Due signori e il Contratto di Governo del Cambiamento – 2° parte

Politica

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La prima parte   dell’articolo è stato pubblicato al link Permalink: https://www.corrierenazionale.net/2018/06/03/due-signori-e-il…biamento-1-parte/

di Luigi Fiammata

Praga, è una città magica. Ha una consolidata tradizione di magia, e di leggende talvolta inquietanti. Praga è nell’Unione Europea, ma non ha l’Euro. Se andassi a Praga, dovrei cambiare i miei euro ad un bancomat, al tasso ufficiale di cambio, magari pagando qualche commissione. Ma se io decidessi di acquistare qualcosa in un negozio del centro, a Praga, i miei euro sarebbero tranquillamente accettati; però, il tasso di cambio lo deciderebbe il negoziante, in base al grado di attenzione dell’acquirente e in base alle proprie convenienze. La vita è meno cara, a Praga, rispetto a Roma, ad esempio. E se io quindi lasciassi qualche euro in più al commerciante, rispetto al tasso di cambio ufficiale, probabilmente non me ne accorgerei nemmeno. Figuriamoci se fossero solo centesimi. Immaginiamo dieci centesimi di euro, in più, rispetto al tasso di cambio ufficiale, per una bottiglietta d’acqua al bar nel centro di Praga; moltiplichiamoli per 100 turisti al giorno. Fanno 10 euro di guadagno giornaliero, occulto. Il conteggio naturalmente, vale per qualunque prodotto, e per qualunque quantità, di prodotti, e per qualunque quantità di turisti, naturalmente. (Più di cinque milioni persone, ogni anno, visitano Praga. Quanto fa 10 centesimi moltiplicato 5 milioni? A Roma, per avere un ordine di grandezza, di arrivi ce ne sono 40 milioni l’anno; così, forse, ci rendiamo conto di cosa può esserci in ballo).

Un fenomeno simile avviene con la produzione industriale. Una azienda Ceca avrebbe un bel vantaggio sulle aziende concorrenti a vendere in Germania un prodotto, potendo contare su un tasso di cambio favorevole, e manovrabile autonomamente, grazie ad esempio alla svalutazione della corona. Ma i commessi dei bar, o gli operai della fabbrica, o gli impiegati del Comune di Praga, o i pensionati, lo stipendio o la pensione lo prendono in Corone. E non possono giocare sul tasso di cambio; anzi, se la Corona Ceca fosse svalutata, con i loro stipendi/pensioni, potrebbero acquistare meno beni e servizi per la propria famiglia, e, certo, non potrebbero fare un viaggio in un Paese che abbia l’Euro, come moneta, dove tutto gli costerebbe 25 volte di più (per comprare un euro, oggi, ci vogliono più di 25 Corone Ceche). In compenso, piccoli imprenditori e commercianti della Pianura Padana, senza euro, potrebbero fare un sacco di affari, senza preoccuparsi di tenere in piedi il Carrozzone Pubblico del Sud Italia. Resterebbe il piccolo particolare di dover rimborsare, a qualcuno che lo chieda, l’enorme Debito Pubblico italiano, in svalutate lirette magari. Ma questo non lo troviamo nel Contratto per il Governo del Cambiamento.

Nella seconda versione del Contratto per il Governo del Cambiamento, compaiono 8 righe che riguardano, specificamente, proprio il Sud, che nella prima versione non erano presenti, e pareva brutto. Ma si specifica che tutto il Contratto per il Governo del Cambiamento riguarda anche il Sud. E quindi nulla si deve aggiungere. Ad esempio, infatti, nulla per contrastare le mafie va aggiunto alla legislazione attuale, per ciò che concerne la tracciabilità dei pagamenti e dei flussi finanziari; la trasparenza nelle banche e negli assetti societari; il contrasto ai paradisi fiscali; la legalizzazione degli stupefacenti. E, infatti, nulla il “Contratto per il Governo del Cambiamento” aggiunge. Per esempio, riguarda il Sud e non certo il Nord Italia la misura scelta per superare la “Legge Fornero”, che a suo tempo ha cambiato il sistema pensionistico, lì dove si sostiene che per andare in pensione, da domani, servirà raggiungere la cosiddetta “Quota 100 “; data dalla somma della età anagrafica e di quella contributiva. Notoriamente, infatti, il Sud è pieno di fabbriche, dove gli attuali sessantenni sono entrati a venti anni d’età, senza mai essere stati licenziati nel frattempo, cumulando così sino ad oggi 40 anni di contributi, utili a godere finalmente di una giusta pensione e di un giusto riposo. Ce ne sono tante di fabbriche al Sud, chiuse però. Al Sud, in compenso, ci sono purtroppo tanti disoccupati e disoccupate, che potrebbero fruire invece, in massa, del “Reddito di Cittadinanza”. Ogni tanto, tuttavia, le cose dovrebbero corrispondere ai nomi che si scelgono per loro. Se io chiamo una cosa “Reddito di cittadinanza” dovrebbe voler dire che il principale requisito per averne diritto è che si sia cittadini italiani. Invece, nel descrivere il “Reddito di Cittadinanza”, il Contratto per il Governo del Cambiamento specifica che esso ha lo scopo di consentire il reinserimento della persona nel mondo del lavoro, tanto che, se la persona dovesse rifiutare le offerte di lavoro che il Centro per l’Impiego gli propone, decadrebbe dal diritto a ricevere 780 euro al mese.

