Fenestrelle

Attualità & Cronaca

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La pagina più nera della storia d’Italia é ancora coperta dal segreto militare a distanza di 137 anni dalla guerra d’insurrezione (1860-1880) combattuta dai popoli borbonici contro l’invasore ed occupante italiano : 5.212 condanne a morte nel Meridione, 500.000 persone arrestate e deportate, molte delle quali internate nei lager italiani di Fenestrelle e San Maurizio, a duemila metri d’altezza, in Piemonte, i cadaveri sciolti nella calce viva; 62 paesi rasi al suolo e popolazione sterminata, persecuzione della Chiesa cattolica, fucilazioni di massa, stupri.

Istituzione della legge marziale in 1500 comuni del Sud, varo della legge Pica che unica nella storia autorizza per legge la rappresaglia collettiva contro paesi e loro abitanti, uso della ghigliottina per le condanne a morte e del seppellimento di vivi.

Una storia censurata per salvare la malaunità d’Italia, ma da alcuni anni ricercatori instancabili della verità fanno conoscere vicende sepolte attraverso documenti ufficiali inequivocabili. E’ venuta fuori un’altra storia, un crimine italiano inaudito, sorprendente: la prima pulizia etnica dell’età moderna.

Lo Stato Maggiore dell’Esercito italiano conserva 150.000 fascicoli, ognuno di essi racconta nei dettagli un eccidio e la verità sull’insurrezione meridionale contro gli italiani all’indomani dell’unità d’Italia, quel periodo capziosamente definito “brigantaggio” dal regime italiano d’occupazione.

Il Risorgimento è una fake di propaganda del regime massonico lobbista e mafioso italiano, farcito di retorica, di falsi eroi e padri della patria appartenenti alla più lurida specie di criminali. Un Risorgimento fatto di lutti, sangue, fango, dolore, crudeltà, ferocia e tante menzogne. Una rivolta di soldati sbandati, di contadini, partigiani ante litteram, movimento di liberazione contro l’invasore e fedeli al legittimo governo borbonico.

Nei 1860, alla caduta del regno borbonico, il Meridione fu annesso al Piemonte con le armi e plebisciti fasulli ed era in condizioni di grande sviluppo economico e progresso industriale riconosciuto nel mondo, non vi era emigrazione. Il nuovo governo d’occupazione nel 1861 era l’espressione della borghesia piemontese – lombarda, la Destra storica. Le strutture economiche e sociali rimasero immutate fino al 1875, quando con la sconfitta dell’insurrezione i meridionali si posero di fronte alla difficile scelta di essere “briganti o emigranti” ed iniziò l’emigrazione di decine di milioni di essi per i decenni futuri. I “briganti” goderono dell’incondizionata simpatia delle masse rurali che li identificarono come veri eroi, paladini di giustizia contro i soprusi delle autoritarie imposizioni del nuovo padrone: il Regno d’Italia.

Fin dai primi mesi del 1860 l’insurrezione popolare ebbe dimensioni dilaganti e costrinse gli italiani a portare il numero dei soldati nel Sud dagli iniziali 22.000 a 50.000 nei 1861, aumentati a 105.000 l’anno successivo fino ai 120.000 nel l863. La lotta armata dei meridionali contro le truppe italiane in cinque anni fece un’ecatombe di vittime, più dei caduti delle guerre d’indipendenza.

Si calcola che fra il 1861 e il 1865 furono uccisi in combattimento, o passati per le armi, 5.212 briganti e che ne furono arrestati 5.044. Occorsero misure severissime e contestate internazionalmente per stroncare definitivamente l’insurrezione, come la legge Pica: fu proclamato lo stato d’assedio in 1.500 comuni, con rastrellamenti di renitenti alla leva, di sospetti, di evasi ed oppositori al regime. Le rappresaglie furono atroci e sanguinose da entrambe le parti, con uccisioni di bambini, donne, preti, crocifissioni, arsi vivi, seppellimenti di vivi ed atti di cannibalismo in spregio al nemico.

A distanza di 130-150 anni, anche se abituati ad immagini forti, ancora suscita orrore e raccapriccio la famosa foto del bersagliere che mostra come trofeo la testa mozzata di un meridionale o quella di un soldato italiano che tortura e umilia un prigioniero, quella di Angelina Romano fucilata a 9 anni dai bersaglieri, quella del corpo nudo e seviziato della giovane Michelina De Cesare.

