Invito a una riflessione

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Ancora tempi difficili per il mondo del lavoro in Italia. Si potrebbe tornare a respirare l’aria degli scioperi; anche se non c’è ben chiaro contro chi e per cosa. Il Governo è “giovane” e l’Italia inizia a sentire un certo impiccio anche a livello UE.

Nell’Italia della recessione, non tutte le agitazioni sociali, in parte spontanee, hanno una motivazione sindacalmente valida. Molti scioperi, però, hanno origini assai più complesse che rivelano rivendicazioni politiche più che sociali. Questa è la situazione nel Bel Paese all’inizio di un’estate colma d’imprevisti e possibili prese di posizione in campi opposti. Non si tratta più di un fatto di concertazione. Gli scioperi sono, ora, delle prove di forza che non scompongono, certo, un Parlamento politicamente maggioritario. Le redini della situazione occupazionale italiana non sono più nelle mani di pochi capitalisti irresponsabili.

 Allora, chi ha veramente il polso della situazione socio/economica nazionale? Chi opera, realmente, in favore della classe lavoratrice? A questi interrogativi si può solo tentare di formulare una riflessione. Per cominciare, il sindacalismo italiano continua a vivere una perenne e dannosa contraddizione. Da un lato persegue l’obiettivo di un’impossibile unificazione, dall’altro intende svincolarsi dai suoi rapporti con i partiti. Quindi, più strategie per l’occupazione e meno accordi di facciata che non garantiscono nulla. Un atteggiamento più conciliante, tra l’altro, potrebbe anche favorire un meno tribolato sviluppo del Paese sia a livello interno, che internazionale. Sarà difficile, ancora per molto, presagire un sindacato “unico”, con “uniche” finalità. Ma la strada da seguire ci sembra proprio questa. Se non mancasse l’impegno socio/politico, anche le varie matrici sindacali potrebbero trovare il modo di reperire un accordo. Il passato del”muro contro muro” non ha più pregio. Il contratto Di Maio/Salvini ha previsto soluzioni anche a quest’italico andazzo. Sarà la volta buona? A noi non resta che rispettare il beneficio del dubbio.

Giorgio Brignola

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