Oggi esiste il cosiddetto “Reddito di Inclusione”, che può arrivare a 485 euro al mese; ed esiste l’Indennità di disoccupazione, che vale, più o meno, mediamente 800 euro al mese, nette. Quindi, se fosse abolito il Reddito di Inclusione, se fossero un po’ decurtate le Indennità di disoccupazione magari abolendo anche del tutto il valore di “Contribuzione Figurativa” della Indennità di disoccupazione, ai fini pensionistici, che un costo pure ce l’ha già oggi, senza comprare dei “Gratta e Vinci”, ci sarebbero le risorse per allargare un po’ il sostegno al reddito delle persone in difficoltà. Perché si può scrivere qualsiasi cosa; ma poi occorrerebbe essere precisi nello spiegare come si vogliono raggiungere certi obiettivi, altrimenti si rischia che ci siano brutte persone, come me, che fanno il processo alle intenzioni. E persone come me potrebbero persino pensare che misure eguali, amministrate a situazioni di partenza diverse, servano solo a perpetuare le diseguaglianze. Tra Nord e Sud, ad esempio. E’ come se io dessi la stessa quantità di acqua ad una persona che sta in un bar, comodamente seduta, e ad una persona che, invece, debba attraversare il deserto, fidando solo sull’acqua che io gli do. La stessa acqua non disseterà allo stesso modo, anche se si tratta di una misura “orientata allo sviluppo omogeneo del Paese”.

Un Paese che vorrebbe comprendere cosa s’intenda quando il Contratto per il Governo del Cambiamento scrive che l’Acqua deve essere pubblica, ma tace completamente sulle concessioni pubbliche, regalate a privati per quattro soldi, per l’estrazione e la vendita delle acque minerali. D’altra parte, è tradizione dei governi che si sono succeduti alla guida del Paese regalare ricche concessioni pubbliche ai privati, senza ricavarci nulla, ma costituendo invece odiosi monopoli privati che gravano sulle tasche indifese dei cittadini. Basterebbe pensare all’etere, per le Televisioni; alle Autostrade, agli Stabilimenti balneari etc… Occorrerebbe comprendere cosa significa che “è indispensabile fermare il consumo di suolo (spreco di suolo)”: il consumo non sempre è spreco. E, o si ferma il consumo, o il consumo è tollerato, purché non sia spreco. Per esempio, a L’Aquila, che ha un Piano Regolatore Generale vigente, che consente di edificare per 120.000 abitanti, pur avendone solo 70.000 scarsi, e un patrimonio già edificato che potrebbe accogliere oltre 100.000 persone, e dove si continua giornalmente con nuove edificazioni, alcune delle quali, essendo abusive, si vogliono sanare: qual è il confine tra “consumo” e “spreco”?