Spesso le popolazioni civili subirono dure rappresaglie dai bersaglieri e carabinieri, con la distruzione di interi villaggi, fucilazioni sommarie di centinaia di contadini ritenuti a torto fiancheggiatori degli insorti. La verità storica così aberrante è emersa, denunciando la criminale censura del regime italiano sui propri crimini contro l’umanità.

Solo da qualche tempo che si conosce, sia pure per sommi capi, la triste sorte di molte centinaia di migliaia di meridionali rinchiusi negli oltre 40 lager del nord Italia dopo l’invasione ed occupazione delle Due Sicilie da parte degli italiani. Tanti sono morti di stenti, privazioni, maltrattamenti, esecuzioni sommarie, fame e malattie nei lager dei Savoia che, sicuramente, assai poco diversi erano da quelli degli aguzzini nazisti 80 anni dopo.

La storiografia di regime, scorretta e falsa, si è impegnata fino ad oggi a tenere nascosta la Verità scomoda.
La caduta del Governo borbonico si ebbe per la conquista dell’apparato centrale delle forze armate e di polizia borbonica da parte della criminalità locale, organizzata in un vero esercito dal ministro borbonico degli interni, il liberale e filo savoiardo Liborio Romano. Cavour e Savoia ordinarono a Liborio Romano di organizzare la malavita, in Sicilia originò la mafia (1860), a Napoli la camorra (1861) ed in Calabria la ‘ndrangheta (1863).

Loro compito era di controllare la popolazione i commissariati di polizia e delle forze armate per consentire il libero e tranquillo passaggio a Garibaldi e così che avvenne. Napoli ed il Regno per più di un anno dopo l’Unità furono in balia dell’anarchia governata dalla criminalità organizzata che poi il Cavour, Cialdini e Liborio Romano inserirono nelle istituzioni più importanti.

Il regime italiano dovette affrontare il problema dell’ingente massa di militari napoletani in balia dell’esercito italiano e Guardia Nazionale, dei renitenti alla leva obbligatoria, degli oppositori al regime italiano, dei fiancheggiatori degli insorti.

Il governo sabaudo si trovò innanzi al pericolo imminente di una rivoluzione popolare devastante (tutto il Meridione era infatti infiammato dalla rivolta anti-savoia) ed in un primo momento si limitò a rinchiudere tali prigionieri nelle malsane e insufficienti carceri del Sud. Subito dopo, intuendo la pericolosità della situazione, escogitò un “piano di evacuazione” trasferendo specialmente via mare, gli ex soldati borbonici al nord, lontano dai focolai di rivolta.

Iniziò così, una vera deportazione con navi fittate dalla Francia, con marce estenuanti e mortali di molte migliaia di deportati incatenati dai porti di Ravenna e Genova verso Milano, Torino e le Alpi ed furono oggetto di scherno e sputi da parte delle popolazioni dei centri che attraversavano. Molti soldati borbonici per sfuggire alle sevizie dei soldati italiani si gettarono incatenati dalle navi al largo delle coste ravennate per affogare.

Il porto d’arrivo dei bastimenti carichi di prigionieri era soprattutto Genova; da qui venivano subito smistati con estenuanti marce verso le destinazione, principali erano: Finestrelle, piccola località ad un centinaio di chilometri da Torino, dove esisteva un’imponente fortezza, a San Maurizio Canavese, alle porte di Torino, e poi Alessandria, Milano, Bergamo e Genova.

Migliaia di altri meridionali furono confinati in varie isole: Gorgonia, Elba, Giglio, Capraia, Ponza e Sardegna a lavorare nelle miniere di carbone e persino di oro sulle Alpi al confine svizzero.

