18 giugno: LiberArti porta “Pasolini” ad Albisola con Laura Romano

Arte, Cultura & Società

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Nell’immagine di anteprima, la locandina con il programma dell’evento che si terrà sabato 18 giugno alle 10,30 in Albisola Superiore, nel quale, con il patrocinio della locale Amministrazione, in presenza dell’Assessore alla Cultura Simona Poggi e della Presidente Anna Maria Faldini, con presentazione di Sergio Giuliani (*) e letture di Donatella Francia, l’Associazione LiberArti presenta l’Artista Laura Romano (**).

L’Associazione altresì comunica di essere in attesa di definitiva conferma dell’esito della procedura necessaria alla donazione nell’occasione della tela “Il Pasolini pensiero” dell’Artista al Comune di Albisola Superiore.

Si riporta in calce il testo integrale dell’intervento critico appositamente curato dal Prof. Sergio Giuliani, ritratto nell’immagine di repertorio (g.c. da Cristina Mantisi) insieme all’attrice Donatella Francia.

Sergio Giuliani e Donatella Francia

(Fonte: la Segreteria dell’ Associazione Culturale Savonese LiberArti)

             Note:

(*) Sergio Giuliani, Presidente della Giuria Concorso Letterario Internazionale Premio Enrico Bonino, già docente di Materie Letterarie negli IIS, critico, saggista e studioso di Dante.

(**) Laura Romano, scultrice, pittrice e ceramista, – insegnante di ceramica modellata e pittrice, componente la Giuria del medesimo Concorso.


Testo integrale dell’intervento critico curato dal Prof. Sergio Giuliani.

Gli strumenti di comunicazione che Pier Paolo Pasolini ebbe e che adoprò da par suo hanno dell’incredibile e si stenta a credere che, nel breve percorso di 53 anni di vita, abbia potuto tener testa, e sempre con altissima qualità, a tanti interessi di sentimento e di ragione.

Fu, da subito, un ottimo e ingordo lettore, aiutato da un istinto preciso che lo portava a “saccheggiare” l’immensa libreria Zanichelli e a seguire con passione gli ottimi docenti all’Università di Bologna costruendo per sé e per chi lo ascoltava un filtro culturale ricco e  validissimo in cui, come in una sapiente arnia, sistemare i dati delle due istanze conoscitive fondamentali che lo ressero: la passione e l’ideologia, che danno il titolo ad una dei suoi più importanti saggi critici.

Fu poeta, all’inizio, innamorato delle suggestioni e delle verità del paesaggio friulano di cui colse le incantate bellezze e la dolente povertà, le cupe disperazioni della fame e la felicità un poco ubriaca delle sagre con i balli a palchetto. Sarebbe stato (e lo fu quando, con la guerra, si trovò ad organizzare di suo una scuoletta per rimediare all’impossibilità di raggiungere le sedi istituzionali) un ottimo insegnante a tutti i livelli. Ma così non volle la sua sfortuna biografica. Al Friuli dedicò un incantato, ricco volume di poesie dialettali (la “lingua” che riscattava i parlanti!) e il romanzo più vivo: “Il sogno di una cosa”.

Scaraventato dalle vicende familiari e personali nella Roma di borgata dove visse in miseria con la mamma, incapace di farsi valere nella letteratura e nel giornalismo di mercato, scrisse libri di poesia assolutamente fuori del consumo culturale allora di moda e si trovò a dibattere con altri, ma più con se stesso, il venir meno dei valori politici ed etici, pur restando disperatamente legato all’ideologia proletaria che ormai era diventata operatività politica pratica, spesso dimentica dei valori della Costituzione, alla lezione del Vangelo, come disseccata dall’ignorare i persistenti, drammatici bisogni dei veri seguaci di Cristo e il dovere del loro riscatto.

Fu giornalista coerente ed acceso su questi temi, attaccando decisamente un “liberalismo” che negava l’origine della parola che lo definiva e che diventava cieco affarismo e “progresso” consumista, non ostacolato neppure da una scuola che si adeguava a una industrializzazione usa e getta e dimenticava il suo dovere di arricchire i giovani non soltanto di spiccioli quotidiani, ma di mappe di viaggio per un futuro civile e non di rapina.

Fu cineasta. La scoperta della ripresa lo sbloccò dalle liti dei premi letterari, ma lo proiettò in polemiche ancora più violente ed astiose. I film in bianco e nero (Accattone; Uccellacci ed uccellini) sono oggi riconosciuti capolavori che sarebbe urgente rivedere e ridiscutere) e i bellissimi film in cui interpretò capolavori come “I racconti di Canterbury, il Decamerone e Le mille ed una notte) lo portarono in viaggi in tutto il mondo alla ricerca dei paesaggi in cui “girare” le scene che aveva concepito.

Un enorme consumo di se stesso, un’esaltazione anche dolorosa, una condanna all’ostilità, all’incomprensione ed alla “solitudine”, riscattata però da “vere” amicizie solidali e dal crescente consenso internazionale che non sofferse del provincialismo italico furono il diario dei suoi anni cocciuti, meravigliosamente creativi e disperati insieme.

In uno dei suoi ultimi “mantra” scrisse: “La gente mi vuole morto, e non lo sa!” Tragicamente vero! E anche questo anniversario passa e passerà senza che si abbia il coraggio di ristudiare la sua capacità di guardare ad occhi fermi la condizione umana e i grandi valori del passato, da San Paolo, a Gramsci, a de Foucauld.

Un libro e un film “Teorema”, sono esemplari e riassuntivi di tutta la dialettica di un artista e pensatore che, forse l’Italia non era e non è ancora in grado di conoscere perché non vuole che la cultura operi la propria funzione: far aprire gli occhi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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