sono in giro per le strade, pieni di tatuaggi visibili non coperti dall’uniforme, ma per loro non c’è problema. Il PROBLEMA SIAMO NOI, che abbiamo anche provveduto a rimuoverlo il tatuaggio, per poter entrare. Ad oggi, ci troviamo con le spese sostenute per toglierlo, non avendolo neanche più, se non al massimo qualche piccolo segno di cicatrice (perché mi preme sottolineare che la terapia prevede una vera e proprio ustione) e ad essere comunque fuori. Perché? Nessuno lo sa.

Le abbiamo provate tutte, anche un’azione revocatoria in extremis, ma già abbiamo avuto qualche sentenza negativa a nostro sfavore e così sarà per tutti noi.

Tutto questo è ingiusto, fa male e fa male ogni giorno sentire nominare la Polizia al telegiornale o in qualche serie televisiva, fa male vedere le volanti in giro per strada. Un giorno mi sono trovata davanti un mio compagno di corso che era in servizio a Roma, città dove abito, ed è stata veramente dura, i pianti successivi sono stati molti. Lui era in servizio, in divisa e io? Perché invece a me non hanno permesso di continuare a svolgere il mio amato lavoro? Fa male pensare ai mesi passati in caserma o a reparto (per chi di noi ha avuto la fortuna di arrivarci) fa male vedere foto sui social, fa male sapere che quella vita non è più la nostra e per cosa? Per un tatuaggio, che oltretutto non abbiamo più, neanche fossimo dei criminali. Poi si sente dire che le forze dell’ordine sono sotto organico. Ragazzi come noi, che sono stati formati per 8 mesi più i mesi a reparto, a cui è stato dato tutto il materiale necessario (formare UN SOLO Agente costa circa 40 mila euro tra divise, pistola, manette, tesserino, corsi, istruttori, vitto e alloggio) sono stati mandati a casa così. Ci siamo messi anche a disposizione appena è scoppiata la pandemia, scrivendo alle varie Autorità, perché noi amiamo il nostro Paese e crediamo in quel LO GIURO che abbiamo gridato. Noi siamo pronti a servire il nostro Paese, ma evidentemente il nostro Paese non ci vuole, non ci merita. Il nostro tanto amato Paese, ci ha rovinato letteralmente la vita, stiamo sostenendo spese elevatissime (tra avvocati, ricorsi, rimozioni) a discapito di famiglie e figli, siamo senza un lavoro. A questo proposito vorrei sottolineare che ai colloqui la domanda è sempre la stessa: CHE COSA HAI COMBINATO PER FARTI CACCIARE DALLA POLIZIA? Ovviamente nessuno viene mandato via dalla Polizia di Stato e se accade solamente per motivi gravi. E invece mi trovo a 28 anni senza un lavoro, senza una stabilità o fiducia nel futuro. Mi sono licenziata da un lavoro certo (dopo aver effettuato 2 mesi di formazione lontano da casa, con uno stipendio molto più remunerativo rispetto a quello della Polizia, con la certezza di un prossimo contratto a tempo indeterminato) per entrare in Polizia e oggi di certezze non ce ne sono, anzi, c’è solo il nulla.

Oltre il danno anche la beffa di dover spiegare ogni giorno questa storia assurda, sentirsi dire: MA NON PUOI FARE NULLA? SE FOSSE SUCCESSO A ME AVREI FATTO DI TUTTO. E in quel momento vorresti urlare, perché abbiamo passato mesi e mesi a sentire innumerevoli avvocati, a scrivere ai sindacati, a chiamare il Ministero per capire, mesi a cercare qualcosa da poter fare, ancora prima che iniziassero gli appelli a tutti noi. Nessuno ci ha mai dato retta, la risposta sempre la stessa: il Consiglio di Stato è l’ultimo grado di giudizio, non è possibile ricorrere, non è possibile fare niente.

Allora cosa ci resta da fare? Noi non vorremmo mai attaccare la NOSTRA DIVISA, la NOSTRA FAMIGLIA (perché ancora la sentiamo tale). Non vorremmo mai trasmettere una cattiva immagine di questa famiglia, che ci ha inizialmente accolti e poi buttati via come spazzatura. Una famiglia che ci ha ferito tanto, troppo, ma che amiamo immensamente. Però allo stesso tempo tutto questo non può rimanere nascosto, la sofferenza di tanti ragazzi e delle loro famiglie, non può essere solo un Grido Sordo. Noi esistiamo e vogliamo GIUSTIZIA. Vogliamo una spiegazione, vogliamo che finalmente qualcuno ci risponda, anche perché per mesi abbiamo chiesto di poter almeno parlare con qualcuno e ci è sempre stato risposto che non era possibile. Per mesi abbiamo scritto a tutte le nostre Autorità e Alte Cariche, più e più volte e più e più persone e mai nessuno ci ha risposto. Da cittadino mi sento non considerata, non ascoltata, non tutelata e totalmente indifferente per lo Stato. Capisco ovviamente che il periodo è quello che è e ne sono addolorata, ma tutta questa storia è iniziata molto prima (parliamo del 2019), eppure ad oggi nessuno ci ha mai degnato di una risposta.

Questo è solamente il sunto di cosa ho vissuto dal 2017 e sto vivendo ancora oggi, ce ne sarebbero di cose da aggiungere, ma già così è abbastanza prolisso e pesante il discorso. Vorrei solamente che questa assurdità fosse conosciuta da tutti, uscisse dall’ombra e che finalmente qualcuno ci ascoltasse e vedesse.

Vorrei, inoltre, ringraziare per l’attenzione e per qualsiasi riscontro avrà questa storia. Rimango a disposizione per ulteriori chiarimenti.

Distinti Saluti

Sara Alberti

Via delle Resede, 7 Roma

 saraalberti1992@libero.it

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