I due signori, che hanno costruito il Contratto per il Governo del Cambiamento, sanno d’aver di fronte un Paese incattivito da oltre venti anni di politica che è stata quasi solo tifo tra opposte fazioni; impoverito da una crisi economica che dura da almeno 30 anni e che è divenuta devastante negli ultimi dieci; impaurito da una precarietà imposta in ogni campo della vita, e nel lavoro in special modo, a partire dal 1984, e poi in modo assolutamente massiccio a partire dal 2003, con le norme della cosiddetta “Legge Biagi” completate dal cosiddetto “Jobs Act”; pressato da un aumento in larga parte incontrollato dei flussi migratori, regolati ancora dalla Legge “Bossi-Fini”, totalmente inadeguata alla sfida che l’Italia sta perdendo, con una nuova idea della cittadinanza, e della difesa e progresso, reali, della Cultura italiana. Sanno d’aver di fronte un Paese le cui culture storiche, che hanno scritto la Costituzione della Repubblica Italiana, su cui i due signori sono seduti, hanno perduto, quasi totalmente, ogni capacità di interlocuzione reale con i cittadini, di ascolto, e persino di comprensione delle dinamiche reali del vivere quotidiano. Sanno che le parole del Contratto per il Governo del Cambiamento camminano su un tessuto di macerie. Camminano tra famiglie dove i figli avranno meno dei loro padri o nonni. Camminano dentro città costruite per escludere le Periferie dal Centro. Camminano dentro Scuole e Università che cadono a pezzi e hanno smarrito quasi totalmente la loro funzione di strumento per la crescita sociale e di formazione d’una identità critica dei giovani uomini e donne italiani. Camminano tra capannoni industriali chiusi e vuoti, tra meravigliosi marchi di aziende italiane svendute a imprese multinazionali. Scrivere, in queste condizioni, è persino semplice. E può essere facile generare l’entusiasmo che si prova, quando ci si scrolli di dosso il peso ingiusto di condizioni materiali penalizzanti, di tanti anni nei quali chi era al Governo, invece di guardare in direzione delle persone, ha guardato in direzione di astratti e vuoti principi di “libero” mercato.

Sarà facile far subito delle cose buone, attraverso il Contratto per il Governo del cambiamento. Per esempio, si potrà finalmente abolire il Sindacato. E’ sempre colpa del Sindacato, se tante cose non funzionano. C’è una certa cultura italiana, profondamente reazionaria, gretta, che si sposa perfettamente con la cultura di chi vuole abolire ogni mediazione sociale, perché gli uomini, e le donne, devono essere soli dinanzi al Dio Mercato, che attende questo momento da tempo. Il Contratto per il Governo del Cambiamento si propone di stabilire un Salario Minimo, per Legge. Un Salario che consenta, a chi non goda dei frutti della Contrattazione Collettiva, a chi non abbia un Contratto, di avere comunque un riferimento salariale che gli consenta di vivere dignitosamente. E’ un punto importante, se non fosse che, oggi, in Italia almeno in linea teorica non vi è un solo Lavoratore, in nessun Settore, che non possa far riferimento ad un Contratto Collettivo. A chi si rivolge, quindi, una misura del genere? Da domattina qualsiasi impresa, alla scadenza dei Contratti Collettivi di riferimento, potrebbe evitare di rinnovarli. E far riferimento al Salario Minimo previsto per Legge. La legge è una fonte di diritto, più alta, dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro. E a cosa servirebbe un Sindacato che non contratti più nulla? A nulla, appunto.

Per esempio, si potranno prendere risorse, fino a ieri destinate alla gestione delle politiche sulle Migrazioni, e destinarle immediatamente ad alcuni di quei bisogni drammatici che attanagliano la gola di tanti cittadini italiani in difficoltà, in particolare nelle aree metropolitane. Case, asili, sostegno alle disabilità, tanto per fare qualche piccolo esempio. E’ curioso che noi italiani teniamo l’elenco dei nostri Migranti divenuti famosi fuori d’Italia, o dei loro figli o nipoti con cognome italiano: sportivi, politici, attori o attrici, registi cinematografici, scienziati, scrittori, cantanti, etc… Quando qualcuno di loro tornava nei paesi d’origine, o persino nei paesi d’origine dei propri nonni, s’organizzava, e ancora oggi, s’organizzano, comitati di ricevimento, bande musicali, cittadinanze onorarie, fuochi d’artificio. Italiani e italiane che han fatto grandi i paesi in cui sono migrati. E noi, oggi, diamo per certo che nessuno, ma proprio nessuno, di quelli che sbarcano, o arrivano, o i loro figli, o i loro nipoti che vorranno essere italiani, aiuteranno il progresso del nostro Paese.

