Una voce che viene dal passato

Calabria

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Alla scoperta dell’organo della Chiesa di San Francesco da Paola

L’identità di una città è data anzitutto dal suo patrimonio culturale: chiese, palazzi, monumenti, opere d’arte la rendono unica al mondo. Anche Castellana conserva segretamente un patrimonio di rilevante valore. Segretamente, perché sembra quasi che i suoi abitanti se ne vergognino e, dunque, lo tengano ben nascosto.

Qualche tempo fa, mi è capitato di visitare la chiesa di San Francesco da Paola (denominata anche “chiesa di San Giuseppe”), tra le più belle del paese, anche se poco conosciuta. Un tempo retta dall’Ordine dei Minimi, la chiesa è, oggi, una delle quattro rettorie della “Matrice”. Colpisce subito la sobrietà della facciata, che certo non lascia intendere lo straordinario scrigno d’arte custodito all’interno: altari barocchi, sculture, tele e affreschi, tutti realizzati tra il XVII e il XVIII secolo e di grande pregio; ma l’elemento più interessante è senz’altro il piccolo organo a canne, di fattura settecentesca, che domina l’intera navata. La mostra è costituita da una cassa armonica e due portelle lignee, finemente intagliate e decorate in oro, e ha la funzione di celare il groviglio di cavi metallici e canne, che permettono all’organo di emettere la sua “voce”, similmente a una scenografia teatrale, dietro la quale sono nascosti cavi, funi, ponti, staff tecnico, attori in attesa di entrare in scena… insomma, tutto l’indispensabile al fine di una rappresentazione.

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Curioso di ascoltare il suono di quello strumento, chiedo al gentile custode della chiesa il permesso di accedere alla cantoria. Percorsa una ripida e pericolosa scalinata, finalmente arrivo in cima! La cantoria, per via del disordine, della polvere e di una vecchia scala appoggiata alla parete, mi riporta subito alla mente il tenebroso ripostiglio che compare nel film Marcellino pane e vino, dove il piccolo protagonista si reca spesso, di nascosto dai frati, per far visita al suo unico, vero “amico”: un antico Crocifisso abbandonato – come, in fondo, lo stesso Marcellino – che dialoga con lui, tenendogli compagnia. E, come quel Crocifisso, anche il nostro organo è finito nel dimenticatoio collettivo: a dire il vero, molti non sanno neppure della sua esistenza.

Un po’ titubante, decido di provarlo. Il suono flebile e non del tutto intonato rassomiglia allo schiudersi di un vecchio cofano, all’eco di ricordi ormai lontani nel tempo. L’emozione provata nel suonare uno strumento così particolare è indescrivibile e la serberò gelosamente nel cuore.

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Sia l’organo sia la chiesa versano in un pessimo stato di conservazione e necessiterebbero di un accurato intervento di restauro; ma è evidente che le autorità competenti ignorino la gravità della situazione, preferendo dedicarsi ad altro. Eppure sarebbe nel loro interesse sfruttare, a livello turistico, un sito così bello! Dimentico, tuttavia, che noi meridionali siamo ancora prigionieri di una mentalità gretta, che tarpa le ali alla cultura, impedendo, di fatto, un’autentica valorizzazione del territorio.

Sebastiano Coletta

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