Nei campi dì raccolta e nelle prigioni, che accoglievano molte più persone di quanto potessero, le condizioni igienico-sanitarie erano disastrose. Riferendosi a tale situazione, vi è una testimonianza del giornale dell’epoca “Civiltà cattolica” che così scriveva in quei giorni:

“Si arrestano da Cialdini soldati napoletani in grande quantità, si stipano nei bastimenti peggio che non si farebbe con gli animali e poi si mandano a Genova. Trovandomi testè in quella Città, ho dovuto assistere ad uno di que’ spettacoli che lacerano l’anima. Ho visto giungere bastimenti carichi di quegli infelici, laceri, affamati, piangenti e, sbarcati, vennero distesi sulla pubblica strada come cosa da mercato. Alcune centinaia ne furono mandati e chiusi nelle carceri di Finestrelle; un ottomila di questi vennero concentrati nel campo di S. Maurizio. Trattati come animali, ammassati nei bastimenti, tenuti senza cibo e acqua per giorni, vennero sbattuti in terre sconosciute fredde, in campi di concentramento inospitali”.
Molti non riuscivano a sopportare la disperazione e il disagio e così decidevano di mettere fine alla loro grama esistenza ricorrendo al suicidio.

Un altro giornale dell’epoca, “L’armonia”, così scriveva: “La maggior parte dei poveri reclusi sono ignudi e cenciosi, pieni di pidocchi, sulla paglia… Quel poco di pane nerissimo che si dà per cibo, per una piccola scusa si leva e se qualcheduno parla é legato per mani e piedi per più giorni. Vari infelici sono stati attaccati dai piedi e sospesi in aria col capo sotto ed uno si fece morire in questa barbara maniera soffocato dal sangue; e molti altri non si trovano più né vivi né morti. E’ una barbarie, signori”.

E come questa, di crude testimonianze su ciò che accadeva nelle prigioni del Regno d’Italia, in quel drammatico decennio (1860-1870) se ne possono riportare tantissime.

In tal modo i governanti italiani speravano di aver risolto definitivamente il problema; avevano infatti allontanato dai focolai della rivolta migliaia e migliaia di persone, tenendoli distanti dai briganti che stavano infiammando con la loro sollevazione armata tutta la parte meridionale della Penisola. Ma la situazione per gli italiani non era affatto semplice: ben presto i prigionieri ammassati nelle prigioni del nord erano diventati un numero così ingente da rendere impossibile il mantenimento dell’ordine pubblico. Un po’ dappertutto, nelle prigioni scoppiavano rivolte, sommosse, tentativi di fuga che a stento venivano represse dalle poche truppe preposte alla sorveglianza, poiché buona parte degli effettivi dell’esercito sabaudo si trovava dislocata nell’Italia meridionale nel tentativo di soffocare la rivolta brigantesca che si faceva sempre più audace.
Fu allora che il governo sabaudo tentò una sorta di “soluzione finale”.

Nel tentativo di sgombrare le prigioni del Regno da quella massa pericolosa di ex soldati borbonici, renitenti alla leva, nostalgici dei borbone, prigionieri politici, briganti o pseudo tali, si pensò bene di “sistemarli” in un posto dove non avrebbero dato più fastidio.

E a questo punto, come spesso accade nelle vicende storiche italiane, la situazione assume caratteri tragi-comici.
Il progetto era quello di riuscire ad ottenere dal governo portoghese la concessione di un’isola disabitata nel bel mezzo dell’Oceano Atlantico dove “depositare” i prigionieri meridionali togliendoseli, cosi, definitivamente di torno.

Per fortuna, però, i portoghesi opposero un netto rifiuto e l’infame disegno non poté andare in porto. Ma i governanti italiani non si arresero, fermamente intenzionati a procedere con la “soluzione finale”, malgrado la disapprovazione che si levava sempre più alta in tutta Europa. E così, nel 1868, dopo altri analoghi tentativi tutti infruttuosi, il primo ministro Menabrea affidò ai suoi funzionari il compito di contattare la Repubblica Argentina. Era stata persino individuata la regione nella quale sarebbe dovuto sorgere lo stabilimento penale: la Patagonia, una terra desertica e inospitale che si prestava meravigliosamente alla bisogna. Ma anche il governo argentino decise di respingere la singolare richiesta italiana. L’Italia provò con l’Australia chiedendo di impiantare sul suo deserto un lager per la “soluzione finale” dei napoletani, ma ottenne un netto rifiuto. Inviò in estremo oriente una nave da guerra alla ricerca di un isola abbandonata, ma non la trovò anche per l’ostilità delle nazioni dell’area e soprattutto dell’Inghilterra e dell’Olanda. L’Italia effettuò un ultimo tentativo con l’Etiopia, chiedendo in fitto un area sulla costa, ma l’Inghilterra temendo un piano di espansione italiano nella strategica area oppose un rifiuto.

