“Nicole, la modella italiana 18enne che ha messo all’asta la sua verginità per pagarsi gli studi, getta brutalmente nelle nostre vite la domanda se la verginità abbia ancora un valore per il nostro tempo. La sua verginità è stata quotata un milione di euro: per noi quanto vale? Nella società sacrale la verginità era un valore assoluto: chi non era vergine non poteva sposarsi, diventare prete o suora” (Don Mauro Leonardi sul quotidiano Metro del 17 gennaio).
Beh, ci sarebbe subito da osservare che se la verginità di Nicole è stata messa all’asta, significa che un valore ce l’ha, ché non si mettono all’asta cose di nessun valore. Sicuramente la verginità di Nicole ha un bel valore per chi la compra a caro prezzo, e se Nicole, rinunciando alla sua verginità fa un sacrificio, significa che un certo valore lo ha anche per lei.
Freud nel suo noto libro “La vita sessuale” scriveva: “Poche singolarità della vita sessuale dei popoli primitivi sono così sorprendenti per il nostro modo di sentire come la valutazione che essi fanno dell’illibatezza femminile. A noi l’alto valore che il corteggiatore ripone nella verginità della donna sembra così naturale e ovvio, che quasi ci troviamo imbarazzati se dobbiamo spiegare il perché del nostro giudizio. La pretesa moderna che la ragazza non porti nel matrimonio con un uomo alcun ricordo di relazioni sessuali con un altro, non è, a ben vedere altro che la continuazione logica del diritto all’esclusivo possesso di una donna, che forma l’essenza della monogamia, l’estensione di questo monopolio sul passato della donna”.
Ma non voglio addentrami in discorsi complicati. Nicole mi ha fatto tornare alla mente una vecchia canzone che cantava mia madre. Ve la ricordate? Sembra che il paroliere Bixio Cherubini l’avesse scritta mentre era sotto le armi durante la Prima guerra mondiale. La ragazza del “Ciondolo d’oro”, così s’intitola la canzone, non doveva pagarsi gli studi, manco sapeva che cosa fossero gli studi, poverina, vestita di stracci, “sparuta e tremante pel crudo rigore”, guardava incantata “i gioielli in un gran magazzin”. E mai avrebbe pensato a barattare la sua verginità con un ciondolo d’oro, se non si fosse avvicinato un furbo, ricco signore per dirle: “Un ciondolo d’oro è pronto piccina per te qual giusto compenso di un’ora d’amore, d’amore per me”. Come dire di no al ricco signore? “Due passi affrettati, l’entrée d’un villino, un gaio stanzino… “. E dopo un’ora d’amore, d’amore qual giusto compenso per lui, lei esce “col ciondol donato, lo sguardo offuscato, sul viso il rossor”. Farà così anche Nicole dopo aver concluso l’affare? Speriamo di no. La ragazza della canzone scoppia in un pianto e getta il bel ciondolo: “Vil ciondolo d’oro, perché m’illudesti così, per te ho dato tutto, perduto ho l’onore, per te dissi a un vile di sì”. Butterà il vile denaro Nicole? Ma no, ma no, ci mancherebbe altro.
“Il ciondolo d’oro”. Canzone strappalacrime scritta da un uomo. In fondo sono sempre stati gli uomini a tessere l’elogio della verginità, a dare grande importanza alla verginità e, ad un tempo, a non farsi scrupoli nel farla perdere la verginità, come fa il “furbo galante” della canzone. Oggi le cose sono cambiate e forse è meglio che siano cambiate: sicuramente minori sofferenze, angosce, patemi d’animo per le donne.
Dopo qualche giorno Nicole ha dichiarato che si trattava solo di uno scherzo. Ed io, non so perché, lo avevo immaginato.