Banche e Taiwan: così gli Usa premono sulla Cina

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[Dettaglio di una carta di Laura Canali]

Le notizie geopolitiche del 30 giugno, a partire dalle sanzioni statunitensi contro Pechino per costringere quest’ultima a collaborare sulla Corea del Nord.

NZIONI USA ALLA CINA

L’amministrazione Trump passa “all’offensiva” con Pechino per ottenere collaborazione sul dossier nordcoreano, la priorità di sicurezza nazionale del governo statunitense.

Il dipartimento del Tesoro – il fiore all’occhiello delle guerre d’intelligence finanziarie a stelle e strisce, già protagonista delle sanzioni all’Iran – ha designato la banca di Dandong (città al confine con la Corea del Nord), l’azienda Dalian Global Unity Shipping e due individui cinesi con l’accusa di riciclaggio di denaro e di aiutare il programma di armi di distruzione di massa di P’yongyang. Washington ha agito dopo aver segretamente inviato a Pechino una lista di entità e persone coinvolte, dandole trenta giorni per rispondere. In assenza di reazione cinese, l’amministrazione ha annunciato le sanzioni.

Non si tratta di misure estreme, ma di un chiaro messaggio volto a prefigurare alla Cina possibili sviluppi. Che hanno anche un risvolto militare. Non è un caso che proprio nelle stesse ore il dipartimento di Stato sbloccasse la vendita a Taiwan di armamenti per un valore totale di 1,4 miliardi di dollari. Si tratta del primo provvedimento di tale tipo sotto Trump, ma non è una novità: l’ultima fornitura di armi a Formosa risale al dicembre 2015.

Il Congresso condivide la mossa: la commissione Forze Armate del Senato ha permesso alla Marina Usa di effettuare visite nei porti di Taiwan e viceversa. Il provvedimento è in attesa del voto dell’intero Senato, ma segnala un’intenzione di invertire decisamente la rotta sui rapporti fra le due Cine.


DOHA CORTEGGIA WASHINGTON

In un discorso nella capitale Usa, il ministro degli Esteri del Qatar Mohammed bin Abdulrahman al-Thani ha reso evidente la faglia Trump-Tillerson che divide l’amministrazione statunitense. Non è un caso che il politico qatarino si sia sperticato in ringraziamenti per il segretario di Stato Usa e non abbia nemmeno menzionato il presidente: un saggio diplomatico punterebbe direttamente a corteggiare il leader della nazione che lo ospita, peraltro la più potente al mondo, non un suo sottoposto.

Trump ha infatti scelto di cavalcare la crisi del Golfo, lodando l’iniziativa saudita ed emiratina volta a isolare il Qatar, mentre Tillerson cerca di mediare e di sgonfiare la tensione. Rendendosi così portavoce di fatto dello Stato profondo Usa, soprattutto dei militari, che apprezzano l’aiuto bellico fornito da Doha sin dalla guerra in Libia del 2011 e temono per l’importante base aerea di al-Udeid. Peraltro, al-Thani ha ribadito che il suo paese non si piegherà alle draconiane richieste di Riyad e Abu Dhabi e ha chiarito quale sia la posta in gioco dei suoi legami con l’Iran: la condivisione dell’enorme giacimento di gas di South Pars.

In ogni caso, lo scontro Trump-Tillerson è profondo: il secondo viene sempre più dipinto come insofferente nei confronti del genero del primo, Jared Kushner, e dell’impossibilità di riempire gli enormi vuoti di personale soprattutto nel dipartimento di Stato. Il conflitto potrebbe portare a una rimozione dell’ex ceo di Exxon. O a un suo definitivo ridimensionamento.


GLI HACKER DI STATO DELL’AUSTRALIA

Canberra lancia la sua prima unità offensiva di cyberguerra con l’intento di espandere gli attacchi digitali contro i propri nemici. A colpire non è tanto che un paese dalle disponibilità tecnologiche e strategiche (via l’alleanza con gli Usa) come l’Australia si doti di tali strumenti, bensì il tono e la tempistica dell’annuncio. Benché fra gli esempi di avversari cibernetici venga citato lo Stato Islamico (che ha ispirato almeno un episodio terroristico sul suolo aussie), negli ultimi tempi si registra un aumento di tensione con la Cina, con reciproche accuse di spionaggio, anche digitale.


IL GIAPPONE SENZA MANODOPERA

L’economia nipponica ha fatto segnare un poco lusinghiero record, toccando il più alto tasso di offerte su richieste di lavoro dal 1974. La notizia fa il paio con l’avvicinamento di un altro traguardo preoccupante, ossia la quasi parità fra posti di lavoro fissi disponibili e richieste. L’invecchiamento della forza lavoro e le rigidissime regole sull’immigrazione stanno producendo una carenza di manodopera che Tokyo spera di surrogare con la robotica, ma nel breve periodo rischiano comunque di deprimere l’economia e innescare un meccanismo deflattivo.


ROSNEFT E IL PETROLIO CURDO

La compagnia petrolifera russa Rosneft sta trattando con il governo regionale del Kurdistan (Krg) iracheno lo sviluppo di giacimenti petroliferi in territori contesi fra i curdi e Baghdad, ossia vicino a Kirkuk e alla frontiera con la Siria. L’azienda si era già accordata con il governo di Erbil – solo una fra le sue recenti mosse mediorientali che comprendono accordi in Libia e cessione di quote al Qatar – ma non erano ancora emersi tali dettagli.

Il Krg terrà a settembre un referendum per l’indipendenza e manovre come queste dimostrano l’intenzione di trovare sponsor stranieri. Da parte russa, invece, chiaro l’intento di Mosca di guadagnare influenza in Iraq, dove rispetto alla Siria in cui sostiene Damasco, dispone di meno leve rispetto a Usa e Iran che conducono sul campo operazioni belliche importanti.

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