Apri il libro, è ora di vivere

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Leggere ci aiuta a disconnetterci dalla contemporaneità Ed è allora che si vive una vita migliore, forse proprio la nostra.

di Domenico Scarpa (da Il Sole 24 Ore del 31/12/2017)

Non è la perfezione a essere, oggi, imperdonabile, a differenza di quanto credette Cristina Campo. Veramente imperdonabile, oggi, sembra essere la passione ogni qualvolta si mostra in giro senza cautele né autodifese: la passione bambina, ingenua, intransigente, che andrà punita soprattutto se – surriscaldata da decimi di pazzia – riguarderà cose belle e difficili. Ciò che l’occhio del mondo trova inaccettabile è quel dislivello tra la complessità della cosa amata e la semplicità della voce che ne parla per gioia, in libertà, con un invito alla partecipazione rivolto a tutti e a ciascuno. Se poi quella viva gioia è anche gioia competente, di chi conosce ciò che ama e lo offre senza aspettarsi ricompensa né caricarci il peso dell’io, allora l’ostilità potrà toccare la vetta, manifestandosi con uno spicciativo elogio nel cui fondale serpeggeranno condiscendenza e ironia.

Nella letteratura che si sta facendo in Italia, Giuseppe Montesano è tra le persone più esposte a un trattamento del genere. Ascoltare Montesano che parla di uno scrittore, di un libro, di un artista è un’esperienza che non si dimentica, perché una volta fatta la si ricorda tutta intera. Montesano è alto, sottile, semplificato e come privo di sporgenze, tanto nel vestire (maglioni a parete liscia, occhiali filiformi) quanto nel fisico (capelli a spazzola, bocca piccola e divertita, perfetto ovale del viso con barba di qualche giorno a dargli ombra). A prima vista, in stato di quiete, appare come una persona calma, dalla voce pastosa e quasi assonnata, che comincia il suo discorso come una cantilena ipnotica (partenopea: il dettaglio è importante), ma che subito ti avvolge e prende al traino: e che nell’andare si sbilancia sempre più, sempre di più man mano che il discorso procede implicandosi nelle cose, fino a diventare un’orchestra che senza alzare il volume ti fa vedere molte cose simultaneamente, e che arriva a dire cose solenni e ultimative, facendole sembrare cose da niente, come se al culmine dicesse «Alzati e cammina» a Lazzaro, con un filo di voce. Funziona così anche il suo nuovo libro, che neanche a farlo apposta s’intitola Come diventare vivi. E Lazzaro, dunque, è o potrebbe essere ciascuno di noi, risucchiato dalla sua voce.

Giusto un anno fa, Montesano pubblicava con Giunti un libro intitolato Lettori selvaggi. Era un libro eccessivo in tutto: nel numero delle pagine (1919, importo in lettere: millenovecentodiciannove), nella lunghezza del sottotitolo, che però spiega («dai misteriosi artisti della Preistoria a Saffo a Beethoven a Borges la vita vera è altrove»), nella quantità degli scrittori, artisti, scienziati e musicisti presi in considerazione (attraversati a tamburo battente o menzionati di lampo), nella sua immane ondata di talento furioso (ma anche, e insieme, nel suo sbriciolamento), in ciò che esigeva dal lettore e in ciò che esigeva da sé medesimo. Oggi, un anno più tardi, questo nuovo libro è lungo dieci volte di meno e può stare nel palmo di una mano; il suo sottotitolo suona «Un vademecum per lettori selvaggi». È un piccolo manuale di diseducazione alla contemporaneità, all’attualità: «Ciò che è essenziale per le nostre vite non ha niente a che fare con l’attualità». Se il motto conclusivo di Lettori selvaggi era l’«only connect» di Shakespeare e di E.M. Forster, qui il motto compendiario potrebbe essere «only disconnect»: per tornare a leggere e dunque a vivere, a vivere molte vite altrui per viverne finalmente una che potrebbe essere la nostra: «Nel Rosso e il Nero moriamo con Julien, in Guerra e pace con Andrej e in Don Chisciotte con Alonso, e rinasciamo in un’altra forma: rinasciamo come noi stessi ma avendo dentro anche un pezzo di Andrej, di Julien, di Alonso, un pezzo che ci lega e ci connette agli altri, e che opera dentro di noi una metamorfosi. La lettura senza difese ci ha trasformato in qualcosa di nuovo, qualcosa di ricco e strano che nemmeno sospettavamo di poter essere».

Un elogio della lettura, quindi, come tanti e anche belli se ne leggono oggi? No, o non solo. Il punto vero, qui, è una passione pedagogica esigente e incauta, che – per ricorrere al gergo dell’attualità – si mostra sprotetta, senza antivirus né firewall, e che si fa ammirare per la frontale asocialità con la quale si dichiara alla società e le si consegna inerme: perché nel segnalare a tutti ciò che ami, tu segnali a chiunque il punto dove ti si potrà colpire. In Montesano questa semplificazione di nudità è deliberata, anche nelle bellissime versioni da Saffo, Catullo, Properzio o Baudelaire eseguite in proprio. È la scelta di una rozza sapienzialità quotidiana che non ha timore di farsi solenne, che combatte a mani nude e cervello sgombro. E il vero precedente di questo piccolo libro è l’invettiva contro i tiepidi nell’Apocalisse di Giovanni: contro coloro che non sono né caldi né freddi, e che il profeta è sul punto di vomitare dalla sua bocca.

Ci si può chiedere se questo libro sia capace di convincere soltanto i già convinti; ma ha dentro di sé una tale abbondanza di cuore e di saperi che è quasi fatale che ciascuno trovi perlomeno un nome, un titolo, un verso, una parola, una citazione sforbiciata dove impigliarsi. Invasato e mite, con la sua aria da bestseller minimale questo libro è un libro per pochi, anzi per singoli autonomi che possono fare un insieme senza sommarsi l’uno con l’altro: «La terra promessa dei lettori selvaggi non è nel culto del futuro, e nemmeno nel culto del passato: è sul ponte oscillante gettato tra il passato e il futuro». È un libro, dunque, attivo e non reattivo: perciò, l’unico suo elemento poco intonato è il ripetersi, lungo le pagine, di quella definizione: «lettore selvaggio», «lettori selvaggi». Non serviva, in realtà, indicare o auspicare una specie separata: bastava delineare una posizione, un comportamento. Un modo di essere, senza etichette. Bastava dire (ed è questo che, in verità, fa Montesano): «Fate così, e basta. Vedrete che si vive meglio, anzi, si vive per davvero».

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