Caccia al candidato premier di Forza Italia

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Ancora problematica risulta la scelta del presidente del consiglio ad opera di Forza Italia. Berlusconi avrebbe designato, ai microfoni di Rtl 102.5, Antonio Trajani, attuale presidente del Parlamento europeo: “avere Trajani sarebbe una bellissima scelta, molto stimata a livello europeo, anche se sarebbe una perdita per l’Italia a livello europeo”. Sebbene ci siano “altre due possibilità in campo”, il premier continua a non avere un candidato certo e riconoscibile.

Se con Salvini l’intesa sia ormai un fatto accertato e ormai storico, quella con Giorgia Meloni, non è così scontata. Continuano infatti gli attriti dovuti alla loro diversa visione della politica; l’ultima sui dazi imposti da Donald Trump: se Berlusconi sostiene che “il protezionismo non è cosa positiva neanche per gli Stati Uniti”, la leader di Fratelli d’Italia spalleggia il presidente americano poiché difensore dell’industria americana e dei posti di lavoro.

Il piano che comprende Trajani non è accolto dalla Meloni che precisa che egli è il candidato di Forza Italia e non del suo partito poiché “sto facendo la campagna per poter arrivare io ad essere presidente del Consiglio dei ministri. Gli italiani sceglieranno la proposta che più li convince”.

Dunque l’alleanza Fratelli d’Italia-Forza Italia-Lega Nord-Quarto Polo, sugellata ad Arcore, si sostanzia come debole in partenza, dovuta ad una diversa visione programmatica e strutturale. Se il partito fondato da Berlusconi si pone come linea guida grazie anche alla sua pluridecennale esperienza nei ruoli di potere, tuttavia la personalità agitatoria dei suoi alleati, quali Meloni e Salvini, contrasta con la moderata linea programmatica del premier. In particolare la prima, seppur goda di un 5% ai sondaggi pre-elettorali attestandosi sopra alla soglia di sbarramento, aspira con forza a divenire la candidata premier della coalizione di centrodestra.

La grande alleanza sta peccando di un fondamentale fattore: la riconoscibilità del leader con gli elettori. Durante la competizione politica è cruciale per il cittadino avere stima e fiducia in una guida partitica, indipendentemente dal programma ideologico. Berlusconi infatti ha ben goduto di questo elemento durante le elezioni politiche del 1994, quando l’Italia tutta si è trovata orfana delle tradizionali rappresentanze dopo lo scandalo Tangentopoli e la successiva inchiesta Mani Pulite. Egli si era presentato come il salvatore del Paese, colui che è sceso in campo per risanare l’Italia. Un messaggio rivelatosi vincente.

Tuttavia, essendo il Cavaliere incandidabile a causa di una condanna per frode fiscale per il processo Mediaset, egli non può ambire a divenire premier e deve trovare qualcuno che possa rappresentare adeguatamente il partito e la sua linea di comando carismatica, un degno sostituto (anche se spera nella pronuncia della Corte di Strasburgo prima delle elezioni).

Questa problematica rischia di essere un fattore di debolezza nel voto poiché perderebbe una larga parte di elettorato che basa la propria votazione sul riconoscimento nel leader. Se la coalizione del centrodestra dovesse vincere, successivamente all’insediamento, potrebbe avere una caduta dell’indice di gradimento poiché manca l’elemento di identificazione con il premier designato.

In un momento storico in cui la politica è immagine, carisma, ars oratoria, e non ideologie o idee, questo fattore non può essere trascurato specie da un attore fondamentale della scena italiana che ha reso questo elemento un pilastro della sua tecnica elettorale.

Sara Carullo

 

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