L’Italia, in verità, è un Paese profondamente razzista. Lo è stato, e lo è ancora, con i propri meridionali. Ed infatti il Contratto per il Governo del Cambiamento si propone di intervenire finalmente su questo scandalo dei tanti insegnanti meridionali che vanno ad insegnare al Nord, costruendo legami più diretti, tra residenza dell’insegnante e luogo in cui vada ad insegnare; e lo è con gli stranieri che vivono e lavorano in Italia. Un uomo è più ucciso, se investito da uno straniero, che da un italiano ubriaco al volante. Di sicuro, la notizia, sui giornali, nei telegiornali, sui social network, dura di più, ha più rilievo, suscita maggiori reazioni. Il Contratto per il Governo del Cambiamento non lo scrive, ma la vera politica sulle migrazioni, che molti italiani vorrebbero, è solo quella dei respingimenti. Al limite, affondando a cannonate le barche. Perché di problemi veri i flussi migratori ne hanno creati e ne creano tanti. E forse sarebbe necessario avere il coraggio d’intervenire globalmente sulle ragioni vere che determinano i flussi migratori, invece che mettersi sul fondo della valle, con le braccia alzate, pretendendo di fermare la valanga. Così come è certamente necessario ripensare i processi di integrazione e di relazione tra culture e popoli diversi sul nostro Territorio. Ma tanti italiani, pare abbiano sete solo di soluzioni semplicistiche. In questo, aiutati da tanti buoni esempi. A partire da chi vuol costruire un muro al confine col Messico. Dal Messico può solo entrare la droga, e i capitali connessi. Le persone, no.

Nulla dice il Contratto per il Governo del Cambiamento sulle condizioni per restituire al Paese condizione di Eguaglianza tra i suoi cittadini. In questi anni, in Italia, come in tutto il mondo che una volta si definiva “occidentale”, la differenza tra i più ricchi e i più poveri si è drammaticamente allargata e vasti strati di persone, che un tempo potevano aspirare a condizioni di vita magari un po’ superiori, oggi sono drammaticamente risucchiate dalle necessità della sopravvivenza, dai servizi, a partire da quelli sanitari, sempre più sottoposti a tagli. Anzi una cosa, e molto precisa, il Contratto per il Governo del Cambiamento, la dice, ed è proprio molto precisa. Chi oggi abbia un reddito lordo oltre i 75.000 euro annui, da domattina, invece di pagare il 43% di tasse, pagherà il 20%. Chi avesse un reddito fino a 15.000 euro annui, invece del 23% di tasse, pagherebbe il 15%. Il che significa che i ricchi diventeranno più ricchi e chi sopravvive con mille euro al mese di stipendio dovrà iniziare a domandarsi dove lo Stato troverà i soldi per fare le strade, per costruire le Scuole, per pagare lo stipendio agli Infermieri e ai Carabinieri; dove troverà i soldi per pagare le Pensioni. Ci vorrebbe qualcuno, qualcuno che apra le finestre della stanza claustrofobica in cui i due signori sono seduti, e cominci a dire che la politica dev’essere onesta anche nel dire quel che si può, e quel che è parecchio difficile riuscire a fare. Che la politica dovrebbe mostrare orizzonti, e non chiudere confini. Che la politica, dovrebbe colorare il cielo, e non avere il volto plumbeo dell’amministrazione che toglie a qualcuno per dare a chi ha già più potere o possibilità.

Certe volte, mi vien da pensare, che bisognerebbe ricominciare da capo. E mi fanno pensare le parole che Vaclav Havel (1936-2011) diceva: “Un cambiamento, in meglio, delle strutture, che sia reale profondo e stabile, oggi non può partire dall’affermarsi dell’una o dell’altra concezione politica, ma dovrà partire dall’uomo, dall’esistenza dell’uomo, dalla sostanziale ricostruzione della sua posizione nel mondo, del suo rapporto con sé stesso, con gli altri, con l’universo. Oggi, più che mai, la nascita di un modello economico e politico migliore, deve prendere le mosse da un più profondo cambiamento esistenziale e morale della società: non è qualcosa che basta concepire e lanciare come il modello di una nuova automobile. Non è detto che con l’introduzione di un sistema migliore sia garantita automaticamente una vita migliore, al contrario: solo con una vita migliore, si può costruire anche un sistema migliore. Ciascuno può apprezzare l’attualità di queste parole, nel contesto di crisi che, da anni, affligge l’Italia e l’Europa”.

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       Luigi Fiammata

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