La Cina si prepara alla guerra tra Usa e Corea del Nord

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                       [Dettaglio di una carta di Laura Canali. Per vedere la versione intera clicca qui]

BOLLETTINO IMPERIALE Il rafforzamento delle attività al confine sino-coreano e l’attenzione dei media alla “mobilitazione difensiva” confermano che Pechino è pronta a un intervento di Washington contro P’yongyang. Se circoscritto a neutralizzarne le capacità atomiche, sarebbe conveniente. L’atteggiamento del Dragone potrebbe spingere Kim a fare un passo indietro. O ad attaccare per primo.

di Giorgio Cuscito

Il Bollettino Imperiale è l’osservatorio di Limes dedicato all’analisi geopolitica della Cina e alle nuove vie della seta. 

La Cina pare pronta – o rassegnata – a un conflitto tra Usa e Corea del Nord. Pechino, che continua a promuovere il dialogo tra i due paesi, sta prendendo contromisure al confine sino-coreano e i media della Repubblica Popolare avvertono che lo scontro potrebbe avvenire in qualsiasi momento. Del resto, con il test missilistico condotto il 28 novembre scorso Kim Jong-un ha confermato l’intenzione di voler trasformare il suo paese in una potenza atomica, esacerbando ulteriormente i rapporti con il governo cinese.

Ufficialmente la Repubblica Popolare persevera nel sostenere la denuclearizzazione della penisola coreana e la “doppia sospensione” come presupposto di un dialogo tra Washington e P’yongyang. Questa soluzione, che i tre governi non hanno per ora raccolto, prevede lo stop delle esercitazioni tra Usa e Corea del Sud e quello dei test nucleari e missilistici nordcoreani. L’Impero del Centro ha bisogno del “paese eremita” come cuscinetto strategico tra sé e i soldati statunitensi al di là del 38° parallelo, ma è sempre meno propenso a tollerare la strategia di P’yongyang. Infatti, il pressing diplomatico e le sanzioni Onu per mettere in difficoltà l’economia nordcoreana non hanno per ora convinto Kim a invertire la rotta.

La Cina starebbe perciò rafforzando le misure per proteggere il proprio confine nordorientale.  L’Oriental Daily, basato a Hong Kong, afferma che China Telecom sta pianificando l’installazione di servizi di comunicazione per cinque campi profughi nella contea di Changbai (nel Jilin, alla frontiera con il “paese eremita”), per ospitare i nordcoreani in fuga dal paese in caso di guerra o collasso del regime. Questo elemento indica un’accelerazione nelle attività cinesi, che negli ultimi mesi hanno riguardato l’aumento delle truppe e lo svolgimento di esercitazioni militari in questa parte di paese. Da tempo si vocifera inoltre di un piano del Dragone per invadere la Corea del Nord, magari per mettere al sicuro l’arsenale nordcoreano in caso di crollo del regime. Tale tesi troverebbe riscontro nella costruzione di un’autostrada tra Shuangliao e Ji’an (nel Jilin) che dovrebbe permettere il rapido spostamento delle truppe. Non ci sono conferme al riguardo ma, alla luce dell’instabilità dei rapporti sino-coreani e della porosità del confine che divide i due paesi, non ci sarebbe da meravigliarsi se la Repubblica Popolare valutasse tutte le opzioni.

I media cinesi inoltre parlano apertamente del possibile conflitto nella penisola coreana. Il 6 dicembre, il sito Jinan Daily, quotidiano ufficiale del governo della provincia di Jilin, ha pubblicato un articoloa pagina intera per spiegare cosa è una guerra nucleare e cosa fare per proteggersi. Sul Global Times, giornale “fratello” del Quotidiano del Popolo, il tenente generale in pensione Wang Hongguang, in passato uno dei falchi delle Forze armate cinesi, ha detto che la Cina dovrebbe essere pronta a una “mobilitazione difensiva” per proteggersi al confine sino-coreano perché la guerra potrebbe “scoppiare in qualsiasi momento tra qui e marzo”. Il fatto che sul South China Morning Post il professor Shi Yinhong – consigliere del governo cinese –  abbia definito la Corea del Nord una “bomba a tempo” è un altro segnale dell’insoddisfazione della Repubblica Popolare.

Allo stesso tempo, Pechino sta riallacciando i rapporti con Seoul. Tale trend è confermato dall’incontro avvenuto la scorsa settimana tra il presidente cinese Xi Jinping e il suo omologo sudcoreano Moon Jae-in. I rapporti tra i rispettivi governi erano peggiorati dopo che il secondo aveva installato sul proprio suolo il sistema antimissile statunitense Thaad. Questo è percepito dalla Repubblica Popolare come una minaccia alla propria sicurezza, ma Seoul afferma che serve per difendersi da Kim. Da qualche tempo, la teoria secondo cui Pechino dovrebbe rovesciare le alleanze e considerare la Corea del Nord come un’antagonista non è scartata dagli accademici cinesi.

Certamente la Cina non gradirebbe la guerra alla porte di casa, ma a questo punto un intervento degli Usa per neutralizzare le basi nucleari nordcoreane non sarebbe del tutto controproducente per gli interessi del Dragone. Purché resti di dimensioni contenute. Se andasse a buon fine, l’attacco statunitense gioverebbe alla Cina in tre modi. Primo, porterebbe stabilità alla frontiera nordorientale. Secondo, poiché l’atomica coreana è una minaccia sia per Pechino sia per Washington, disinnescarla contribuirebbe alla loro cooperazione, alleggerendo temporaneamente le divergenze economiche e la tensione nel Mar Cinese Meridionale. Infine, spegnere le aspirazioni nucleari nordcoreane servirebbe a contenere il processo di modernizzazione militare di Corea del Sud e Giappone, che ha subito un’accelerazione da quando la crisi si è riaccesa. Tuttavia, avallando tacitamente un’operazione Usa contro P’yongyang, Pechino volterebbe le spalle a un paese con cui sulla carta ha un’affinità ideologica. Esponendo il proprio sistema di governo a potenziali critiche.

Ciò sarebbe sopportabile, a patto che l’intervento statunitense non determini l’estensione del conflitto agli altri attori regionali e soprattutto una totale implosione del “paese eremita”, da cui potrebbe conseguire la formazione di un’unica Corea sotto la tutela di Washington. Una circostanza che Pechino non accetterebbe poiché alimenterebbe sensibilmente le possibilità di un conflitto con gli Usa. A nessuna delle due potenze conviene tale circostanza, sia per la portata delle relazioni bilaterali sia per le possibili conseguenze su scala globale. Anche per queste ragioni, la Cina si prepara al peggio.

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