Il golpe sotto mentite spoglie in Zimbabwe

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The head of Zimbabwe Central Intelligence Organisation (CIO) Happyton Bonyongwe (L) with Constantine Chiwenga, the commander of the Zimbabwean Army (C) are pictured with President Robert Mugabe at Harare Airport, on July 03, 2008. Robert Mugabe said he is only open to negotiations on an end to Zimbabwe's political crisis if he is accepted as the country's president. On July 03, the United States pushed for a UN travel ban and an assets freeze on Mugabe and 13 of his cronies in protest at the presidential runoff vote. AFP PHOTO / ALEXANDER JOE (Photo credit should read ALEXANDER JOE/AFP/Getty Images)

Il presidente dello Zimbabwe Mugabe (a destra) con il generale Chiwenga (al centro). Foto di ALEXANDER JOE/AFP/Getty Images.

L’esercito dello Zimbabwe sta conducendo in queste ore una vasta operazione per assumere il controllo del paese africano. Mezzi blindati sono entrati nella capitale Harare, l’emittente televisiva nazionale è stata messa sotto tutela e il presidente Robert Mugabe, la moglie Grace e tre ministri sono custoditi dai militari. Il presidente del Sudafrica Jacob Zuma ha dichiarato di aver parlato con Mugabe, che al momento è confinato in casa e sta bene.

L’esercito ha provato a rassicurare cittadini e comunità internazionale che non si tratta di un golpe, ma di manovre volte a proteggere il capo di Stato “dai criminali che lo circondano”. Non è però un caso che questa operazione sia scattata all’indomani di un commento del più alto militare del paese, il generale Constantino Chiwenga, che minacciava un intervento delle Forze armate per risolvere le dispute interne al partito di governo, lo Zanu-Pf.

Di recente, Mugabe aveva rimosso dalla vicepresidenza Emmerson Mnangagwa, il quale si era autoesiliato in Sudafrica citando minacce alla propria vita e stamattina è tornato sul suolo nazionale atterrando alla base aerea di Manyame. A riprova del supporto che riceve dai militari e da Pretoria. A proposito di sostegni internazionali, Chiwenga la scorsa settimana si era recato in Cina per una visita descritta da Pechino come un “normale scambio militare”, ma è difficile che non sia stato sondato il parere della Repubblica Popolare, cruciale partner di un paese sottoposto alle sanzioni occidentali – Harare è fra le prime tre destinazioni in Africa degli investimenti cinesi.

Commenta Antonella Napoli:

Un golpe che non è un golpe, né un colpo di scena inatteso, ma un atto dovuto per garantire una transizione senza spargimenti di sangue. Si può sintetizzare così quanto stia avvenendo in queste ore in Zimbabwe.
I segnali di quanto stava per accadere erano inequivocabili. L’establishment militare la scorsa settimana aveva avvertito il 93enne Mugabe, il più longevo dei capi di Stato in carica, affinché desistesse dal voler imporre quale suo successore in vista delle elezioni del 2018 la moglie Grace, più giovane di lui di 41 anni.
I generali, ma anche gli esponenti di spicco dello Zanu-Pf vicini al presidente, non avevano gradito la defenestrazione del suo storico braccio destro, Emmerson Mnangagwa, che da oltre 40 anni gli era accanto sostenendone l’azione politica e guadagnandosi una naturale candidatura alla successione. Il capo delle Forze armate, Constantino Chiwenga, aveva chiesto in modo esplicito di “fermare l’epurazione” tra i contendenti politici e aveva annunciato che “per proteggere la nostra rivoluzione”, l’esercito non avrebbe esitato a intervenire. Nei confronti di Mnangagwa era stata sollevata una pretestuosa accusa di “slealtà” finalizzata a favorire l’ascesa dell’ambiziosa consorte di Mugabe. Ma l’ex vicepresidente, fuggito nel frattempo in Sudafrica prima di essere incriminato o “eliminato” in modo più cruento, non era disposto a farsi da parte e aveva annunciato di essere pronto a candidarsi alle presidenziali del 2018.
La destituzione di Mugabe sarebbe stata decisa dopo il via libera dei cinesi, fra i principali partner economico-commerciali dello Zimbabwe che casualmente la settimana scorsa avevano ricevuto la visita del capo dell’esercito.
Mnangagwa, che si è formato militarmente ed ideologicamente anche nella Cina degli anni Sessanta, potrebbe riunire intorno a sé la frammentata opposizione e avere il supporto di una parte rilevante della comunità internazionale, in primis statunitensi e britannici. Già colonia britannica con il nome di Rhodesia Meridionale, il paese è da tempo terreno di conquista. Per gli Usa e per Pechino, la quale in un primo momento sembrava disposta a sostenere lady Mugabe. Ora tutto torna in discussione.

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