Donna da amare, da rispettare

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                                                            DONNA DA AMARE, DA RISPETTARE

E’ ormai diventato notizia giornaliera, quasi una pillola di disperazione da prendere  ogni giorno durante la visione dei TG,  non vi è un giorno in cui non si parli di violenza  sulle donne. Femminicidio, termine, purtroppo, usato così frequentemente da portare il terrore a qualsiasi donna, in qualsiasi famiglia.

Donne violentate, uccise, massacrate nel vero senso del termine, nel corpo e nell’anima. Un male che in questo dato periodo storico-sociale, si sta diffondendo come si diffondeva la malaria nel romanzo ”I Promessi Sposi” e, proprio come la malaria, semina morte e distruzione, distrugge intere famiglie. Tutti ne parlano come fosse un  problema e basta, NO! Questo è prima di tutto un problema sociale del quale lo stato dovrebbe occuparsene seriamente, con leggi e provvedimenti che tutelino le donne, leggi che le tutelino anche dopo denuncia fatta e condanna avvenuta. Non pochi i casi, di donne uccise dopo la scarcerazione del soggetto denunciato. Infatti, molte donne, hanno il terrore di denunciare una violenza, proprio perché sanno che non saranno tutelata.

Non poche volte, abbiamo sentito di donne uccise dal proprio marito, marito che aveva più volte denunciato e più volte, costrette a ritornare a casa, dal mostro, perché convinte a perdonare o a tentare di “risanare” la famiglia. Quando in una famiglia c’è un marito, un padre, un fidanzato violento, non vi è nulla da risanare, c’è solo da ricostruire una nuova vita allontanando tale persona. Spesso la donna, coinvolta nel forte sentimento, difende il proprio carnefice, affermando che  lo fa per amore, per il troppo bene, per gelosia. No, non esiste amore violento, esiste possesso e prigione psicologica che scaturisce in violenza e in sottomissione. Oggi più che mai, è importante denunciare, parlarne con un amica, con un familiare, con la madre, con un insegnante. Purtroppo, spesso, il mostro ha le chiavi di casa.

Sono tante le donne che, desiderano raccontarsi, sfogarsi, svuotare la propria anima, eliminare quel masso che le opprime il cuore, tante le donne che dopo aver subito violenze e non aver denunciato, si rinchiudono in se stesse, terrorizzate e decise a non avere nuovi rapporti, o rifarsi una nuova vita.

Ma come “curare” questa malattia sociale? Sicuramente in primis, una buona educazione ai sentimenti, al rispetto, all’amore sano e costruttivo, ma anche all’accettazione di un rifiuto, di una perdita, di un NO!

Anna, una donna di 75 anni, dopo quasi 60 anni, racconta di una violenza subita, racconta del suo dolore, del suo senso di colpa, colpa che non esiste, il suo senso di terrore ogni volta che si è ritrovata da sola con un uomo, che fosse in casa o in un negozio, in una via, nell’ascensore, nell’autobus. Anna si racconta nella chat dello sportello rosa di Donna Rosa e la prega di renderla pubblica, di far conoscere il dramma che ha vissuto, il dolore di una vita che non è stata più serena.

Anna, ora in pensione, da ragazza lavorava nella  sartoria della zia, sorellastra del padre. Ogni mattina alle 7 usciva di casa ma non era lunga la strada da fare, appena 50 metri più avanti abitava la zia e la sartoria era affianco. Un locale ben tenuto, tendine ricamate che adornavano le piccole finestre, la stufetta a legna che sempre aveva sui fornelli un tegamino pronto per un the o una cioccolata.

La zia non aveva avuti figli e Anna era per lei la figlia sempre desiderata.

Lo zio era un uomo silenzioso e sempre attento a leggere i giornali e lamentarsi della politica e della vita.

Anna da bambina presto diventò una donna, una donna bella e molto curata grazie ai magnifici vestiti che la zia le cuciva nelle ore libere.

Che divenne una bella donna se ne accorse anche lo zio, quello zio buono e silenzioso, quello zio che sempre è stato premuroso.

ANNA: “Un giorno la zia salì in casa per  delle faccende domestiche che aveva lasciato incomplete.

Ero attenta a stirare un abito appena completato, ricordo , era color avorio con dei piccoli fiorellini di campo, lo zio si avvicinò chiedendomi di smettere d stirare”

ZIO: “ Anna basta stirare, riposati, vieni a sederti vicino a me”

 Non pensai minimamente a male, ma risposi che dovevo finire di stirare il vestito perché la signora Lella sarebbe passata a breve a ritirarlo. Lui si sedette e quando mi voltai lo vidi tutto sudato e agitato, aveva la mano in tasca e l’agitava in modo inequivocabile, il cuore mi si fermò in petto, velocemente completai di stirare il vestito e lo portai di corsa di sopra. La zia appena mi vide capì che non stavo bene, mi chiese se avessi le mie cose, risposi di sì, pur non essendo vero, dovevo giustificare quel mio pallore e quel forte battito di cuore che riuscivo a sentirlo fuori dal petto. La sera nel letto non riuscii a dormire, avevo paura, come potevo ritornare l’indomani mattina in sartoria?

