Crisi delle Ong, impennata di morti nel Mediterraneo

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Di Enrico Marra

In due anni, il numero di migranti giunti in Europa via mare è stato diviso quasi per dieci. Tuttavia, il tasso di mortalità è raddoppiato. È il prezzo da pagare per avere trasferito il controllo dei flussi migratori nel Mediterraneo alla Libia, denunciano le organizzazioni non governative attive nella regione, sempre più marginalizzate.

Il mare è calmo e ripartono i flussi di migranti. Negli ultimi giorni, con otto operazioni congiunte, la Marina italiana, Frontex e le organizzazioni non governative hanno recuperato e trasportato in Italia poco meno di 2’000 migranti e la salma di una persona che non ce l’ha fatta.

L’Unhcr, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, stima che dall’inizio dell’anno circa 630 migranti sono morti nel Mediterraneo, una media di quattro al giorno. Il tasso di mortalità è raddoppiato rispetto allo scorso anno. Muore un migrante ogni 14 che intraprendono la traversata in mare. Inoltre le condizioni generali di salute, fisica e psichica di quelli che arrivano in Europa sono peggiori rispetto al passato per l’aggravarsi della situazione in Libia.

Ong marginalizzate

È il prezzo che l’Europa paga per gli ultimi due anni di politiche restrittive sull’immigrazione operate trasferendo centralità alla Libia nella gestione del contrasto dei flussi migratori nel mediterraneo.

La flotta navale delle organizzazioni non governative, in questo nuovo assetto geopolitico, dopo anni di collaborazione e reciproca stima con le istituzioni, denuncia di essere stata marginalizzata al ruolo di scomodo ostacolo alle politiche di contrasto dell’immigrazione clandestina operate dai guardacoste libici, senza troppi scrupoli per la sicurezza dei profughi recuperati in mare e riportati nei centri di detenzione in Libia.

L’Italia ha offerto al paese africano motovedette e finanziamenti. Il sostegno arriva anche da altri paesi, inclusa la Svizzera che ha donato un milione di franchi per migliorare la sicurezza delle operazioni di sbarco e identificazione dei migranti nei porti libici.

Clima di minacce

In mare, le disposizioni derivate dall’accordo tra Italia e Libia dello scorso anno, prevedono il coordinamento esclusivo da parte dei guardacoste libici di tutte le operazioni soccorso nella cosiddetta zona Sar, “search and rescue”, “ricerca e soccorso”. Per le Ong si tratta invece di acque internazionali nelle quali l’obbligo di soccorrere le imbarcazioni in difficoltà prevale su qualsiasi regolamento amministrativo dei singoli stati o dell’Europa.

Le navi umanitarie hanno denunciato a più riprese di essere state allontanate minacciosamente dai libici mentre cercavano di soccorrere imbarcazioni in difficoltà.

La nave della Ong tedesca Sea Watch ha denunciato di essere stata minacciata e ostacolata dalla Guardia costiera libica, lo scorso 6 novembre, durante una operazione di soccorso dove almeno 20 persone sarebbero annegate e altre 5, tra cui un bambino sui 4 anni, sono state recuperate senza vita.

Porti di sbarco

I problemi delle navi di soccorso non si limitano alla battaglia in mare contro i guardacoste libici. Una volta recuperati a bordo i migranti c’è il calvario dell’identificazione di un porto di sbarco.

Il 6 maggio scorso il veliero Astral della Ong Pro Activa ha raggiunto 105 migranti, tra cui una decina di bambini, ammassati su un gommone, privo di motore, lasciato alla deriva dagli scafisti. I guardacoste libici, pur responsabili del coordinamento dell’operazione, non sono accorsi sul luogo.

La Astral ha portato in salvo i migranti assicurandoli sul ponte alla meno peggio ed in condizioni precarie ha dovuto aspettare l’intera giornata e la notte successiva per ottenere l’autorizzazione a trasferire le persone sulla più capiente nave Aquarius di Sos Mediterranée, arrivata tempestivamente.

Il rimpallo di competenze sulle responsabilità del trasbordo è arrivato fino in Inghilterra, lo Stato di bandiera del veliero Astral. Londra ha rispedito il dispaccio al mittente sollevandosi da ogni decisione o responsabilità a testimoniare il fatto che i regolamenti amministrativi tra Italia e Libia non prevalgono sul diritto internazionale in acque neutrali.

Rischio favoreggiamento

A quel punto la Guardia costiera italiana ha autorizzato il trasferimento dei migranti sulla Aquarius e la nave spagnola ha potuto avviare la contrattazione per lo sbarco, operazione molto delicata che rischia di far incappare la navi che trasportano i migranti nel reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, previsto dalla legge “Bossi-Fini”, come accaduto alla nave tedesca Iuventa, dalla scorsa estate sotto sequestro nel porto di Trapani in Sicilia, per indizi di colpevolezza che però non hanno prodotto indagati ma restano in un copioso fascicolo contro ignoti.

Ad oggi nessuna Ong è stata condannata per reati di questo tipo ma il “caso Iuventa” ha provocato un processo mediatico che ha causato enormi danni d’immagine ed economici alle navi umanitarie, che venivano definite “taxi del mare”.

Con molte difficoltà restano cinque Ong a prestare soccorso nel Mediterraneo, la flotta navale è ai minimi termini. Resistono una manciata di piccole imbarcazioni e solo un paio di grandi navi, la Open Arms della spagnola Proactiva – sequestrata anch’essa lo scorso 15 aprile dopo aver sbarcato 216 migranti nel porto di Pozzallo in Sicilia ma poi rilasciata – e la Aquarius di Sos Mediterranée.

Dopo l’abbandono della nave di Medici senza frontiere, in seguito all’introduzione del “Codice di condotta” voluto dall’ex ministro dell’Interno del governo Renzi, Marco Minniti, anche le altre organizzazioni umanitarie, con le nuove restrizioni, ammettono di essere vicine all’abbandono delle missioni nel Mediterraneo.

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