L’Italia, quindi inventò sul suo suolo le carceri private, fittò edifici e case private per rinchiudervi i prigionieri napoletani e dare la custodia a guardie private o ai proprietari.

E così, nonostante gli sforzi, la questione rimase irrisolta e le migliaia di prigionieri rimasero stipati nelle luride carceri italiane in condizioni disumane.

In quei luoghi, veri e propri lager ante litteram, oltre 40.000 persone furono fatte deliberatamente morire per fame, stenti, maltrattamenti e malattie. Erano stretti insieme in celle affollate senza pagliericci, senza coperte, senza luce, in posti dove la temperatura era quasi sempre sotto lo zero e dovevano fare i bisogni corporali in un bidoncino innanzi agli altri sventurati ed i contenitori delle feci venivano svuotati per punizione dopo molto tempo.

Dalle celle furono smontati i vetri e gli infissi dell’unica piccola finestra posta vicino al soffitto per rieducare con il freddo i segregati. Pochissimi riuscirono a sopravvivere. I corpi (non erano ancora in uso i forni crematori) venivano disciolti nella calce viva contenuta in una grande vasca tutt’ora esistente. Una morte senza onore, senza tombe, senza lapidi e senza ricordo affinché non restassero tracce dei misfatti compiuti.

Ancora oggi, entrando nella fortezza di Finestrelle, su un muro è ancora visibile l’iscrizione “Ognuno vale non in quanto è ma in quanto produce” (ricorda molto la scritta dei lager nazisti).
Ecco delineata per sommi capi una triste vicenda che per tanto, troppo tempo, è stata completamente rimossa dalla storiografia di regime al fine di non scalfire l’immagine dell’epopea risorgimentale dell’unità d’Italia, che alla base non ha nulla di priottico e liberatorio, ma solo un atto criminale di una guerra mai dichiarata per conquistare uno stato sovrano da 1200 anni e razziare le sue immense ricchezze.

Varie nazioni al mondo hanno fatto autocritica riconoscendo i torti inflitti e chiedendo perdono, ma il solo regime italiano continua nell’ottusa e cinica censura dei fatti storici ignorandoli. La vera forza di una democrazia si misura anche nella capacità di non negare la verità storica, insabbiando eventi che sono imbarazzanti.

Cercando su Internet la voce “Finestrelle”, si può trovare l’itinerario turistico di quella località, senza nessuna menzione al passato. Ma sul sito www.duesicilie.org/caduti è possibile ritrovare i nomi, con data di nascita e provenienza di alcuni martiri di Finestrelle, nel periodo compreso tra il 1860 e il 1865. Erano poco più che ragazzi: il più giovane aveva 22 anni, il più vecchio 32.
L’efficacia della pulizia etnica ed identitaria storico-culturale dei popoli delle Due Sicilie ad opera dei Savoia, è stata così efficace, violenta e cinica che il Sud è stata la parte della Penisola italica dove l’8 settembre 1943, i codardi Savoia trovarono rifugio e protezione.

Il Sud fornì nel referendum istituzionale del 1946 un massiccio numero di voti a favore della casa Savoia. Fenomeni che si giustificano solo col fatto che i meridionali erano certamente ignari, stavolta senza colpa, dei misfatti subiti dai loro avi e territori da una criminale stirpe regale.

Grazie ad internet ed ai social i meridionali emigrati e non, stanno conoscendo ogni giorno sempre più i gravi torti subiti dal 1860 dallo stato canaglia italiano, che seppe superare i nazisti nell’opera di sterminio, saccheggio e pulizia etnica e storico-culturale.

Ferite, che nonostante la censura e disinformazione italiana, ritornano a sanguinare ancor più copiosamente e solo la riconquista della legittima indipendenza delle Due Sicilie potrà sanare, ponendo fine all’odio, che i popoli napolitani e siciliani nutrono ancora oggi verso lo stato canaglia d’occuipazione.

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