E’ strano come pur sapendo di essere innocenti ci si sente in colpa, sì, inizia a pensare che forse era colpa del mio vestito o del rossetto rosso.

 L’indomani indossai così i pantaloni e sopra una lunga maglia, non misi rossetto e i miei lunghi e bellissimi capelli rossi li legai.

Arrivata in sartoria, la zia era già a lavoro, stava sistemando dei bottoni e mi dissi di fare la piega al pantalone di un cliente. Mi guardai intorno, lo zio non c’era ma sapevo che presto sarebbe arrivato, come faceva di solito, dopo aver comperato il giornale.

La zia mi chiese se mi sentissi meglio e mi versò nella tazza del the caldo.

Mentre lo zuccheravo la zia mi disse che sarebbe uscita per  comperare della verdura, l’idea di rimanere da sola mi terrorizzò,così dissi che sarei andata io al mercato, ma lei rispose che l’aria era fredda e visto che non ero stata bene era meglio che stessi al caldo. Insistetti molto ma non ci fu nulla da fare, la zia uscì ed io rimasi da sola, da sola con la speranza che  rientrasse prima che arrivasse lo zio.

Non fu così, lo zio arrivò e mi salutò dandomi un pizzico sul viso, sentire quella mano sul mio viso mi fece avere un brivido di paura e disgusto, lui se ne accorse e con voce bassa, attento alla porta che non entrasse la zia , mi disse : “ Tremi? Non devi avere paura, io ti voglio bene, tu lo sai che io ti voglio bene, vero?”

  Non avevo voce, la gola era come se si fosse ristretta, sentivo che non sarei riuscita nemmeno ad urlare per chiedere aiuto. Ad un tratto  si avvicinò a me talmente tanto che potevo sentire il suo sangue pulsare delle sue mani , nel suo cervello, cercai di allontanarmi ma mi afferrò dai fianchi e si strofinò al mio petto, cercai di staccarlo ma la sua forza era tipo quella di un animale, una bestia feroce. Mi trascinò nel camerino, con forza.

La sua mano stretta sulla mia bocca non mi faceva respirare, fece di me un suo oggetto, rimasi sdraiata su quel lettino che odorava di dolore e di lacrime.

La sera rientrata a casa pensai al suicidio, volevo morire, era l’unico modo per non pensare, per non ricordare quel momento doloroso che mi aveva distrutta dentro, io ero vergine.

Mi lavai tanto e con molto sapone, volevo togliere dal mio corpo l’odore delle sue mani e il suo viso sudato continuava ad apparirmi anche nello specchio.

Finalmente verso l’alba mi addormentai , ma venni svegliata da un urlo, era la zia, il cuore mi saltò in gola, pensai che avesse scoperto tutto e che sicuramente avrebbe dato la colpa a me, la porta della mia stanza si aprì di colpo, era mia madre, sentìì il sudore freddo scivolarmi  lungo la schiena, mi sentii persa, colpevole, sporca.

Guardai mia madre che con gli occhi pieni di lacrime mi disse che lo zio aveva avuto un collasso e che forse era morto, vedevo mia madre piangere, sentivo mia zia di sotto che urlava, ma io, io avevo uno strano sentimento che mi aveva invaso il cuore, ero felice , felice che fosse morto, felice che non lo avrei visto più, felice che era stato punito, guardai l’immagine della Vergine Maria sul mio letto, la ringrazia con lo sguardo.

Saltai dal letto e mi vestii velocemente, scesi di sotto e poi corsi con mia madre a casa della zia. Lo zio non era morto, era in camera e due medici lo stavano visitando, guardai la zia, piangeva e diceva continuamente, che era l’uomo più buono che avesse mai conosciuto e mia madre a darle conferma della sua bontà.

 E’ strano come una donna pur vivendo una vita con un uomo, possa in realtà non conoscerlo.

Tutti pregavano che guarisse, intorno al tavolo la zia, mia madre e le vicine di casa accorse, dicevano il rosario, io seduta vicina alla zia, lei pregava affinchè guarisse mentre io nel mio cuore speravo che morisse.

Morì qualche ora più tardi, morì lasciando a tutti un buon ricordo ed a me la tristezza di un dolore che mai mi avrebbe abbandonata. Denunciare è importante, ma allora erano altri tempi, oggi dico sempre di denunciare.” ( Anna da quasi un anno, non c’è più, ha combatto non solo contro un brutto ricordo, ma anche contro un male che l’ha spenta lentamente ma, sicuramente con il cuore più leggere).

Francesca Galelllo

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